I recenti
episodi nelle acque dell'Egeo, il caso della piattaforma Saipem e le pretese di
Erdogan nel punto di Francesco De Palo.
21/02/2018
La Turchia
minaccia di invadere la Grecia? Se lo chiede il giornalista turco, Uzay Bulut,
in una lunga analisi pubblicata sul magazine Usa Gatestone Institute. Punto di
partenza il recente episodio che si è verificato nelle acque dell’Egeo con lo
scontro tra il pattugliatore greco “090 Gavdos” e il turco “Umut” della Guardia
Costiera, dopo che Ankara aveva violato lo spazio aereo greco per 138 volte in
un giorno.
SCONTRI
Lo scorso 13
febbraio è stata colpita una nave della guardia costiera greca vicino
all’atollo di Imia, una delle tante isole greche per le quali la Turchia
rivendica la sovranità. Ma è stato solo l’ultimo di una lunga serie, come
accaduto lo scorso 2 agosto, quando undici F16 turchi avevano sconfinato per 12
ore di seguito nei cieli greci, provocando tredici decolli di aerei greci
destinati ad intercettare gli intrusi. Immediata fu la reazione del ministero
della Difesa di Atene che aveva segnalato l’episodio alla Nato e alle autorità
internazionali. Gli sconfinamenti si concentrano nelle isole dell’Egeo
orientale, come Limnos, Lesvos, Samos e Chios. Qualche giorno prima, il 28
luglio, un aereo spia turco CN-235 era stato respinto dall’aviazione greca.
Il partito
di Erdogan, l’AKP, in Turchia sostiene (assieme a gran parte dell’opposizione)
che un giorno o l’altro conquisterà quelle isole greche, con la logica che si
tratta in realtà di territorio turco. E dopo la debole risposta euroitaliana
contro lo schiaffo turco all’Eni, nel Paese questa consapevolezza aumenta. Sul
caso, ecco l’annuncio della marina militare turca che ha deciso di prolungare
sino al 10 marzo l’avviso relativo alle sue attività militari (Navtex) al largo
di Cipro nel Mediterraneo. Ufficialmente è questo il motivo che da 10 giorni
sbarra la strada alla nave da perforazione noleggiata dall’Eni Saipem 12000
impedendole di raggiungere la zona della ZEE di Cipro su licenza di Nicosia. E
che rappresenta il vulnus della reazione turca circa le pretese che Erdogan
avanza su quelle acque, pur non essendo confortate da leggi o trattati
internazionali.
Infatti il
trattato di Montego Bay, del 1982, sostiene che la sovranità dello Stato può
estendersi per massimo dodici miglia fino ad una zona di mare adiacente alla
sua costa, il cosiddetto mare territoriale, su cui il singolo Stato esercita le
proprie prerogative. Invece lo sfruttamento esclusivo di minerali, idrocarburi
liquidi o gassosi, che riguarda nello specifico il caso cipriota, si estende su
tutta la propria piattaforme continentale, intesa come il naturale
prolungamento della terra emersa sino a che essa si trovi ad una profondità più
o meno costante prima di sprofondare negli abissi. Per cui lo Stato costiero
legittimo, come è Cipro stato mebro dell’Ue, e non la parte nord occupata dalla
Turchia e autoproclamatasi Repubblica turca di Cipro nord non riconosciuta
dall’Onu, è unico titolare del diritto di sfruttare tutte le risorse biologiche
e minerali del suolo e del sottosuolo.
GLI ANNUNCI
DELLA POLITICA
Un mese fa
Kemal Kilicdaroglu, leader dell’opposizione CHP, ha detto che quando vincerà le
elezioni nel 2019, “invaderemo e prenderemo più di 18 isole greche nel Mar
Egeo”, perché non c’è “nessun documento” per dimostrare che queste isole
appartengono alla Grecia.
Maral
Askenner, capo della neonata opposizione “Good Party”, ha anche invocato
l’invasione e la conquista delle isole con un tweet: “Ciò che deve essere
fatto”, ha scinguettato il 13 gennaio scorso.
Ed Erdogan
ha chiuso con una frase sibillina: “Mettiamo in guardia coloro che hanno
superato la barra nell’Egeo e Cipro”. E ha accostato la contingenza siriana con
l’invasione militare nella regione Afrin al Mar Egeo e a Cipro. “Non pensate
che la ricerca di gas naturale a Cipro e l’opportunismo nell’Egeo rimangono
inosservati dal nostro radar” ha detto pochi giorni fa alla stampa locale.
E in
riferimento ai giorni passati dell’Impero Ottomano, il Presidente ha
continuato: “Quelli che credono di aver sradicato dal nostro cuore le terre che
abbiamo perso cento anni fa sbagliano. In ogni occasione ripetiamo che la
Siria, l’Iraq e altre parti della mappa non sono separate dalle terre della
nostra patria. Combattiamo perché nessuna bandiera di uno stato straniero vada
dove risuona l’appello islamico alla preghiera”.
TRATTATO DI
LOSANNA
Il
ritornello che Ankara ripete da almeno cinque anni è relativo alla
contestazione del Trattato di Losanna, che nel 1923 disegnò i confini nell’Egeo
ma anche quelli territoriali tra Turchia, Iraq e Siria. Il Trattato di pace,
firmato nel luglio 1923 tra Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia,
Romania, Jugoslavia e Turchia, aveva per l’appunto fissato i confini del nuovo
Stato turco formatosi dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano. Due anni fa
per la prima volta Erdogan aveva annunciato ufficialmente di volerne una
revisione, con la motivazione che non fosse vantaggioso per il suo Paese, ma
trovando l’opposizione del governo greco.
Tra l’altro
proprio le isole contese, nella zona più orientale dell’Egeo, sono nuovamente
al centro del caso migranti con gli sbarchi che ricominciano: 117 tra migranti
e rifugiati sono arrivati negli ultimi tre giorni a Lesbo, a Chio e a Samos
mentre nel solo mese di febbraio sono stati in totale 575 gli arrivi, con ben
17 incidenti in 30 giorni tra gommoni affondati e scafisti che li hanno
abbandonati in panne.
ALTA TENSIONE
Inoltre da
tre giorni al confine settentrionale tra Grecia e Turchia, nei pressi del fiume
Evros, si stanno svolgendo una serie di esercitazioni militari turche con un
intenso movimento di truppe di stanza nella base di Adrianopoli, con carri
armati, mezzi alfibi e soldati che hanno contribuito ad aumentare la tensione.
Lo scorso
lunedì un motoscafo era stato intercettato dalla Guardia Costiera greca mentre
trasportava illegalmente migranti dalla costa turca di Faliraki a Rodi. Dopo la
localizzazione però non ha potuto procedere al salvataggio per l’ostruzionismo
di un aereo turco e un elicottero che volavano a un’altezza molto bassa sopra
il porto di Harnos, impedendo il salvataggio dei migranti. Sopo dopo 3 ore le
autorità greche sono riuscite a trasferire i 15 migranti irregolari nel porto
di Rodi.
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