LA COLLANA IN VENDITA CON IL
«CORRIERE»
«Edipo a Colono», accompagnato da Antigone, un dipinto realizzato nel 1798 dall’artista francese Fulchran-Jean Harriet
In edicola con il quotidiano la prima uscita della biblioteca dedicata ai
«Grandi Miti Greci», a cura di Giulio Guidorizzi. Si comincia proprio con lo
sfortunato eroe di Sofocle.
di EVA CANTARELLA, 08/01/2018
La tragedia di Edipo ha inizio il giorno in cui questi, a
bordo del suo carro, giunge a un crocicchio dove, al termine di un diverbio,
uccide il proprietario di un carro arrivato insieme al suo, che pretendeva gli
fosse data la precedenza: senza sapere che quell’uomo era suo padre. Edipo,
infatti, si credeva figlio del re di Corinto Polibo, al quale era stato
consegnato da neonato, e che lo aveva cresciuto come fosse suo figlio. Non
sapeva che il suo vero padre era Laio, il re di Tebe, che lo aveva abbandonato
in fasce, sperando in questo modo di evitare una maledizione secondo la quale
sarebbe stato ucciso da suo figlio, scagliata contro di lui da Pelope, del
quale egli aveva violentato uno dei figli. Per questo, quando sua moglie
Giocasta aveva partorito Edipo, Laio (dopo aver forato con un ferro le caviglie
del bambino per poterlo appendere a una correggia, donde il nome Edipo, che
vuol dire «piede gonfio»), aveva ordinato di abbandonarlo.
Ma
torniamo al momento dell’incidente stradale, per così chiamarlo. Il diverbio sulla
precedenza aveva avuto luogo mentre Edipo tornava da Delfi, dove il dio, da lui
interrogato per sapere perché un compagno di giochi lo aveva chiamato
«bastardo», gli aveva dato un terribile responso: «Un giorno ucciderai tuo
padre e sposerai tua madre». Più che comprensibilmente sconvolto, Edipo non
osava tornare a Corinto, terrorizzato all’idea di uccidere quelli che credeva i
suoi genitori, e aveva preso la strada per Tebe, dove, incontrandolo, aveva
ucciso Laio: ancora non lo sapeva, ma la prima parte dell’oracolo si era
avverata, e la seconda stava per avverarsi. Proseguendo per il suo cammino,
infatti, egli era giunto alle porte di Tebe, dove aveva incontrato la Sfinge:
un essere orribile, dal corpo di leone e la testa di donna, che terrorizzava e
uccideva i Tebani, ponendo un enigma insolubile e divorando chi non sapeva
risolverlo. Ma Edipo ci era riuscito: alla domanda «qual è l’essere che cammina
a volte a due gambe, a volte a tre, a volte a quattro, ed è più debole quando
ha più gambe?», aveva risposto: «È l’uomo, che da bambino cammina su mani e
piedi, da adulto sulle due gambe, e da vecchio appoggiato a un bastone».
Sconfitta, la Sfinge si era suicidata e i Tebani, in segno di riconoscenza, gli
avevano offerto in moglie la vedova di Laio: Giocasta, sua madre. Anche la
seconda parte dell’oracolo si era avverata, e la tragedia di Edipo stava per
compiersi.
La citta era stata colpita da una grave carestia che, secondo l’oracolo, sarebbe
cessata solo quando fosse stato allontanato l’uccisore di Laio. Al termine di
una lunga inchiesta, condotta dallo stesso Edipo, la verità viene scoperta:
alla luce della spaventosa rivelazione, Giocasta si impicca ed Edipo si acceca.
Così
finisce la tragediaEdipo re di Sofocle, ma la storia non si conclude qui: a
raccontare il seguito, infatti, è di nuovo Sofocle nell’Edipo a
Colono.
Cieco,
vecchio e stanco, Edipo, con le figlie Ismene
e Antigone, che ha avuto da Giocasta, giunge ad Atene, dove un tuono annuncia
che è arrivato il momento della sua morte. Ma questo Edipo, quello che muore ad
Atene, è molto diverso da quello dell’Edipo re. E proprio
per questo è il personaggio che offre ai Greci l’occasione per riflettere sul
problema della responsabilità e della colpa.
Nell’Edipo re, infatti, quando scopre la verità Edipo si punisce accecandosi, anche se,
come ha detto, ha agito «perché era scritto». In altre parole: non aveva agito
volontariamente. Era stato il destino, erano stati gli dèi che avevano mosso la
sua mano. Ma nell’Edipo a Colono afferma che in lui non
esiste «macchia di colpa» e quindi non può essere biasimato, perché, dice, «ho
subito, non volendo, uccisioni e nozze e sventure: se l’oracolo vaticinò a mio
padre che sarebbe morto per mano mia, come è possibile accusare me, che allora
non ero stato neppur generato?»
Sono
radicalmente diversi i due Edipi
sofoclei. Per capirne la ragione bisogna pensare al momento in cui andarono in
scena: un momento in cui era ancora forte lo scontro tra la nuova civiltà
giuridica, per la quale si rispondeva solo degli atti compiuti volontariamente,
e l’antica cultura della vendetta, per la quale l’atteggiamento soggettivo
dell’agente non aveva alcuna rilevanza: contavano solo i fatti. La tragedia di
Edipo rifletteva le contraddizioni di un momento storico in cui Atene discuteva
con il suo passato.
E
adesso veniamo all’interpretazione moderna del mito. Quasi superfluo ricordare che a partire
dal 1900, anno della pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, esso è considerato
la base della teoria secondo la quale il primo impulso sessuale infantile
sarebbe indirizzato verso la madre, mentre verso il padre si rivolgerebbe il
primo impulso di odio e violenza. L’eventuale riaffiorare di simili impulsi in
età adulta sarebbe la causa di stati patologici, che la psicoanalisi dovrebbe
curare attraverso un percorso di ricerca nei meandri della psiche analogo a
quello condotto da Edipo alla ricerca della verità. Ma la storia di Edipo
raccontata da Sofocle non è l’unica che la mitologia greca ha tramandato, e non
è quella originaria.
In
Omero Giocasta (chiamata
Epicaste) si uccide, ma Edipo non si acceca né va in esilio. Egli continua a
vivere e muore nella sua città, rimanendone il re: in Omero, come ha scritto lo
storico francese Jean-Pierre Vernant, troviamo «un Edipo senza complesso», per
il quale l’incesto non era un tabù. Del resto, la Teogonia di Esiodo non è forse un susseguirsi
di incesti, che non sembrano creare alcun problema? L’incesto è aggiunto alla
storia di Edipo da Sofocle, e da lui usato con indiscutibile efficacia come
materiale tragico. L’interpretazione freudiana, basata esclusivamente
sull’Edipo sofocleo, non tenendo conto della complessità dei miti, può portare
fuori strada chi cerca di capire quello dello sfortunatissimo re di Tebe.
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