È proprio
vero che responsabili e tifosi dell’invalsizzazione coatta della Scuola
italiana non ne comprendano le implicazioni, le ricadute, le conseguenze? È
vero probabilmente per i “tecnici” dell’Invalsi, il cui stipendio dipende
proprio dal loro non comprenderle. Un po’ meno vero, probabilmente, è per i
mandanti del progetto che vede la Scuola sottomessa all’Invalsi e l’Università
assoggettata all’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
universitario e della ricerca).
La
progressiva sottomissione del sistema scolastico italiano all’Invalsi, infatti,
otterrà sicuramente alcuni risultati:
1. l’espropriazione
graduale della valutazione dalle mani degli insegnanti (visto che la
valutazione degli insegnanti non è più considerata “oggettivamente misurabile”);
2. il
successivo trasferimento della valutazione stessa dagli insegnanti al
“Ministero della Verità” costituito dall’Invalsi, ente esterno finanziato dal
Governo e “vigilato” dal MIUR (dunque dall’esecutivo, cioè dai partiti di
Governo e dai loro mandanti esterni);
3. l’avanzante
subordinazione della didattica al superamento dei quiz da parte degli studenti;
4. il crescente
peso dell’ideologia didattica e formativa dominante (indirizzata dai potentati
economici attraverso il potere politico ed attraverso l’Invalsi);
5. il
progressivo superamento della figura del Docente e della sua libertà di
insegnamento, ormai subordinati a criteri falsamente “oggettivi” imposti dai
poteri che dominano la società;
6. il graduale
annullamento della capacità della Scuola di preparare per il domani una società
diversa, più umana, ossia non organizzata soltanto secondo criteri
aziendalistici, produttivistici, economicistici, mercatistici.
Chi vuole
risultati simili? Quali sono gli stakeholder (“portatori di interessi”, per
usare un termine caro agli usurai che dominano il pianeta) cui sta tanto a
cuore l’involuzione antropologica alla quale la Scuola italiana sta velocemente
cedendo le armi?
“Ignorantizzazione”
di massa
È un dato di
fatto che i risultati che noi docenti riusciamo a raggiungere con i nostri
alunni si sono progressivamente ridotti negli ultimi trent’anni. Complice di
questo disastro è sicuramente l’involuzione che l’intera società italiana ha
subito a seguito dell’ideologia consumista: del cui trionfo già cinquant’anni
fa Pier Paolo Pasolini ci avvertiva. Trionfo acuito dal progressivo (ed
eterodiretto) allontanamento delle masse dalla politica attiva mediante la
strategia della tensione; dalla parabola discendente della credibilità dei
Sindacatoni “maggiormente rappresentativi” e dei loro partitoni di riferimento;
dalla nascita e dall’affermazione delle televisioni berlusconiane (i vari
Canile 5) e di quelle “berluscomorfe”; dal venticinquennio di predominio
neoliberista che abbiamo appena vissuto, con l’alternarsi di governi identici
sul piano dei programmi e delle politiche, pervicacemente e costantemente
basate su tre pilastri: privatizzazione, riduzione della spesa pubblica e
smantellamento dello stato sociale.
Per
contrastare tutto ciò, la Scuola avrebbe dovuto semplicemente non adeguarvisi:
ossia mantenere fermi quei capisaldi culturali che avevano sempre fatto del
sistema scolastico italiano uno dei migliori del mondo. Il che non vuol dire
rimanere fermi: la Scuola deve esser sempre alla ricerca del progresso e del
miglioramento.
Perché
portare gli alunni non meritevoli alle classi successive?
Però
miglioramento e progresso non possono ottenersi con la rinuncia al rigore
epistemologico, alla serietà, alla verità. In parole povere, non si può fingere
che la Scuola possa diventare più democratica col 6 politico. La Scuola è
un’istituzione che deve garantire ai cittadini l’istruzione, ossia la
possibilità di elevarsi culturalmente e socialmente, con benefici effetti per
la società tutta. Non si può rendere obbligatoria de facto per i docenti
l’ammissione degli alunni non meritevoli alle classi successive.
Si sarebbe
dovuto eliminare gli ostacoli, economici e culturali, che impediscono a tutti
lo stesso livello di partenza nell’acquisizione della cultura. Non si sarebbe
dovuto rendere più elementari i programmi per rendere più facile la promozione
generalizzata.
Non si
sarebbe dovuto eliminare dalle Scuole Medie l’insegnamento del latino (come si
fece nel 1979 per una singolare convergenza tra PCI, CGIL e Confindustria,
tutti tanto preoccupati per i poveri figli degli operai!). Lo si fece per non
sottoporre gli studenti “alla tortura del latino”: ed è stato un errore
gravissimo, perché sono proprio le classi più deprivate ad aver bisogno di
studiare le discipline più formative! Anche Antonio Gramsci la pensava così (e
lo scrisse nei Quaderni dal carcere). Eppure oggi questa idea, così ovvia e di
buon senso, suona talmente eretica da esser sostenuta unicamente dall’eretico
Sindacato Unicobas Scuola & Università!
Tornare alle
lingue classiche
Idea
eretica, ma condivisa anche dal professor Alessandro Barbero (storico insigne e
ordinario di Storia medievale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”); il quale, durante il
XIII Festival Internazionale della Storia, svoltosi a Gorizia dal 25 al 28 maggio
2017, ha pronunciato queste parole: «Un tempo si sapeva di dover uscire dalla
Scuola dopo aver appreso a grandi linee tutte le cose più importanti della
cultura. Per molto tempo a scuola ci andavano in pochi: per le classi dirigenti
ciò era normale, però si dava per scontato che andare alle Scuole Superiori e
al Liceo era indispensabile per avere un ruolo dirigenziale nella vita”.
“L’esercito
italiano nella Grande Guerra aveva un disperato bisogno di ufficiali; tanto che
alla fine mandò a comandare plotoni e compagnie i diciannovenni, purché
avessero finito le Scuole Superiori! Si accettavano anche i diplomati di
Istituto Tecnico, purché diplomati, perché i diplomati scarseggiavano, ma si
preferivano i diplomati dei Licei. Forse perché il latino e il greco serve in
trincea? Sì, evidentemente! Questa era la loro risposta! In Inghilterra, per
fare il pastore anglicano, bisognava laurearsi a Oxford o Cambridge. Poi si è
giustamente stabilito che la cultura comune non deve appartenere solo a poche
élite, e che tutti devono possederla. E che tutti i giovani devono studiare
negli anni della vita in cui i loro padri e nonni erano costretti a lavorare.
Dalla scuola
di massa all’alternanza scuola-lavoro
A quel punto
sono spuntati fuori quanti dicono: “A che cosa serve che i figli degli operai
studino il latino?”. E subito dopo: “Ma il libro di testo è proprio necessario?
Oggi si fa tutto online!”. Quando a scuola ci andavano solo i figli dei
padroni, tutti sapevano che i contenuti appresi a scuola fanno di te una persona
più forte e con più possibilità.
Quando anche
i figli degli operai sono andati al Liceo, si è cominciato a dire che il Liceo
non serve. E così siamo arrivati al punto che la grande conquista della scuola
di massa (ossia l’aver permesso a tutti i giovani di studiare contenuti elevati
senza chiedersi a cosa servano nell’immediato lavorativo) viene demolita nel
comune sentire, perché “poco spendibile sul mercato del lavoro”. Con la legge
107/2015 (la cosiddetta “Buona Scuola”) si è tornati a dire ai ragazzi di
sedici anni (come ai loro nonni sessant’anni fa) che “un po’ di lavoro lo
dovete fare”: ed ecco l’alternanza scuola-lavoro!»
Il professor
Barbero è costretto purtroppo a condividere con tutti gli altri suoi colleghi
Docenti universitari un’esperienza comune: quella del progressivo scivolamento
dei corsi universitari verso la “licealizzazione”, ovverosia la discesa degli
standard formativi universitari verso i livelli che prima erano propri dei
Licei.
"Alessandro
Barbero straordinario sulla riforma della buona scuola"- IL VIDEO QUI:
In parole
povere, chi oggi consegue una laurea triennale ottiene una preparazione
culturale pari a quella che trent’anni fa si poteva ottenere con un diploma di
Scuola Superiore. Ciò accade perché, a loro volta, le Scuole Superiori portano
oggi i propri studenti a livelli culturali di poco superiori a quelli un tempo
conseguiti con la licenza media inferiore; e la Scuola Media Inferiore, a sua
volta elementarizzata, si accontenta ormai di erogare conoscenze e competenze
un tempo raggiunte alla Scuola Elementare (la prima del pianeta fino al 1990).
È favorevole
tutto ciò alle magnifiche sorti e progressive del Paese?
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