Il 20
febbraio di 275 anni fa, un tremendo terremoto con epicentro in Grecia fece
squassare il suolo in tutta la Terra d'Otranto, sulla cui costa orientale fece
schiantare persino uno tsunami! Era l'anno 1743. Quasi ogni città fu.
Alessandro Romano, Manduria, 21 febbraio 2018
“Il 20
febbraio 1743 gli abitanti di Melendugno videro tramontare il sole dietro le
pietrose campagne delle Serre mentre un’aria color ruggine incombeva
sull’abitato. I contadini osservarono a lungo quel cielo malato, carico di
tinte infuocate, e subito decisero di far ritorno dai campi sui loro carretti
cigolanti lungo i sentieri.Le case assicuravano l’intimità della famiglia.
mentre fuori una rabbiosa tramontana frustava le chiome degli ulivi, confuse
con il livido del cielo. Verso mezzanotte, di colpo, fu tutto un silenzio: si
calmò il vento come per un ordine superiore; le oche nelle corti starnazzavano
impaurite e le cagne atterrite afferrarono stretti tra le zampe i cuccioli; le
bestie nelle stalle scalpitavano, cercando di liberarsi dalle mangiatoie; i
gatti miagolando, scappavano sbandati per le strade deserte. All’improvviso un
violento tremolio scosse la terra. Si staccavano calcinacci dai soffitti, gli
ammezzati di legno scricchiolavano, ed i bimbi strappati dal sonno scoppiavano
in pianti a dirotto, cercando le braccia delle madri. Gli uomini più solerti,
agguantata la famiglia, cercavano rifugio nei campi, ma un’altra terribile
scossa li fece sdraiare bocconi per terra e chiedere aiuto, rivolti al cielo.
Una terza volta un fracasso infernale sembrava volesse inghiottire Melendugno
nell’abisso.Qualcuno allora vide una pia donna che, lasciandosi dietro, lungo
la strada, briciole di pane benedetto, si dirigeva verso la chiesa per pregare
San Niceta, il protettore. Improvvisamente si udì un rumore di zoccoli, quasi
un galoppo, sempre più vicino, sulle tracce lasciate dalla donna con le
briciole di pane. Nei pressi del sagrato, al buio, si distinse il profilo di un
cavaliere che, tirando forte il morso al cavallo scalpitante, sguainò la spada
e la posò sul capo della donna, che pregava e piangeva.
Subito dopo,
spronato energicamente il destriero, il cavaliere si allontanò nella notte. La
buona donna, baciando il cielo e la terra, levò canti di lode al santo patrono
Niceta, che aveva salvato il paese dal terremoto. Poi andò a trovare i
compaesani fuggiti nelle campagne per narrare loro l’accaduto. Quasi nessuno
volle prestare fede alle parole della donna. Si narra però che la poveretta
visse per altri tre anni, duranti i quali gli abitanti di Melendugno,
puntualmente a mezzanotte tra il 19 e il 20 di febbraio, avrebbero udito il
galoppo di un cavallo per le vie del paese. Da quel tempo la gente di
Melendugno festeggia San Niceta del Terremoto, in segno di riconoscenza al
Santo Protettore per il miracolo con cui aveva salvato il paese dalla
catastrofe”.
Dipinto raffigurante il terremoto in Terra d'Otranto nel 1743 © Alessandro Romano
Il campanile
della chiesa di San Domenico ricorda con un epigrafe il miracolo avvenuto, e la
sua ricostruzione, avvenuta due anni dopo…
Ancora oggi
gli anziani del paese raccontano che durante quelle scosse, le statue del
Patrono e quella della Madonna (posta sulla guglia, e situate ai lati opposti
della piazza), quasi si toccavano!
Nardò fu la
città che pagò col numero più alto di vittime, in tutto il Salento. Ma anche
altre città pagarono grandi distruzioni, prima fra tutte Francavilla Fontana.
Questa è una testimonianza dell’epoca, che viene proprio dai momenti in cui si
festeggiava in paese il Carnevale… “in sulle ventritè ore e tre quarti si
avvertì un memorabile terremoto. La scossa fu così violenta che le genti dal
muoversi delle pareti che barcollavano, tentennavano e sfasciavansi, fuggivano
senza saper dove. Fu un orribile spettacolo. Le maschere in giro pel carnevale,
prese da superstizioso terrore, si spogliavano delle vesti, scappavano a torme,
si nascondevano. La principessa Eleonora Borghese, corse rischio d’essere
schiacciata sotto l’arco della porta Roccella. Le case dell’alloggiamento quasi
si toccarono con la vicina Chiesa Madrice. In questa molti corsero per
riparare, ma a mezzo del cammino incontravano i volti pallidi e paurosi dei
preti, i quali fuggivano vedendola screpolata e quasi caduta. Voci di frati
preganti, pianti, grida e rumori vaghi e misteriosi e crollamenti di case,
scoppiavano nell’aria già abbuiata. Il mattino appresso la scena si rivelò in
tutto il suo orrore. Molte case e palazzi non erano più abitabili. Della Chiesa
Colleggiata, il cappellone verso le monache era presso che rovinato; niente era
rimasto del coro e dell’altare maggiore; in tutta c’erano tali screpolature che
parve impossibile qualsiasi riparazione”.
Anche a Lecce la mancanza di seri danni parve miracoloso, e l’evento è riportato in una tela custodita all’interno della Basilica di Santa Croce, dove manco a dirlo si inneggia al Patrono della città, e alla protezione accordata: Sant’Oronzo. Curiosa l’epigrafe, che sottolinea nel dialetto cittadino dell’epoca, che nonostante la città tremasse, non cadde un solo mattone.
Sotto,
vediamo un’altra tela, custodita nella sagrestia della chiesa di Santa Irene,
sempre a Lecce, commissionata da un certo Domenico Mondatore, come si legge
nell’iscrizione posta in basso alla classica immagine di Sant’Oronzo che
sovrasta la città, e che recita così: “In memoria del gran miracolo che il gran
Santo protettore si degnò farci l’anno 1743 liberandoci dal gran terremoto. Per
il suo oratorio delle anime del Purgatorio A.D. 1780”. Bella è anche la
“visione” della città settecentesca.
Lo storico
ottocentesco Cosimo De Giorgi racconta di un graffito che lui ritrovò sulla
chiesa del suo paese, a Lizzanello, oggi purtroppo illeggibile, ma che lui
trascrisse sui suoi “Bozzetti di viaggio”, e recitava così: “A XX febraro fece
terremoto magno a l’anno 1743”.
Sul muro
della chiesa matrice di Sternatia, invece, l’epigrafe di questo tremendo
ricordo è rimasta quasi intatta (sotto), anche se per leggerla interamente è
più semplice studiarla dal vivo: chi la lasciò, ebbe premura di incidere anche
una sorta di “cornice” a questo breve messaggio da quei giorni di paura.
A Brindisi
crollò quasi interamente la cattedrale romanica, ed oggi un’epigrafe ricorda
l’evento…
Anche a
Calimera c’è un’iscrizione, all’interno della chiesa dell’Immacolata, che
ricorda la distruzione e poi la ricostruzione dopo il cataclisma.
Fra le cittadine che subirono i danni maggiori oltre Nardò e Francavilla, citiamo Lizzano (dove il terremoto provocò l’inclinazione del Castello e il crollo di una buona parte del centro storico), Maruggio (distruzione del rosone della chiesa madre) e Sava (lesioni del Santuario della Madonna di Pasano). A Mesagne, ogni anno in occasione della ricorrenza dell’evento, parte una processione devozionale dalla chiesa della Madonna del Carmine.
Condivido
anche la foto sopra (dell’amico Ioannes Del Sorriso), che mostra la statua
della Madonna del Terremoto (siamo a Manduria): fu commissionata all’indomani
del terremoto dalla confraternita di San Leonardo e San Sebastiano. I
cittadini, per lo scampato pericolo, fecero erigere inoltre, nei pressi del
largo Osanna (ora giardino pubblico) una colonna con la statua in pietra
dell’Immacolata, e dipingere sulla porta pubblica detta porticella, una
affresco in cui era raffigurato il campanile distrutto della chiesa matrice, e
tra le macerie la mano protettrice della Vergine Immacolata.
Il fatidico anno 1743 è rimasto impresso anche in qualche altro luogo, non sappiamo se associato all’evento, ma certo lo si può supporre. Qui sopra siamo nel chiostro dell’ex convento di Sogliano Cavour, oggi sede comunale, e sull’accesso che introduce alla chiesa si vede la data incisa ai due margini superiori del portale.
Sopra siamo a Castiglione d’Otranto, e anche qui è rimasta un’architrave che curiosamente reca incisa proprio la data di quell’anno: 1743. Non sappiamo se si riferisca a quell’avvenimento. Ma questo ricordo epocale è rimasto praticamente in tutte le città salentine. Una catastrofe che secondo alcuni studiosi scagliò sulla costa otrantina uno tsunami, i cui resti sono i giganteschi massi provenienti dai fondali che si trovano sulla scogliera sotto la Torre di Sant’Emiliano…
L’incredibile onda arrivò a due riprese, ed infatti a ben guardare, vi sono due linee di massi disposte parallele, a circa un centinaio di metri dalla linea costiera… massi di parecchie tonnellate ciascuno…
L’unica fonte storica che porta con sé le tracce di questo tsunami si trova a Brindisi, pubblicata anche dal blog di Brundarte: “A dì 20 febbraro 1743, giorno di mercoledì, all’ore ventitré e tre quarti fu in questa città un terribilissimo tremoto, che in tre repliche durò minuti due, e fu così orribilissimo che rovinò tutte l’abitazioni, palazzi, molti caduti, e molti non atti ad esser abitati, ma tutte le case generalmente danneggiate, e risentite molto. Il domo non più atto a farsino i sacrifici e le funzioni divine, tanto che noi capitolari officiamo a Santa Chiara, per poi determinare dove dobbiamo rimeterci; li Riformati, patito il lor dormitorio, dormono in cucina, e refettorio; i Cappuccini cadé la campana, e fece danno a tre loro celle; cascò pure la campana delli Agostiniani; le chiese delle monache patite, ma di ambi i monasterj i dormitori danneggiati, e così nessuna chiesa, o casa rimasta illesa. Un frate zoccolante, paesano, figlio di Giovanni Caravaglio, morì dopo ore per esserli cascato un muro sopra, di una casella, avanti il palazzo di Pascale Blasi alla marina; il novo seminario precipitato dalla facciata, e così pure tre camere del palazzo di monsignor arcivescovo Madalena. È morta pure avanti la Conserva una figliola di tre anni coricata in letto dormendo, che le cascò la casa sopra; e finalmente, è stato così spaventoso, che ritirandosi il mare, faceansi vedere aperture della terra, et il molo di porta Reale diviso in tre parti; noi col clero capitolare il dì seguente andassimo ad officiare a Santa Chiara, et il dì 25 poi siamo andati alla chiesa delle monache degli Angioli, dove stiamo continuando tutti i preti senza eddomada, e colla pontatura. A 26 detto venne qui il signor Mauro Manieri di Lecce, ingegnere, e mastro Pascale… di Martano, muratore, li quali consigliorno a monsignore Madalena che se ne calasse dal suo palazzo, atteso il pericolo che minaccia/va lo smantellare la chiesa cattedrale, come infatti, il dì 28 se ne calò, e andò a dormire in casa del cantore d. Lazaro Bonavoglia, et si è incominciata a smantellar la chiesa cattedrale; a primo marzo si finì di demolire la prima nave, o sia lamia di mezzo del domo, e la sera si ritirò monsignore arcivescovo in sua casa. Oggi, 3 marzo, si è fatta, dal capitolo con molti regolari, processione di penitenza, partendosi il capitolo dagli Angioli dove officiava, e andò al Santissimo Crocefisso di San Domenico. Per strada si cantarono le litanie di tutti i santi, e nel S. Cristo < dei Domenicani > le litanie; e questa mattina, 4 detto, si è fatta processione a San Paolo per la santissima Concezione al di cui altare si è cantata la messa. Questa mattina, 5 marzo, si è cantata dal capitolo la messa a san Giuseppe in San Benedetto, andando in processione per ringraziamento al Signore per liberazione della morte pel flagello del terremoto.” (P. Cagnes e N. Scalese – Cronaca dei Sindaci di Brindisi 1529-1787. Ed. Amici della De Leo – Biblioteca Del Rotary Club di Brindisi). Una testimonianza veramente eccezionale: il dettaglio che descrive il porto di Brindisi con il livello marino notevolmente abbassato la dice lunga. L’assenza di altre fonti riguardo alla catastrofe proveniente dal mare sarebbe causata dalle paludi che interessavano il litorale all’epoca, che lo rendeva praticamente disabitato. A quanto pare lo tsunami pare esserci stato davvero. Ma questa è un'altra storia.
Visita anche: http://www.salentoacolory.it
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