Un saggio a
più mani per scoprire come si è evoluto il nostro rapporto verso i «selvaggi».
Matteo Sacchi - 23/02/2018
Si fa presto
a dire barbaro. Del resto la parola, onomatopeica, ha appena tre sillabine, ed
è frutto della fantasia degli antichi greci.
Secondo loro
gli stranieri quando parlavano emettevano una sorta di incomprensibile
«Bar-bar», che era il modo in cui dalle parti di Atene si scriveva quello che
per noi è «Bau-bau», l'abbaiare dei cani.
Però l'idea
di barbaro nel corso del tempo ha spesso cambiato significato. Il barbaro, a
seconda della moda che tira, può essere: cattivo (per l'ateniese medio e per Tucidide),
virtuoso (per Tacito), ignorante (per Plinio), spontaneo (per Rousseau), sexy e
muscoloso (per Robert E. Howard), repellente e reumatico (per Terry Pratchett),
morigerato (per Montesquieu), il padre di tutti i vizi (per Eschilo), uno
specchio in cui guardarsi e ritrovarsi (per i tedeschi del XIX secolo ansiosi
di crearsi una mitologia nazionale)...
Tutti questi
cambiamenti culturali sono raccontati in un libro curato dal medievista
francese Bruno Dumézil pubblicato dalle edizioni Leg e che si intitola proprio
I barbari (pagg. 106, euro 14). Non è una storia dei barbari, anche perché per
qualunque popolo i barbari sono sempre gli altri, ma una storia dell'idea di
«barbari». Il volume contiene un sacco di chicche, si parte dalla Grecia
classica e si segue l'evoluzione della parola e dell'idea attraverso i secoli e
i contributi intellettuali dei più diversi autori: da Dionigi di Alicarnasso
sino agli scrittori arabi che presero in prestito la parola (la usarono per i
Berberi africani).
Ma forse la
parte più interessante è quella finale dell'agile volumetto, a firma di Sylvie
Joly, che prende in esame la modernità. Un'epoca in cui la barbarie è stata
reinventata. Spesso in senso assai positivo. Certo, con gli umanisti sembrava
che si fosse iniziato nel peggiore dei modi. Innamorati della romanità,
vedevano il barbaro come il primo colpevole del Medioevo. Così, ad esempio,
l'umanista Flavio Biondo (1390-1436), che inventò in maniera dispregiativa il
termine «gotico», ovvero una architettura e una scrittura che erano roba da
Goti. Poi però il clima cominciò a cambiare rapidamente, grazie al risveglio
delle varie nazionalità. I romani divennero gli oppressori e i vari ribelli
alla romanità dei barbari eroici precursori dell'orgoglio Britannico, Francese,
Tedesco. Dai galli ai franchi, passando per i germani e i celti della regina
Budicca, tutte le nazioni si trovarono il proprio eroe barbarico. Ne nacque
anche un'archeologia nazionale a cui molto deve l'idea moderna di museo.
Nacquero così ad esempio il Römisch-Germanisches Zentralmuseum o il museo
nazionale di Copenaghen. Insomma, il museo etnografico va considerato «roba da
barbari». Ma il meglio è arrivato con la cultura di massa. Comodi e felici sul
nostro divano, ma un po' annoiati, abbiamo iniziato a considerare il mondo
mitico dei barbari come una specie di età dell'oro. Ecco allora spuntare Conan
il Barbaro, concepito nel 1932 dallo scrittore Robert E. Howard e diventato in
seguito anche un classico del cinema. E poi sono arrivati anche i barbari moderni,
i barbari di ritorno. Il giornalista Hunter S. Thompson nel suo libro sugli
Hell's Angels li descrive come «un'orda di vandali saldati ai loro bestioni,
come dei Gengis Khan su un cavallo d'acciaio». Del resto le stesse bande di
motociclisti sceglievano nomi evocativi delle antiche orde, come Pagan's,
Mongols, Vikings.
Ma il
fenomeno è diventato ancora più evidente negli ultimi anni. Anche a partire
dalle serie televisive. History channel ha lanciato una serie chiamata
Barbarian Rising, dove i Romani sono ridotti solo e soltanto ad imperialisti
cattivi. La nuova serie Britannia, in tempi di Brexit sembra non parlare solo
al passato... Un nuovo nazionalismo che fa leva sul mondo antico (a torto o a
ragione non sta a noi dirlo)? Potreste dire che è solo cultura pop che gioca
con l'antichità. Ma se date un'occhiata a Le Figaro Litteraire di settimana
scorsa c'è un gigantesco articolo che rivaluta Vercingetorige, un eroe che si
batte contro la mondializzazione romana, il tutto a partire da una biografia
del capo gallico appena editata da Gallimard (Vercingétorix di Jean-Louis
Brunaux). E qui si passa al ribaltamento: che che ne dicesse Giulio Cesare i
galli, secondo l'autore, erano molto grecizzati (anzi in osmosi col mondo
greco) e colti, anche se profondamente autonomi. Insomma alla fine i barbari
sarebbero quasi i legionari venuti da Sud che poi, da vincitori, avrebbero
calunniato il nemico... Ma lo dicevamo all'inizio, ognuno è il barbaro di
qualcun altro. E più si è civili più si ha voglia di sentirsi barbari (dal
divano però...).
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