Ogni epoca ha avuto i propri ideali di
bellezza femminile, e ogni epoca ha visto emergere donne dotate di
straordinaria bellezza, divenute muse ispiratrici per celebri scultori, pittori
e scrittori. Nell’antica Grecia, le più famose di queste donne erano chiamate
“etère”, e il loro compito era intrattenere con sofisticata compagnia (talvolta
tramutata in passione) i loro signori. Come scritto dall’antico commediografo
Posidippo, la più nota di loro fu Frine, passata alla storia per il suo
splendido aspetto e per un controverso processo che la vide protagonista.
Originariamente chiamata Mnesarete (in greco,
“colei che fa ricordare la virtù”), Frine nacque probabilmente nel 371 avanti
Cristo, a Tespie in Beozia (regione storica della Grecia antica). In seguito
alla distruzione di Tespie da parte di Tebe, gli abitanti della città vennero
allontanati da essa. Così la famiglia di Frine, di probabile estrazione
aristocratica, si rifugiò ad Atene, dove la giovane crebbe.
Non si sa molto sull’infanzia di Frine; in
base ad alcuni cenni fatti su di lei dal commediografo Timocle, pare che la
bambina trascorse la gioventù in povertà, coi soli guadagni derivanti dalla
raccolta e vendita dei capperi.
In seguito, cresciuta e sbocciata in tutta la
sua bellezza e sensualità, Frine divenne famosa tra gli uomini ateniesi; gli sguardi
erano tutti per lei, e ben presto questi le fecero ottenere una buona
considerazione da parte dei nobili cui prestava compagnia.
L’origine del soprannome, che significa
“rospo”, fa sorgere ancor oggi qualche dubbio; secondo Plutarco, Frine veniva
così chiamata per via del colore olivastro della sua pelle, il quale faceva
ricordare quello del manto dell’anfibio. Secondo invece la professoressa di
lingua e cultura greca Eleonora Cavallini (Università di Bologna), Frine era un
soprannome utilizzato dalla giovane per nascondere il suo vero nome, Mnesarete,
il cui significato era antifrastisca rispetto alla professione da lei
esercitata (“colei che ricorda la virtù” con un mestiere simile alla
prostituta).
Della sua bellezza scrissero in molti, tra
cui il medico Galeno di Pergamo, il quale raccontò di un aspetto talmente
perfetto da non indurre Frine a coprirlo col trucco, com’era invece usanza
delle donne ma soprattutto delle Etere dell’epoca.
Lo scrittore Ermippo di Smirne ha saputo
riportare un’istantanea della donna davvero suggestiva; sempre abbigliata con
vesti aderenti, ella evitava di mostrarsi svestita, non frequentando nemmeno i
bagni pubblici. Questo, secondo lo scrittore, veniva fatto da Frine per creare
un alone di mistero attorno a sé, capace di incantare gli uomini.
L’unica occasione in cui Frine si mostrava
completamente nuda in pubblico, bagnandosi in mare, era durante le feste di
Eleusi in onore di Demetra, chiamate Eleusinie, e durante le Posidonie.
Ormai largamente nota tra l’élite ateniese,
Frine raggiunse il picco della sua celebrità quando si legò, forse
professionalmente, forse sentimentalmente, allo scultore Prassitele. Secondo
alcune fonti, lo scultore utilizzò il corpo di Frine come modello per la sua
celebre “Afrodite cnidia”. Per via dello scandalo che destò la notizia del suo
aver posato nuda e per l’aver ritratto la dea Afrodite senza vesti, opera
giudicata dai più come oltraggiosa, Frine e Prassitele finirono sulle bocche di
tutti.
Tuttavia, circa nel 350 Avanti cristo, la
fama costò cara a Frine; dopo aver trascorso molto tempo con l’antimacedone
Iperide, ella venne accusata di empietà, all’epoca crimine che poteva prevedere
la pena capitale. Malvista da numerosi uomini (forse amanti respinti?), secondo
un trattato anonimo, ella era stata accusata di aver partecipato a feste
erotiche nel Liceo di Atene, nel quale avrebbe corrotto alcuni giovani
ateniesi, e di aver introdotto una nuovo culto religioso (culto misterico di
Isodaite).
Celato dietro le accuse, si ritiene che i
conservatori ateniesi volessero affossare l’immagine di Frine, stufi della sua
presenza ingombrante e sfrontata, e forse invidiosi dell’enorme ricchezza da
lei accumulata.
Sotto, Il Processo di Frine, olio su tela
(1861) di Jean Léon Gérôme (1824-1904) Kunsthalle, Amburgo. Immagine di
Popszes, Pubblico Dominio via Wikipedia
Sebbene difesa dall’oratore Iperide,
probabilmente suo amante, anche la donna giocò un ruolo importante per la
propria causa; mostrandosi disperata, secondo quanto riportato da un frammento
del 290 avanti Cristo attribuito a Posiddipo, Frine prese, ad uno ad uno, la
mano destra dei giudici, piangendo e supplicandoli di clemenza.
Nonostante vi siano pareri contrastanti su
come ciò accadde (qualcuno dubita addirittura della veridicità del fatto),
l’atto più eclatante perpetrato in sua difesa fu quello di mostrare il seno
della donna ai giudici.
Che fosse stato Iperide, o la stessa donna,
non è tuttavia ben chiaro
La scena è stata dipinta da numerosi pittori,
affascinati dalla storia della splendida donna e da un gesto così impetuoso.
Dopo essersi consultati lungamente, i
giudici, per timore religioso, si convinsero che mandare a morte una donna
legata irrimediabilmente all’immagine di una divinità (il corpo di Frine era
stato utilizzato per scolpire quello della dea Afrodite), avrebbe costituito
per loro più rischi che benefici, sacrificando alla propria “codardia” un
presunto benestare cittadino.
Simbolo di un’epoca e modello di bellezza
sopravvissuto al tempo e alla storia, Frine è solo uno dei tanti esempi di
femme fatale finiti alla gogna per esser riuscita ad elevarsi socialmente ed
economicamente in un modo impensabile per una cortigiana.
Fra le molte opere ispirate a Frine
ricordiamo anche il Paeplum del 1953 “Frine, Cortigiana d’Oriente”:
TUTTE LE FOTO QUI:
https://www.vanillamagazine.it/frine-l-irraggiungibile-bellezza-dell-etera-greca-accusata-di-empieta/
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