I lavori
della metropolitana e i nuovi reperti archeologici: un elemento fondamentale
per riscrivere la storia di Napoli.
Michele De Rosa, 11/02/2018
Da un paio
di anni a questa parte, Napoli è diventata un enorme cantiere: la costruzione
delle nuove stazioni della metropolitana ha contribuito non solo ad intasare la
circolazione viaria, ma anche a riportare alla luce nuovi reperti archeologici.
In una recente intervista, Emanuele Greco, ex direttore della scuola italiana
di Atene ha sottolineato l’enorme ruolo che i suddetti reperti hanno avuto nel
tracciare la storia della città.
Il Centro
Storico di Napoli è oggetto di notevole interesse per i turisti, che ancora
riescono ad apprezzare l’impianto urbanistico dell’antica Neapolis, progettata
secondo l’impianto di Ippodamo di Mileto (498 a.C. – 408 a.C.). Tuttavia –
asserisce Greco – parlare di decumani e cardini è sbagliato: Napoli nasce come
città greca e greca è rimasta per secoli e secoli; si può parlare piuttosto di
plateiai e stenopoi.
Gli scavi
delle stazioni “Toledo”, “Municipio”, “Università” e “Duomo” (quest’ultima
ancora non terminata) sono stati i più fruttuosi in questo senso; a Piazza
Nicola Amore, nello specifico, è stato rinvenuto un busto di un esponente della
gens “Giulio-Claudia”, forse Nerone Cesare; Tra la fine del 2003 e i primi mesi
del 2004, sono stati ritrovati i resti del tempio di età Augustea, costruito in
occasione dei giochi Isolimpici, e una fontana marmorea di XII secolo con il
disegno di un’imbarcazione diretta verso un castello. Ciò che però ha suscitato
l’attenzione dell’archeologa Daniela Giampaola sono stati la pavimentazione
d’ingresso dell’antico Gymnasium, lo scheletro di un bambino e soprattutto i
resti di un antico tempio di V secolo a.C.
Sulla base di
quest’ultimo ritrovamento, possiamo affermare con certezza che Napoli non venne
fondata nel 470 a.C., ma almeno cinquant’anni prima, intorno al 520 a.C.
Il
territorio era popolato già nel Neolitico, ma fu solo nell’VIII secolo a.C. che
i Cumani stanziarono il primo nucleo di Parthenope, punto di riferimento per
gli approdi e gli sbarchi; in poco tempo, la città assunse un’’importanza tale,
da poter addirittura competere con la madrepatria Cuma. Nel VI secolo a.C.,
durante la tirannide di Aristodemo, le staseis misero Cuma in ginocchio: il
ceto mercantile, sconfitto, emigrò e andò a fondare Neapolis. Se però i confini
di Parthenope si estendevano dall’altura di Pizzofalcone alla zona paludosa,
oggi occupata dalla stazione centrale, Neapolis segnò una bipartizione del
territorio: l’area nord era abitata dai proprietari terrieri che si
arricchivano con la coltivazione e la vendita di grano, mentre la parte
meridionale della città era abitata dal ceto mercantile, che sfruttava la
presenza del porto per arricchirsi.
Insomma,
l’ampliamento della linea 1 della metropolitana ha segnato l’inizio di un’era
di sviluppo urbano e di progresso, ma ha fatto riaffiorare un passato nascosto,
che tutt’oggi, a distanza di quasi quindici anni, la città ancora ignora. La
mercificazione della cultura, ha contribuito alla diffusione di una profonda
ignoranza collettiva, alla quale si sta cercando di far fronte non accrescendo
la preparazione delle masse, ma adeguando ad essa il livello della cultura,
vista come un qualcosa di desueto e non di vivificante e genuino.
Michele De
Rosa
Michele De
Rosa è un giovane studente napoletano, attualmente iscritto al secondo anno
della facoltà di lettere classiche, presso l’Università degli Studi di Napoli
“Federico II”. Nel tempo libero, ama dedicarsi alla lettura di libri inerenti
la storia, la cultura e le leggende della città di Napoli, per la quale nutre
un amore senza confini
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