Con la
limitazione al diritto di sciopero cade la retorica governativa che chiedeva
austerità oggi in cambio di un sistema di relazioni industriali migliori per il
domani.
di Paolo Rizzi, 03/02/2018
Ad Agosto la
Grecia tornerà sul mercato dei titoli di stato e non avrà bisogno di linee di
credito preferenziali. O almeno, ne sono convinti il capo del governo Alexis
Tsipras e il ministro delle finanze Euclid. Tsakalotos.
Lo stesso
ottimismo non è condiviso al di fuori della Grecia. Il Fondo Monetario
Internazionale continua a sostenere che la Grecia abbia bisogno di un
consistente taglio del debito pubblico prima di potersi reggere sulle proprie
gambe. Gli altri creditori sono di opinione differente. In questo senso può
essere indicativa l’opinione di Thomas Wieser, uno principali consiglieri
dell’Eurogruppo (l’incontro dei ministri della finanze dei paesi europei)
considerato da Varoufakis come un personaggio chiave “in tutte le politiche e
in tutte le forzature che hanno portato all’immolazione della Grecia e
all’ignominia dell’Europa”. Secondo Wieser un taglio del debito ad Agosto
sarebbe possibile, ma sarebbe sottoposto a delle condizioni. In pratica, si
ripresenterebbe la situazione degli ultimi anni: riforme antipopolari in cambio
di uno sconto sul debito.
La riunione
dell’Eurogruppo del 22 gennaio ha dato il via libera a un nuovo blocco di
“aiuti” finanziari. Per la precisione si tratta di 5 miliardi e 700 milioni di
euro destinati in grandissima parte a coprire gli interessi sul debito e a
permettere allo stato greco di pagare gli arretrati. L’Eurogruppo non si è
espresso sul futuro degli “aiuti” finanziari ad Atene. Anzi, come sintetizza il
sito KeepTalkingGreece “hanno detto all’incirca che è una decisione che spetta
ai greci”. Come dire: “Voi potete uscire dal programma di aiuti, ma poi sono
fatti vostri”.
Ancora in
sciopero
Per
sbloccare gli “aiuti”, il Parlamento greco ha dovuto approvare una nuova serie
di riforme. Tra le 1.500 pagine della legge approvata, c’è di tutto: dal taglio
al welfare per le famiglie alla possibilità di mettere all’asta le case
pignorate agli inquilini morosi.
Tra i tanti
provvedimenti, risalta uno particolarmente anti-sindacale: la restrizione al
diritto di sciopero. Secondo la nuova legge, il sindacato potrà dichiarare
sciopero solo col voto favorevole del 50% degli aderenti, in precedenza la
norma prevedeva il 30%. Anche se l’efficacia della norma potrebbe essere
limitata, dato che i sindacati greci non hanno una copertura molto alta, si
tratta di una rottura netta col sindacato da parte di Tsipras. Dalla firma del
memorandum di austerità a oggi, il governo greco aveva cercato di mantenere una
retorica per cui doveva accettare misure sociali regressive ma preparava il
terreno per un ritorno in un secondo tempo della capacità dei lavoratori di
contrattare la propria posizione. In pratica: austerità oggi in cambio di un
sistema di relazioni industriali domani. Ora, però, questa retorica cade.
A Dicembre e
Gennaio due scioperi generali hanno fermato il paese, chiamati sia dai
sindacati confederali ADEDY e GSEE sia dal sindacato comunista PAME. Come hanno
riconosciuto anche i media internazionali, gli scioperi hanno paralizzato il
settore pubblico e causato rallentamenti anche nel privato. Da qualche anno in Grecia
gli scioperi generali non avevano questo impatto.
Durante le
manifestazioni del PAME c’è stato anche un’irruzione nel Ministero del Lavoro.
Si tratta di un evento notevole, dato che il sindacato si era sempre espresso
contro azioni di questo genere. All’apice delle proteste contro l’austerità, i
militanti del PAME e del Partito Comunista di Grecia (KKE) difesero il
Parlamento dall’assalto di gruppo anarchici.
Come già
detto, scioperi e mobilitazioni non sono mancati in questi anni in Grecia, ma
la loro portata si è ridimensionata, come è naturale dopo un picco di conflitto
come quello del 2011-2012. E come è naturale dopo una tremenda sconfitta come
quella del tentativo di SYRIZA di contrattare con le autorità europee. Questo
ciclo di scioperi ha riportato in manifestazione decine di migliaia di lavoratori
in sciopero, come riportato anche dai media più ostili al movimento operaio.
Il
provvedimento sugli scioperi ha già avuto ripercussioni anche al livello dei
rapporti internazionali di SYRIZA. Il Parti de Gauche (fondato da Melenchon nel
2008) ha richiesto al Partito della Sinistra Europea (SE) di escludere SYRIZA
dalle proprie fila. Secondo il PG, è diventato impossibile per molti aderenti
alla Sinistra Europea condividere uno spazio con un partito che “ha spinto la
sua logica di austerità fino ad attaccare il diritto di sciopero”. La richiesta
è stata immediatamente condannata dal Presidente della SE, il tedesco Gregor
Gisy, ma segnala la crescita delle tensioni interne alla formazione, che già si
erano manifestate durante il congresso del Dicembre 2016.
Il
nazionalismo
Altre
manifestazioni hanno riempito le piazze. A Salonicco si è svolta una grande
manifestazione nazionalista. 90mila partecipanti secondo le forze dell’ordine,
500mila (numero assolutamente improbabile) secondo gli organizzatori. La manifestazione
si è svolta sulla questione della Macedonia.
Formalmente,
lo stato macedone ha assunto il nome di Ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia
(FYROM) data l'opposizione dei governi greci all'uso del nome
"Macedonia". In effetti, il governo greco si riferisce alla FYROM
solo col nome della capitale, Skopjie. Formalmente perché già una regione greca
si chiama Macedonia e per questioni storiche risalenti a Alessandro Magno. In
pratica, perché il nazionalismo greco ha sempre considerato quel territorio come
un territorio rubato dagli slavi. Nel corso degli anni le trattative hanno
portato all’eliminazione dalla Costituzione della FYROM delle pretese
territoriali macedoni sulla Grecia.
La questione
è ovviamente sobillata dai potenti ambienti militari e religiosi. Una nuova
manifestazione è in programma per domenica 4 febbraio e l’Arcivescovo Girolamo
II di Atene ha già espresso sostegno.
La vicenda
macedone apre una nuova grana per il governo Tsipras che nei negoziati
internazionali cerca di mantenere un equilibrio tra il buon senso (tutto il
mondo tranne la Grecia usa il nome Macedonia) e il fronte interno. Gli alleati
di governo di Tsipras, i nazionalisti di ANEL, hanno scelto di non prendere
parte alla discussione sulla Macedonia, ma sono in evidente difficoltà. Nelle
manifestazioni nazionaliste emerge un nome di un nuovo possibile leader per il
nazionalismo greco: l’ex generale Frangoulis Frangos, già ministro della difesa
per un mese durante il 2012. Per ora sono solo speculazioni, ma un nuovo
partito della destra potrebbe ridimensionare i nazisti di Alba Dorata, spazzare
via ANEL e incassare il sostegno della Chiesa Greca. E potrebbe obbligare il
centrodestra a una futura Grande Coalizione con SYRIZA.
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