Gli antichi
Greci temevano la collera di Zeus. Mai mandare su tutte le furie il Re degli
Dei. Sarebbe stato un errore fatale. Lo confermavano diversi miti.
Certamente,
i discendenti di Pericle ed Alcibiade devono avere sulla coscienza ancora
qualche peccato da scontare quando il 21 giugno 1994 si trovano al cospetto
dell’Argentina nel primo incontro dei Mondiali statunitensi. Più che una
squadra di calcio, un insieme di divinità del pallone. Ci sono i feroci mastini
Oscar Ruggeri e Nestor Sensini, avidi di caviglie altrui e portentosi
raccoglitori di palloni. C’è il rude vigile del centrocampo, Diego Simeone,
detto il Cholo, coadiuvato dal “magister elegantie” Fernando Redondo. C’è
l’attaccante polivalente Abel Balbo, capace di adattarsi ad ogni esigenza
tattica. C’è il Re dei Re, Diego Armando Maradona, il leader albiceleste,
assistito dal fido scudiero Claudio Caniggia nelle sue battaglie, in una sorta
di rievocazione di Don Chisciotte e Sancio Panza, ma dai toni assai meno
ironici e grotteschi. E poi c’è un ragazzo di bell’aspetto e dal talento sì
cristallino, ma ancora non pienamente consacrato. Come Zeus, riesce a scagliare
folgori micidiali. Il dio greco saettava dalle nubi, Gabriel Omar Batistuta,
invece, fulmina direttamente con la potenza inflitta dai suoi calci alla sfera.
La flotta del moderno Temistocle, l’allenatore
Alkenas Panagoulias, comprende ben presto di trovarsi dinnanzi ad una tempesta
di proporzioni inaudite. Dopo solamente due minuti, diluvia sul capo dei
marinai greci. Da una palla persa, si scatena la burrasca con una discesa
furibonda delle furie dalla casacca bluastra. Batistuta si avventa verso la
porta e scarica la prima folgore. Prima imbarcazione ellenica colpita e
affondata. Tuoni e fulmini per la Grecia, melodia pura per la banda di Alfio
Basile, intenta ad eseguire una sinfonia fatta di colpi di tacco, passaggi di
prima, intese al primo sguardo, veli, ricami e finezze. Il meglio del campionario
viene sciorinato in 45 minuti, un tempo che coincide con il diluvio di
Deucalione e Pirra per i Greci. Tuttavia, quando Batistuta decide di scagliare
la seconda folgore vincente verso la porta dell’indifeso Antonis Minou, diventa
chiaro che nemmeno il lancio delle pietre ripopolerà la penisola ellenica di
speranze di rimonta.
Fine primo
tempo, fine della parte iniziale del concerto. Si riparte ed il tango assume
sfumature ancora più piacevoli. Gli strumenti si intrecciano, fanno scivolare
sinuosamente le note in un’unione armoniosa e gradevole. Balbo, Redondo,
Caniggia, Maradona, Redondo ed ancora Maradona. Sembra una filastrocca, ma con
il giusto ritmo e l’accompagnamento musicale assume toni lirici. Un’azione
tutta di prima, un pezzo di bravura concluso dalla staffilata urlante di Re
Diego. Così è troppo per la flotta greca. Non ci sono scialuppe capaci di
limitare la portata del disastro. Non c’è modo di far rivivere una seconda
resistenza come alle Termopili. Anche perché Batistuta non conosce il sentimento
della pietà e scarica il terzo fulmine nella porta oplitica, stavolta dagli
undici metri. Finisce il concerto, termina la tempesta. Gaudenti ed euforici i
componenti della band, bagnati ed affaticati i marinai dell’equipaggio. Sembra
l’inizio di una gran tournée per l’Argentina. In realtà sarà solamente l’unica
perla, con qualche strimpellata qua e là. Ma la musica celestiale del 21 giugno
1994 non verrà mai più suonata.
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου