Al Niccolini
di Firenze in prima nazionale la prigionia e la lotta di Panagulis contro la
Grecia dei colonnelli 50 anni fa.
DI MARCELLO LAZZERINI, 13 FEBBRAIO 2018
E’ Carnevale
ma dallo storico teatro Niccolini di Firenze ci dicono che di questi tempi c’è
ben poco da ridere e da scherzare. Semmai da riflettere su un passato che sembrava lontano anni luce
e sul presente, carico di oscuri presagi, di terribili ombre mai del tutto
scomparse. Dunque riflettere, come e su che cosa? Sulla vicenda di un eroe forse dimenticato:
Alexandros Panagulis, che condusse una lotta impari contro la dittatura dei
colonnelli nella Grecia degli Anni Settanta, al quale Oriana Fallaci dedicò uno
dei suoi libri più intensi: Un uomo. Ebbene, alla , è
dedicata questa opera di Sergio Casesi, vincitore del Premio Pergola per la
nuova drammaturgia, in prima nazionale dal 10 al 18 febbraio, per la regia di
Giancarlo Cauteruccio. “Quell’Uomo”, mi
dice Sergio Casesi l’autore del testo, un giovane drammaturgo
milanese, “era l’incarnazione dell’Eroe. Ed essendo il tema del concorso
l’eroe, è stato naturale che proprio a lui mi sia ispirato per questo lavoro. La coincidenza vuole che
questo mio lavoro cada in un periodo in cui si celebrano i 50 anni del’ 68, ma
non è una coincidenza che questo spettacolo nasca in un momento nel quale i
rigurgiti fascisti pericolosamente si palesano”.
Che idea si
è fatto di Alekos? “L’ho sempre
considerato l’emblema dell’eroe moderno che si batte con le armi della fantasia
e dell’immaginazione, per sopravvivere alle torture ed al carcere duro, in
totale isolamento. Qui non ho voluto
raccontare solo la storia in sé, ma la
potente capacità di Alekos di
riuscire a sottrarsi all’orrore, usando le sue straordinarie ‘armi’: la
creatività, la scrittura, il disegno immaginifico. È infatti con queste armi
che Alekos riesce a liberarsi dalle pareti della ‘tomba’ e a inceppare il
sistema della dittatura”. Contagiato dall’entusiasmo di Sergio per la figura di Alekos Panagulis, gli racconto di averlo conosciuto: erano a
passeggio lui a la Fallaci in piazza Duomo a Firenze, quando con il
collega Giovanni Errera (prematuramente
scomparso) li incontrammo. Lei ci
presentò il suo Uomo. Minuto, gentile,
affabile. Poche parole di circostanza poi i due se ne andarono abbracciati e
felici. Non pensammo allora che quella intensa storia d’amore avrebbe avuto un
seguito doloroso (la perdita di un figlio da parte di lei per una lite tra i due) ed un finale
tragico per lui, dopo il suo ritorno in
Grecia, da cui se ne era fuggito proprio
insieme ad Oriana: ucciso in un incidente d’auto. Un vero e ben
organizzato attentato. L’assassinio di un uomo libero e creativo, un eroe dei
tempi moderni.
Questo
lavoro di Casesi non vuole essere soltanto la rappresentazione di una vicenda
crudele del nostro tempo, che altrove si è ripetuta sotto varie latitudini, ma
un’opera di fantasia, di immaginazione tant’è che accanto alle figure reali di
quella drammatica pagina di storia, vi sono tre figure di fantasia, la più
importante delle quali è uno scarafaggio, che diviene l’amico di Alekos: ‘Ho
idea che diventeremo grandi amici, ti chiamerò Dalì, hai proprio i baffi di Dalì’, gli dice Alekos. Oltre
all’uomo/scarafaggio, amico fedele, la cui presenza rimanda a Kafka, le altre
figure di fantasia sono un indovino cieco, un moderno Tiresia stanco e deluso e
poi i carcerieri fino a Caronte. La metamorfosi che qui si celebra è quella di
un ribelle arrestato torturato e segregato in un loculo sottoterra e al buio,
che con la poesia e la creatività, riuscirà a sconfiggere la dittatura dei
colonnelli, suscitando un grande movimento di solidarietà internazionale che
metterà a nudo l’odioso regime tirannico. “Tre personaggi immaginati da
Alekos per sfuggire alla solitudine, al
dolore fisico, alla lacerante condizione psicologica in cui è costretto. È
evidente”, aggiunge l’autore, “che tutto ruota intorno a questo moderno
Prometeo incatenato, colpevole di aver difeso il fuoco sacro della libertà e
dei diritti civili. E’ l’immaginario di Panagulis che viene messo in scena e
che prende il sopravvento sulla realtà che pure c’è e si fa sentire attraverso
la tortura, la privazione, l’incubo e l’umiliazione”.
La
storia reale di Alexandros Panagulis è
quella di un giovane studente di ingegneria
arrestato ( 1967) e condannato a morte, accusato di aver preso parte al
tentativo, fallito, di uccidere il tiranno Georgius Papadopoulus. Sentenza
sempre rinviata per il danno d’immagine che avrebbe recato al regime dei
colonnelli, ma nei cinque anni di detenzione non gli sono risparmiate
le torture e il carcere duro: ma
nonostante tutto lui non si piega al regime. Gli ultimi due anni è
rinchiuso in una cella costruita apposta per lui e chiamata La Tomba, perché
poco più grande di un sepolcro. Alla caduta del regime è liberato da quella che
considera una finta democrazia contro la quale continuerà la lotta. Qualche
giorno dopo l’uscita dal carcere incontra la giornalista fiorentina per
un’intervista. Nasce così la loro
storia d’amore che durerà fino
alla sua tragica morte. E che Oriana
farà rivivere nel libro a lui dedicato: Un uomo, appunto.
“Nel suo
libro Oriana Fallaci dimostra che la libertà di un solo individuo può inceppare
il sistema, far saltare le certezze di un regime totalitario, smascherare e
forse superare, le miserie degli uomini di regime. Ed è proprio la volontà
dell’immaginazione che si è voluto inscenare“, afferma il regista Giancarlo
Cauteruccio. “E’ con le straordinarie ‘armi’, della fantasia che
Alekos riesce a liberarsi dalle pareti della ‘tomba’ e a inceppare il sistema
della dittatura. E proprio come lui rompe con l’immaginazione i confini dello
spazio in cui è rinchiuso, anche qui si superano i confini fisici della scena,
creando una relazione tra spazio fisico e spazio immateriale. Così facendo,
l’attore e lo spettatore vivono il medesimo spazio e possono avvertire le
stesse vibrazioni, le stesse energie”.
Cauteruccio
è noto per aver dato vita, in anni lontani all’esperienza di Kypton,
laboratorio per l’esplorazione e l’uso di nuove tecnologie ma soprattutto per
aver inventato e gestito per un lungo periodo il Teatro Studio di Scandicci,
noto luogo di sperimentazione teatrale. Ora, Marco Giorgetti, Direttore
generale Fondazione Teatro della Toscana gli ha affidato la regia
di questa nuova produzione della Fondazione stessa, che inaugura un
ciclo dedicato alla drammaturgia contemporanea in uno dei più antichi teatri di
Firenze, restituito dopo 25 anni di chiusura alla città da un imprenditori come l’editore
Mauro Pagliai. “Molte domande si
incrociano oggi sul teatro”, riprende Cauteruccio, “sul ruolo sperduto del drammaturgo, sullo
scrivere. E molte domande sul ruolo politico del teatro, sulla sua mancata
centralità. Sembra indebolirsi l’idea di teatro come luogo della coscienza,
della riflessione. Come luogo della parola, del gesto, dell’incontro e della
coscienza.
Prigionia di
Alekos “tenta di porsi nel punto di intersezione di queste domande e lo fa
attraversando il mito moderno di Alexandros Panagulis, nuovo Prometeo, come
descritto da Oriana Fallaci in Un Uomo. Il racconto di colui che sconfisse la
dittatura dei colonnelli con la poesia e la creatività ci permette di indagare
i valori profondi dell’esistenza umana, i fondamentali della vita, elevando la
libertà individuale a spazio politico condiviso, a pensiero etico e spirituale.
Se tornassimo alla poesia anche del teatro si vivrebbe meglio. Solo la
cultura”, conclude Cauteruccio, “può aiutarci a comprendere i fenomeni che ci saltano addosso.
Chiedo al
regista: quale messaggio o aspetto su cui riflettere, oltre al tema della
fantasia che supera ogni confine e di una drammaturgia che ricerca uno spazio
etico e politico condiviso, ci può fornire questa Prigionia di Alekos? “Che anche la cella carceraria da ‘non luogo’
muta in paesaggio, quando il pensiero poetico del protagonista nega la sua
condizione, inoltre rivela la fragilità
e stupidità del potere quando questo viene affrontato in un corpo a corpo spietato,
e riafferma la forza visionaria
dell’arte, che attraverso la parola poetica si fa generatrice di vita, quando
questa viene messa a repentaglio dall’umana inimmaginabile violenza. Casesi
contrappone con saggezza la poesia alla miseria del potere, della politica, dei
totalitarismi, di cui oggi siamo costretti ancora a parlare”.
“Infine, un
lavoro come questo”, conclude il regista, “ci dice che in un’epoca di
macerie si può ricostruire una comunità”. E oggi viviamo in un’epoca di
macerie. Alekos è interpretato da Fulvio Cauteruccio, con lui in scena Roberto Visconti, Domenico Cucinotta, Carlo
Sciaccaluga, Francesco Argirò, alla fisarmonica Francesco Gesualdi, voce off
Claudia Ludovica Marino, musiche Ivan Fedele, scene André Benaim, costumi e
immagini Massimo Bevilacqua. Repliche fino al 18 febbraio al Teatro Niccolini
di Firenze.
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