Ercole, Farnese
Roma, città
della guerra e della forza, ma anche capace di imprese sociali,
architettoniche, nel diritto, come nella sanità, simbolo stesso della civiltà
che combatte la vita selvaggia e barbara, non poteva non avere come simbolo
Ercole!
Ercole (in
latino: Hercules) è una figura della mitologia romana, forma italica del culto
dell’eroe greco Eracle, introdotto probabilmente presso i popoli Sanniti dai
coloni greci, in particolare dalla colonia di Cuma, e presso i Latini e i
Sabini dal culto etrusco ad Hercle.
Figlio di
Alcmena e di Zeus, egli nacque a Tebe ed era dotato di una forza sovrumana. Il
patronimico poetico che lo definisce è Alcide, derivante da Alceo, suo nonno
paterno putativo.
Per
antonomasia si definisce così una persona di grande forza fisica e, in passato,
il forzuto che si esibiva nei circhi e nelle fiere.
Ercole
nell’antica religione romana
Ercole è
noto in particolare per le “dodici fatiche”.
Numerose
sono le leggende religiose che hanno Ercole come protagonista. Figlio di Giove,
la madre di Ercole era la fanciulla Alcmena; ebbe in moglie la problematica
Deianira.
Un giorno,
durante una delle sue imprese, Ercole e Deianira dovevano attraversare un fiume
tumultuoso. L’eroe lo attraversò, ma lasciò che la moglie fosse traghettata da
un centauro battelliere, Nesso, che tentò di rapire Deianira. Ercole allora
colpì il centauro con una delle frecce avvelenate col sangue dell’Idra. Il
centauro morente si prese la sua vendetta, offrendo a Deianira il proprio
sangue, e convincendola che esso avrebbe costituito un potentissimo filtro
d’amore che avrebbe reso Ercole fedele a lei per sempre. Un giorno Deianira
ebbe il sospetto che il suo sposo fosse un po’ troppo interessato a un’altra
donna. Così, dette a Ercole una camicia su cui aveva sparso un po’ del sangue
del centauro morente. Ovviamente il sangue era un potente veleno, dato che era
stato contaminato dal sangue dell’Idra.
Quando
Ercole indossò la camicia avvelenata, si compì la vendetta del centauro:
cominciò a essere preda di dolori lancinanti e sentì le carni bruciargli in
modo talmente insopportabile da preferire la morte. Ma nessun mortale poteva
ucciderlo, ed Ercole decise di darsi la morte da sé, facendosi bruciare vivo su
una pira funeraria. Giove, impietosito dalla sorte del suo figlio prediletto,
scese dal cielo e lo prese con sé nell’Olimpo, mettendo fine alla sua agonia.
Nell’Olimpo
sposò Ebe, dea della giovinezza. Ci sono varie versioni sul genetliaco di
Ercole: l’anniversario della nascita di Ercole è festeggiato il quarto giorno
di ogni mese. Secondo un’altra tradizione Ercole nacque quando il sole entrò
nella decima costellazione (Capricorno). Per altri quando il sole entra nella
dodicesima costellazione (Pesci).
La vicenda
di questo eroe non è raccontata in una sola opera, ma ne sono state scritte
molte che lo vedono protagonista, marginalmente o particolarmente. Celebri le
sue incredibili imprese, quali ad esempio le dodici fatiche che lo vedono
affrontare serpenti dalle molteplici teste, leoni dalla pelle impossibile da
scalfire, uccelli in grado di sparare piume affilate come lame e molti altri
mostri che l’eroe, sia per coraggio sia per astuzia, riuscì sempre a
sconfiggere.
Rimase imbattuto
sino alla propria fine terrena, che avvenne dopo che egli si diede fuoco presso
un rogo, dilaniato dal dolore che Deianira, sua moglie, ignara del tradimento
del centauro Nesso, aveva causato intingendo la sua tunica in un veleno mortale
che avrebbe ucciso la sua parte terrestre, ma non quella divina. Nell’Ade andò
solo la sua ombra: egli salì nell’Olimpo dove sposò Ebe, la coppiera degli dei
e divenne il dio guardiano, ricongiungendosi perfino con Era, sua eterna
nemica.
Maggiore
eroe greco, divinità olimpica dopo la morte, Eracle fu venerato come simbolo di
coraggio e forza, ma anche di umanità e generosità, anche presso i Romani. Era
ritenuto protettore degli sport e delle palestre.
Fu onorato
in numerosi santuari sparsi in tutta la Grecia e le sue tante imprese,
espressione dell’altruismo e della forza fisica, lo fecero credere il fondatore
dei Giochi olimpici antichi. In alcuni casi, mettendo in luce la generosità con
la quale affrontava avversari temibili, si rese dell’eroe un’immagine dall’intensa
forza morale, oltre che puramente fisica.
La sua
complessa personalità, l’ambientazione di certe sue imprese e il fatto che la
maggior parte di esse sia legata ad animali, assimilano talvolta l’immagine di
Eracle agli antichi sciamani, dotati di poteri soprannaturali, e una certa
comunanza di aspetti si rintraccia anche in eroi fenici come Melqart. Il nome
stesso di Eracle, per alcuni studiosi, va fatto risalire al nome del dio sumeri
“Erragal”, epiteto di Nergal.
Le dodici
fatiche, poi, possono avere qualche correlazione con i segni dello zodiaco,
molti dei quali sono appunto rappresentati da animali.
Nel mondo
romano Ercole presiedeva alle palestre e a tutti i luoghi in cui si faceva
attività fisica; considerato anche una divinità propizia, gli si rivolgevano
invocazioni in caso di disgrazie, chiamandolo Hercules Defensor o Salutaris.
Lo Stretto
di Gibilterra era noto come “Colonne d’Ercole”, con espressione chiaramente
evocativa: un ricordo dei viaggi e degli spostamenti dell’eroe che, nel corso
delle sue imprese, toccò paesi dell’Asia Minore e del Caucaso e raggiunse
l’Estremo Oriente e il Grande Oceano, che delimitava le “terre dei vivi”. La
leggenda era d’origine fenicia: il dio tirio Melqart (identificato poi dai
Romani con Ercole stesso e detto Hercules Gaditanus, per il famoso tempio di
Gades/Gadeira (Cadice) a lui dedicato) avrebbe posto ai lati dello Stretto due
colonne, che furono poi considerate l’estremo limite raggiunto da Ercole e,
soprattutto nel Medioevo, il confine posto dal dio affinché gli uomini non si
spingessero nell’Oceano Atlantico.
Il mito – La
nascita
Elettrione,
re di Micene, discendente di Perseo, aveva una figlia, chiamata Alcmena, di
straordinaria bellezza.Anfitrione, giovane re di Tirinto, si invaghì di lei e
decise di prenderla in sposa. Elettrione decise di dare il proprio consenso a
patto che il pretendente sconfiggesse in guerra la popolazione dei Tafii che,
alcuni anni prima, avevano sterminato i figli del re. Anfitrione accettò la
sfida ma, durante una battaglia, uccise a causa di un incidente lo stesso
Elettrione. Sconfitto da Stenelo, fratello del defunto re, Anfitrione fu
costretto a trovare rifugio presso Tebe dove il re locale, Creonte, gli diede
in dono un magnifico palazzo, degno di un ospite tanto nobile.
Anfitrione
riprese, dopo qualche tempo, la guerra contro i Tafii, riuscendo così a
compiere la vendetta promessa. Durante la sua assenza Zeus, invaghitosi di
Alcmena, prese le forme del marito e si unì a lei, facendo persino in modo che
la notte durasse ben tre volte di più. Frutto di questa relazione fu appunto
Eracle, il futuro eroe greco. Hermes, che aveva accompagnato il padre presso il
palazzo di Tebe, rimase fuori, facendo in modo che nessuno potesse mai
disturbare i due amanti. Anfitrione, tornato dalla guerra proprio in quel
momento, mandò il proprio servitore, Sosia, ad avvertire la moglie del suo
ritorno. Questi però si trovò davanti Hermes, sotto le sembianze dello stesso
Sosia, che, tra un pugno e l’altro, lo convinse di non essere in realtà quello
che lui credeva. Questa serie di equivoci fu fonte d’ispirazione per Plauto,
che scrisse appunto una commedia chiamata “Anfitrione” (colui che ci ospita,
sia chi sia!).
Anfitrione,
rientrato nelle proprie stanze, ignaro di tutto, si unisce alla propria sposa.
Da questo incontro sarebbe nato Ificlo, futuro guerriero e compagno del
fratello in molte avventure.
Poco prima
che Eracle nascesse, Zeus si vantò di questo suo imminente figlio che avrebbe
regnato sulla casa di Tirinto. Era, gelosa, ritardò allora il parto di Alcmena
e accelerò quello di Nicippe, moglie di Stenelo, zio di Alcmena. Il figlio di
questi ultimi, Euristeo, nacque perciò un’ora prima di Eracle e ottenne così la
primogenitura. Eracle nacque dunque insieme a Ificlo e Anfitrione, ancora
ignaro della relazione segreta, così come ignara era anche Alcmena, credeva di
aver generato due gemelli. Fu Tiresia, il grande indovino, a rivelare alla
donna la straordinaria origine del figlio.
Alcmena capì
dunque che il piccolo sarebbe stato perseguitato dai famigerati furori della
regina dei cieli, e non osando allevarlo con le sue sole forze lo portò
all’aperto, in un campo, confidando che Zeus non avrebbe negato al frutto del
suo seme la divina protezione. Il padre degli dei ordinò dunque al fedele
Hermes di attuare un astuto stratagemma. Mentre Era dormiva il celere
messaggero divino, portando in braccio il bambino lo avvicinò al seno della
dea, facendogli così succhiare un po’ del suo latte che, essendo divino,
rendeva il fortunato un invincibile eroe. Era però, svegliatasi a causa di un
morso del bambino, ebbe un moto di terrore. Quel repentino movimento fece
cadere, dal seno della dea, una piccola parte del suo latte che fu dunque
origine della Via Lattea, denominata così proprio in ricordo di tale evento.
La gioventù
Era non
accettò un simile affronto e covò contro il piccolo, frutto del tradimento del
marito, propositi omicidi: qualche mese più tardi mise due serpenti velenosi
nella camera dove dormivano Eracle e Ificlo. Quando Ificlo si svegliò, con il
pianto fece sopraggiungere i suoi genitori, che giunsero in tempo per vedere il
piccolo Eracle strangolare i serpenti, uno per mano.Secondo un’altra versione
del mito, i serpenti non erano velenosi, ma furono messi nella camera dei
gemelli da Anfitrione, che voleva sapere quale dei due fosse suo figlio, poiché
aveva saputo anche lui dall’indovino Tiresia che uno dei due gemelli non era
figlio suo.
Anfitrione
non risparmiò comunque nessuna cura nell’allevare quello straordinario figlio
adottivo. Egli stesso insegnò al bambino a domare i cavalli e a guidare il
cocchio. Da ogni angolo della Grecia vennero convocati i più rinomati maestri:
Chirone, primo fra tutti, gli insegnò l’arte della medicina e della chirurgia,
Eurito fu maestro di tiro con l’arco, Castore lo allenò nell’utilizzo della
spada e delle armi, Autolico nello sforzo fisico e nel pugilato, materia che il
giovane Eracle apprezzò grandemente. Non ebbero la stessa sorte però arti come
ad esempio la musica.
Lino,
discendente del divino Apollo, era suo maestro di musica. Il giovane allievo,
rude nei movimenti, non era in grado di trattenere la propria forza fisica,
distruggendo, letteralmente, la lira che avrebbe dovuto suonare. Lino, un
giorno, non riuscendo a sopportare l’incredibile insensibilità musicale
dell’allievo, lo rimproverò aspramente e lo costrinse a un severo castigo.
Eracle, di carattere piuttosto focoso, sebbene inconsapevolmente, non riuscendo
a trattenere la propria forza, colpì con la lira il maestro, che cadde morto a
causa dell’urto.
A causa di
ciò, Anfitrione fu costretto a mandarlo a vivere fra i guardiani dei suoi
greggi, in montagna: qui Eracle si riconciliò col maestro Chirone e imparò dal
saggio mentore non solo leggi scientifiche ma anche, e soprattutto, leggi
morali. Cresciuto forte e bello, rimase presso le greggi del monte Citerone
fino all’età di diciotto anni. Prima di ritirarsi da questa vita faticosa ma
felice, durante una meditazione, Eracle incontrò sulla via due donne
affascinanti, ognuna delle quali lo invitava a raggiungerla sul proprio
cammino. La prima, di aspetto florido e stupendamente vestita, rappresentava
ilPiaceree mostrava al giovane un sentiero erboso e idilliaco. La seconda
donna, in abiti solenni, era invece il Dovere, che avrebbe condotto l’eroe
presso un sentiero sassoso e terribile. Eracle, benché affascinato dalle
proposte del Piacere, preferì seguire il Dovere, segnando tutta la sua vita al
servizio dei più deboli.
Simbolo di
virilità, Eracle diede esempio di grande prestanza fisica durante questo
periodo di ritiro. Il re Tespio aveva cinquanta figlie e, desiderando che
avessero un figlio da Eracle, mentre questi era ospite presso il suo palazzo,
ne inviò una ogni notte dall’eroe! (per fortuna aveva scelto il Dovere!), a
cominciare dalla primogenita Procri e facendo credere all’eroe che fosse sempre
la stessa. Secondo alcuni una sola, desiderando restare vergine, rifiutò.
Eracle si unì alle altre figlie di Tespio: in tutto loro ebbero cinquanta
figli, poiché la primogenita partorì due gemelli. Secondo alcuni autori
raggiunse la statura di 4 cubiti e 1 piede (2,33 m), ma viene raffigurato dagli
artisti come un uomo di statura normale.
Prime
imprese di Eracle
In seguito
alla scelta del Dovere, Eracle cominciò a prodigarsi per il bene altrui, (come
un moderno superoe!) sconfiggendo banditi e ladruncoli che imperversavano nelle
pianure. Eracle si vantava di non aver mai cominciato un litigio, ma di aver
sempre trattato i suoi aggressori così come essi volevano trattare lui. Un
certo Termero usava uccidere i viandanti sfidandoli a battersi con lui a
testate; il cranio di Eracle si dimostrò il più solido ed egli spaccò la testa
di Termero come se fosse un uovo. Eracle, tuttavia, era cortese per natura, e
fu il primo mortale che spontaneamente restituì ai nemici le spoglie dei loro
morti perché le seppellissero.
Sul monte
Citerone misurò la sua forza sconfiggendo un terribile leone che faceva stragi
di pecore. Durante la sua ricerca egli si fermò presso il re Tespio e, come
detto prima, si unì alle sue figlie.
Al ritorno
incontrò per strada i messi del re di Orcomeno, Ergino, che si recavano a Tebe
per riscuotere il tributo di cento buoi che la città gli doveva. Durante una
festa infatti un tebano, tale Periere, uccise il padre del re, Climeno,
scatenando così una guerra fra i Mini di Orcomeno e gli abitanti della città di
Tebe. Questi ultimi persero e furono dunque costretti a pagare tributo ai
vincitori. Gli araldi, mandati in città, trattavano però con brutale
superiorità gli sconfitti. Questo accese il furore del giovane Eracle che, di
carattere piuttosto impetuoso, li assalì e tagliò loro naso e orecchie. Gli
araldi, orribilmente mutilati, tornarono presso il loro re chiedendo vendetta.
Ergino,
accesosi d’ira, preparò il proprio esercito e marciò verso Tebe. I tebani, fra
i quali figuravano Anfitrione, Ificlo e lo stesso Eracle, non erano però
disposti a cedere. Nello scontro che ne seguì l’eroe, dotato di invincibili
armi, dono degli dei (frecce da Apollo, una spada da Hermes, uno scudo da
Efesto), e soprattutto dalla protezione della dea Atena, dimostrò tutto il
proprio coraggio e la propria tenacia, uccidendo con le proprie mani l’invasore
Ergino. Tebe riuscì dunque a vincere la guerra ma gravi furono le perdite. Fra
i caduti vi era anche Anfitrione, il padre adottivo di Eracle, che si era
dimostrato tanto affettuoso nei suoi confronti. Creonte re di Tebe diede dunque
a Eracle come segno di riconoscenza sua figlia Megara in sposa.
Eracle
Argonauta
Eracle
partecipò alla spedizione degli Argonautiportandosi dietro il giovane e
bellissimo scudiero Ila.
Durante il
viaggio gli Argonauti fecero sosta a Cizico, dove furono ospitati dal sovrano
omonimo, che era il giovanissimo figlio di un amico defunto di Eracle.
Ripresero quindi la navigazione, ma una tempesta li ricacciò nella terra di
Cizico in una notte senza luna. Cizico li scambiò per pirati, gli Argonauti da
parte loro non lo riconobbero, e si arrivò a uno scontro armato, che vide cadere
il re giovinetto e dodici suoi uomini, due dei quali vennero uccisi da Eracle.
All’alba gli Argonauti capirono cosa era successo e in preda allo strazio
seppellirono le loro vittime in una grande tomba. La nave arrivò quindi in
Misia e qui Ila scese a terra in perlustrazione, venendo rapito dalle Naiadi
del luogo. Non vedendolo tornare Eracle si mosse alla sua ricerca; i Boreadi,
che nutrivano una profonda antipatia per Eracle, convinsero i compagni a
ripartire senza di lui. Così Eracle, che non era riuscito a ritrovare il
compagno, restò solo e decise di trattenersi per qualche tempo a Cizico, per
allevare i figlioletti del re accidentalmente ucciso dagli Argonauti.
Matrimonio
con Megara
Ritornato in
Grecia, Eracle visse alcuni anni felici con la moglie Megara, dalla cui unione
nacquero ben otto figli. Durante un’assenza dell’eroe, però, Lico decise di
prendere in pugno la città di Tebe. Questi uccise il vecchio re Creonte e
divenne un sovrano dispotico e arrogante. Lico inoltre, affascinato dall’eccezionale
bellezza di Megara, volle stuprarla. Eracle, tornato in tempo per fermare
questo oltraggio, aggredì l’usurpatore e lo uccise, dando giusta vendetta al
suocero.
Era non
intendeva tuttavia concludere le persecuzioni contro il figliastro. In combutta
con Lissa, la Rabbia, fece sconvolgere la mente dell’eroe e questi, in preda al
furore, uccise di propria mano moglie e figli. Tornato in sé e resosi conto
dell’accaduto, l’eroe decise di suicidarsi, per porre fine alle proprie
sofferenze. Fu Teseo, il giovane ateniese, a farlo desistere dal suo gesto
disperato, mentre il re Tespio, che celebrò un minimo rito di purificazione,
gli consigliò invece di recarsi a Delfi, per chiedere al celebre oracolo un
modo per cancellare dal proprio animo tutto quel sangue versato. Questa storia
diede spunto per la trama della celebre tragedia Eracle di Euripide.
Le dodici
fatiche presso Euristeo
La risposta
dell’oracolo lo costrinse a mettersi al servizio del re di Argo, Micene e
Tirinto, Euristeo. Questi gli ordinò di affrontare dodici incredibili fatiche,
simbolo della lotta fra l’uomo e la natura nella sua forma più selvaggia e
terribile.
Il Leone di
Nemea
Prima fatica
fu l’uccisione di un terribile leone, figlio di Tifone e di Echidna, che
terrorizzava la zona fra Micene e Nemea.
Nella sua
ricerca, giunto a Cleone, tra Corinto e Argo, Eracle alloggiò nella casa di un
contadino o pastore chiamato Molorco, il cui figlio era stato ucciso dal leone.
Molorco già si preparava a offrire un capro a Era come sacrificio propiziatorio,
ma Eracle lo trattenne dicendogli di aspettare il suo ritorno, così avrebbero
sacrificato il capro a Zeus Salvatore.
Il leone
viveva in una grotta nei pressi della zona di Nemea. Non appena Eracle vide
comparirsi dinanzi la belva mostruosa tentò di colpirla con il proprio arco ma
questi, dotato di una pelle invulnerabile, non venne nemmeno scalfito.
Deciso a non
arrendersi, l’eroe sradicò un enorme ulivo usandolo come clava contro
l’animalesco avversario. Anche questo tentativo fu però inutile. Le sue stesse
braccia sarebbero divenute armi invincibili. L’eroe riuscì infatti a soffocare
il terribile mostro utilizzando semplicemente le proprie mani. Il cadavere
della belva venne condotto festosamente alla presenza di Euristeo che,
stupefatto, decise di affidargli una seconda prova ben più difficile della
prima.
Con la pelle
invulnerabile del leone nemeo, Eracle si fece un mantello che l’avrebbe dunque
protetto dalle armi degli altri uomini.
L’Idra di
Lerna
Viveva in
una palude a Lerna, in Argolide, un serpente enorme, figlio anche lui, come il
leone nemeo, di Tifone ed Echidna. Questo mostro era immortale e aveva sette (o
nove) teste, di cui una immortale, mentre le altre rinascevano appena recise.
Divorava chiunque capitasse, impestava l’aria e isteriliva le terre con il suo
fiato pestilenziale.
Eracle,
giunto presso la tana del mostro con il proprio carro, guidato dal nipote
Iolao, cominciò a colpire l’entrata della caverna con le proprie frecce, al
fine di far uscire dal suo covo la terribile idra. Non appena vide apparirsi
dinanzi il mostro, Eracle cominciò a decapitare le sue molteplici teste con la
sua spada, ma queste ricrescevano in numero doppio non appena tagliate. L’eroe
ebbe però una geniale intuizione e, grazie all’aiuto di Iolao, riuscì a
bruciare i tronconi prima che le teste potessero riformarsi, impedendone così
la ricrescita. L’ultima testa, immortale, venne schiacciata sotto un gigantesco
masso.
Per rendere
nulla la vittoria di Eracle, Era mandò contro di lui un granchio gigante, che
l’eroe riuscì comunque a sconfiggere schiacciandogli il guscio. La regina degli
dei fece in modo che il granchio sconfitto divenisse una costellazione, quella
che gli antichi denominarono “Cancro”.
Vincitore anche
in questa seconda fatica, l’eroe intinse le proprie frecce nel sangue
dell’idra, rendendo le ferite causate da esse inguaribili. A causa del veleno
di queste frecce sarebbero morti in seguito Chirone e Paride, figlio del re di
Troia Priamo. E lo stesso Ercole!
La cerva di
Cerinea
Euristeo,
ancor più stupito per l’eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli
una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida
cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d’oro e dagli zoccoli di bronzo (o di
argento,secondo una variante) che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la
inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto
ritorno.
Eracle non
poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi
l’eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto
in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire
leggermente l’agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per
riportarla in patria.
Lungo la
strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una
bestia a lei sacra: ma l’eroe riuscì a placare le sue ire, e ottenne da lei il
permesso di portare la cerva a Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne
permesso di tornare a correre libero nelle foreste.
Il cinghiale
d’Erimanto
La quarta
fatica fu quella di catturare un feroce cinghiale selvatico che devastava le
alture di Erimanto, fra l’Attica e l’Elide. Riuscì a stanarlo fuori dalla
foresta fino alla nuda cima del monte, dove lo sfinì con serrati inseguimenti
nei profondi cumuli di neve, fino a che fu in grado di legarlo con delle corde
robuste e portarlo vivo al suo signore Euristeo che, per la paura, si rinchiuse
dentro una botte.
Lo scontro
con i Centauri
Lungo la
strada che l’avrebbe portato a Erimanto, Eracle incontrò un suo amico centauro,
Folo, che decise di imbandire un banchetto in suo onore. Il pasto non poteva
però essere coronato con del vino, poiché l’unico disponibile era quello donato
dal dio Dioniso alla comunità dei centauri che non poteva essere utilizzato
senza il permesso dei compagni di Folo.
Eracle
riuscì a convincere il suo ospite a trasgredire il patto: ma non appena il
fortissimo aroma del vino raggiunse i boschi vicini, un’orda di centauri,
armati con sassi e rami d’abete, saltò fuori da ogni cespuglio.Rabbiosi per la
perdita del prezioso liquido, essi assalirono l’eroe, il quale prese a
difendersi scagliando contro di loro le sue frecce mortali, costringendoli a
rifugiarsi nella grotta di Chirone, suo antico precettore.
Nella
mischia che ne seguì, il saggio e anziano centauro venne colpito da una freccia
vagante: il sangue velenoso dell’Idra nel quale era stata intrisa da Eracle
condusse Chirone a una lenta agonia, senza che le sue arti di guaritore
potessero arrestare il fatale processo. Anche Folo, l’ospite gentile, messosi
al fianco dell’amico, morì nello scontro.
Gli uccelli
della palude di Stinfalo
Quinta (o
sesta secondo alcuni) prova per Eracle, fu quella di eliminare i mostruosi
uccelli che devastavano la zona adiacente alla palude di Stinfalo, in
Arcadia.Questi micidiali volatili avevano penne, ali, artigli e becco di
bronzo, uccidevano lanciando le loro penne come frecce e si nutrivano di carne
umana.
Erano
allevati da Ares ed erano così numerosi che quando prendevano il volo
oscuravano il cielo. La palude da loro abitata inoltre emanava un odore
nauseabondo, a causa dei cadaveri di coloro che avevano tentato di eliminare
questi feroci avversari.
Atena
consegnò a Eracle, prima di cominciare lo scontro, delle nacchere di bronzo,
dono di Efesto, che avrebbero spaventato gli uccelli facendoli volare via e
rendendoli quindi facilmente raggiungibili dalle frecce dell’eroe. Quest’ultimo
fece quanto gli aveva consigliato la dea e, non appena suonò le nacchere, i
mostruosi volatili si librarono nell’aria spaventati, diventando così suo facile
bersaglio. Alcuni di loro vennero uccisi, altri riuscirono a fuggire nell’isola
di Aretias, vicino alla Colchide.
Le stalle
del re Augia
Le immense
stalle del re dell’Elide, Augia, non erano mai state ripulite dal letame ed
erano circa trent’anni che vi si accumulavano escrementi al suo interno.
Euristeo ordinò dunque a Eracle di recarsi nell’Elide e ripulire in un solo
giorno le stalle del re Augia. L’eroe, recatosi presso il sovrano, ricevette da
questi una solenne proposta: se fosse riuscito a compiere una fatica simile
avrebbe ricevuto in cambio metà delle sue ricchezze.
Eracle, che
di certo era molto furbo oltre che forte, deviò le acque dei fiumi Alfeo e
Penteo, riversandole all’interno delle stalle che, in un baleno, furono
totalmente ripulite. Fiero della propria impresa l’eroe tornò da Augia, che non
volle però rispettare i patti, accusandolo di aver agito con l’astuzia e non
compiendo una fatica vera e propria. A parer di ciò, intentò un processo contro
Eracle, prendendo come testimoni i principi d’Elide suoi figli. Tutti
testimoniarono a favore del padre, solo Fileo, uno di essi, osò difendere
l’eroe, causando così l’ira di Augia, che lo cacciò dal suo regno insieme con
l’eroe. Quest’ultimo, prima di andarsene, giurò che si sarebbe presto vendicato
sul re e sui suoi figli.
Durante il
viaggio di ritorno difese la giovane Desamene dalle grinfie di un brutale
centauro, che venne prontamente sconfitto dall’eroe. Questi tornato da Euristeo
ricevette una terribile risposta: dato che avrebbe ricevuto metà delle
ricchezze di Augia, se questi avesse rispettato i patti, la fatica non avrebbe
avuto più valore.
Le cavalle
di Diomede
Diomede,
figlio di Ares,era re dei Bistoni, popolo di guerrieri, provenienti dalla
Tracia.Questo sanguinario sovrano allevava con cura quattro cavalle, che nutrì,
dapprima, con la carne di soldati caduti in battaglia, in seguito con la carne
degli ospiti che egli invitava periodicamente nel proprio palazzo. Euristeo
ordinò a Eracle di portare a Micene queste mitiche giumente, non rivelandogli
però le loro terribili abitudini alimentari, sicuro che l’eroe sarebbe caduto
nel tranello.
In compagnia
di un gruppo di giovani compagni, fra i quali figurava Abdero, Eracle affrontò
il terribile Diomede e, mentre teneva occupato quest’ultimo, ordinò ai suoi di
catturare le cavalle. Abdero, che tentò per primo di catturarle, venne divorato
dalle mostruose giumente. Furente, Eracle sconfisse Diomede e lo costrinse a
condividere il destino delle sue vittime: anche lui divenne pasto delle sue
belve. In onore del defunto amico Abdero, egli fondò, nel luogo della sua morte
una città. Tornato da Euristeo gli presentò le mitiche cavalle e il sovrano,
spaventato da tali animali, ordinò che venissero portati via.
Secondo la
leggenda, Bucefalo, cavallo di Alessandro Magno, era discendente da tali
giumente.
La
resurrezione di Alcesti
Benché fosse
impegnato nelle fatiche impostegli da Euristeo, Eracle non era però deciso a
smettere di aiutare il prossimo e a seguire il sentiero del Dovere, così come
aveva scelto in gioventù.
Durante un
viaggio l’eroe trovò rifugio nel palazzo del re di Fere, Admeto, che lo accolse
con tutti gli onori. Questi però nascondeva al nobile ospite un triste segreto:
Apollo gli aveva infatti detto che, se qualcuno della sua famiglia si fosse
sacrificato per lui, sarebbe vissuto più a lungo. Né il padre, né la madre del
re, benché anziani, avevano accolto questa richiesta, solo Alcesti, la moglie,
era pronta a sacrificarsi pur di rendere felice il marito e, a tale scopo, era
scesa agli Inferi poco prima dell’arrivo di Eracle.
L’eroe
ignaro dell’accaduto, cominciò a gozzovigliare mentre gli abitanti della casa
piangevano nelle proprie stanze. Un servo, furioso per un simile comportamento,
rimproverò l’ospite per la propria maleducazione, raccontandogli tutto
l’accaduto. Vergognatosi per il proprio atteggiamento, Eracle decise allora di
ripagare la gentilezza dell’ospite. Sceso ancora una volta negli inferi, narrò
ad Ade e a Persefone la struggente storia di Alcesti. I due sovrani, commossi,
concessero all’eroe di ricondurre la donna nel mondo dei vivi. E così avvenne.
Il Toro di
Creta
Euristeo ordinò
a Eracle di catturare un terribile toro, che in quel tempo devastava i domini
di Minosse, sovrano di Creta. Poseidone aveva infatti mandato al re un toro
possente, perché lo offrisse a lui in sacrificio. Poiché Minosse non lo fece,
il dio del mare rese furiosa la bestia, che prese così a devastare tutta
l’isola di Creta. Secondo alcune interpretazioni fu proprio questo il toro con
cui si unì Pasifae, moglie di Minosse, che generò il Minotauro, per una
maledizione dello stesso Poseidone.
Eracle catturò
la belva, richiudendola in una rete, e la riportò presso Euristeo che ordinò di
liberarla. Il toro finì i suoi giorni presso la piana di Maratona.
Il cinto di
Ippolita
Su richiesta
di Admeta, figlia di Euristeo, desiderosa di avere la stupenda cintura di
Ippolita, regina delle Amazzoni, dono di suo padre Ares, Eracle dovette recarsi
nel regno di queste temibili donne guerriere, per compiere così la nona fatica.
Insieme a un nutrito gruppo di eroi, fra i quali figurava anche Teseo, Eracle
partì verso Temiscira, capitale del regno di Ippolita.
Durante una
sosta, presso l’isola di Paro, uno dei guerrieri venne ucciso per ordine di
alcuni figli del re Minosse, che dimoravano in quella zona. Eracle, indignato
per tale comportamento, si scontrò con questi e, grazie all’aiuto dei suoi
compagni, riuscì a eliminare i principi inospitali. Il viaggio però era ancora
lungo e pieno di pericoli: ospite presso il re Lico, in Misia, difese questi
dall’esercito dei Bembrici, guidato da Migdone, uccidendone il comandante e
costringendo i soldati nemici alla fuga.
Il cinto di
Ippolita rientra nello splendido romanzo: “In fondo al mare” di Stanilaslo
Nievo, incentrato sulla morte dell’avo e straordinario scrittore Ippolito
Nievo!
Eracle
affronta un’Amazzone
Giunti a
Temiscira, gli eroi vennero accolti calorosamente da Ippolita, disposta a
cedere pacificamente il proprio cinto ai suoi nobili ospiti. Era però suscitò
alcune Amazzoni che, convinte che Eracle volesse rapire la propria regina, si
armarono, decise a uccidere lui e i suoi compagni. Nello scontro che ne seguì
la stessa regina Ippolita trovò la morte (secondo un’altra versione essa fuggì
insieme con Teseo e divenne madre di Ippolito).
Durante il
viaggio di ritorno, con il prezioso cinto ben conservato, Eracle e i suoi
uomini giunsero presso il lido di Troia, dove un terribile mostro marino,
divoratore di uomini, stava per cibarsi della principessa Esione, figlia del re
Laomedonte. Eracle, mosso a compassione, affrontò la terribile creatura e la
uccise. Laomedonte, che aveva promesso all’eroe una giusta ricompensa, non
rispettò i patti, scatenando così l’ira dell’eroe, pronto a ritornare a Troia
dopo aver concluso le fatiche.
Nel suo
tragitto Eracle incontrò ancora terribili avversari, come per esempio
Sarpedonte, figlio di Poseidone, un brigante assettato di sangue. Presso
Torone, fu invece ospitato da due figli di Proteo, Poligono e Telegono, abili
pugili e atleti che, felici di avere nel proprio regno un simile concorrente,
lo sfidarono in alcune gare. Eracle però, che spesso non riusciva a trattenere
la propria forza, li uccise inconsapevolmente durante un incontro di lotta.
I buoi di
Gerione
Decima
fatica per Eracle fu quella di catturare i leggendari buoi rossi di
Gerione.Quest’ultimo era un mostro che dalla cintura in sù aveva tre tronchi,
tre teste e tre paia di braccia. Geloso dei suoi splendidi animali, il gigante
aveva posto come custodi delle sue mandrie un mostruoso cane, Ortro, figlio di
Echidna, e il terribile vaccaro, Eurizione, figlio di Ares.
Gerione e il
cane Ortro
I
possedimenti di Gerione erano posti agli estremi confini della terra allora
conosciuta. Eracle separò così i due monti Abila e Calipe, in Europa e in
Libia, e vi piantò due colonne, le cosiddette “Colonne d’Ercole” (il moderno
Stretto di Gibilterra).Mentre le attraversava osò lanciare le sue frecce contro
il cocente Helios, il Sole. Il dio, ammirato per il suo coraggio, gli consentì
di usare il suo battello d’oro a forma di coppa per raggiungere il nemico.
Nell’isola
di Erythia vi fu lo scontro con Gerione, sia lui sia i suoi due fedeli, vennero
sconfitti dai terribili colpi di Eracle che non esitò a colpire perfino la dea
Era, accorsa in aiuto del mostro contro l’odiato figliastro.
Impossessatosi
della mandria, Eracle partì alla volta della Grecia, percorrendo la terra
italica, colma di terribili briganti. Nella zona del Lazio viveva il gigante
Caco che esalava fumo e fiamme dalle fauci. Questi rubò le bestie migliori
della mandria approfittando del suo sonno.Per non lasciare tracce del furto,
egli trascinò per la coda gli animali verso la caverna che gli serviva da
rifugio. Ingannato dal trucco del gigante, Eracle cercò invano gli animali.
Dandoli per dispersi si apprestava a riprendere il viaggio quando sentì le
bestie dal fondo di una grotta. Per liberarli Eracle dovette affrontare il
gigante, il quale si rese conto troppo tardi di chi aveva osato derubare.
In Sicilia
venne sfidato in una gara di pugilato da Erice, figlio di Afrodite, che rimase
ucciso; il suo luogo di sepoltura diede nome all’omonima cittadina. Non
contenta, Era mandò contro le mandrie un tafano che causò la loro
dispersione.Eracle le seguì freneticamente fino alle distese selvagge della
Scizia. Nonostante queste disavventure riuscì comunque a portare le bestie sane
e salve in Grecia, dove Euristeo voleva usarle per sacrificio, ma Era non volle
per non riconoscere la gloria di Eracle. Così l’eroe tenne per sé i buoi.
I pomi delle
Esperidi
A Eracle
venne ora ordinato di prendere tre mele d’oro dal giardino delle Esperidi, che
era stato donato da Gea, la madre terra, a Zeus ed Era come dono di nozze. Il
nome del giardino derivava dalle quattro ninfe, figlie della Notte, che lo
abitavano, insieme con il dragone Ladone, dalle cento teste, che aveva
l’incarico di vigilare sul giardino. Nessuno sapeva però in quale remoto angolo
si trovasse il giardino delle Esperidi.
Eracle
uccide Busiride
Lo cercò
dapprima nelle zone più sperdute della Grecia, dove si scontrò con il terribile
Cicno, un brigante sanguinario deciso a edificare un tempio al padre Ares con
le ossa degli stranieri che passavano per il suo territorio. Eracle lo uccise,
scontrandosi poi anche con Ares che fu costretto a ritirarsi sconfitto.
Presso il
fiume Eridano incontrò le splendide ninfe che lì abitavano e che gli
consigliarono di recarsi presso il vegliardo Nereo, divinità marina, che aveva
il dono dell’onniscienza. E così fece Eracle, il quale piombò addosso a Nereo
mentre questi dormiva e lo tenne saldamente legato, nonostante questi cercasse
di sfuggire utilizzando i suoi poteri di metamorfosi, così come gli avevano
narrato le ninfe. Nereo infine si arrese e acconsentì a soddisfare le richieste
di Eracle, indicandogli la strada per raggiungere l’isola dove si trovava il
giardino delle Esperidi.
Eracle
contro Anteo
Durante il
viaggio egli ottenne poi altre informazioni da Prometeo, che da tanti anni si
trovava incatenato sulla roccia del Caucaso, esposto alle angherie di
un’aquila. Eracle eliminò il rapace con le sue frecce e, raggiunto il luogo
dove Prometeo stava incatenato, lo liberò senza difficoltà. Il buon titano,
grato per la recuperata libertà, si sdebitò con l’eroe fornendogli preziosi
consigli per la sua impresa. Gli disse di cercare suo fratello Atlante, il
titano padre delle Esperidi, e di far cogliere a lui stesso i preziosi pomi
d’oro.
Giunto in
Africa, Eracle attraversò dapprima l’Egitto, dove incappò nell’odio del re
Busiride per gli stranieri. Anni prima infatti la sua terra era stata devastata
da una terribile carestia, e un indovino di Cipro aveva profetizzato che l’ira
degli dei poteva essere placata soltanto col sacrificio di uomini nati in altre
terre. Busiride aveva compiuto il primo sacrificio utilizzando proprio il
malcapitato indovino, e da allora ogni anno uno straniero cadeva vittima di
questo crudele rito propiziatorio. Eracle stesso, catturato per tale bisogno, ebbe
però gioco facile a spezzare le catene, uccidere il re sul suo stesso altare e
allontanarsi sotto gli sguardi terrorizzati della popolazione egiziana. Passò
poi in Etiopia, dove uccise il tiranno Emazione, affidando il trono al fratello
di costui, il giovanissimo Memnone, che già regnava in Persia. In Libia si
scontrò con un avversario più temibile, il gigante Anteo, che aspettava al
varco tutti i viaggiatori per sfidarli a una lotta all’ultimo sangue. Anteo,
essendo figlio di Gea, aveva la possibilità di riprendere forza ogni volta che
veniva a contatto con il terreno. L’eroe greco però, abile quanto forte, trovò
il modo di impedire all’avversario di servirsi di questo vantaggio tenendolo a
mezz’aria con le poderose braccia e lo strozzò.
Dopo un lungo
viaggio, egli trovò finalmente Atlante, il quale reggeva sulle poderose spalle
il peso della volta celeste. Eracle si offrì di sostituirlo nel gravoso compito
per qualche tempo, se questi avesse acconsentito a raccogliere per lui le mele
d’oro del giardino delle Esperidi, e Atlante acconsentì.Ma quando questi fece
ritorno con le tre mele rubate,niente affatto voglioso di riprendere l’immane
fardello, cercò di lasciarne per sempre la responsabilità a Eracle, e
quest’ultimo riuscì a sottrarsi soltanto con la sua astuzia. Fingendosi onorato
del delicato incarico egli chiese ad Atlante di riprendere solo per un momento
la volta celeste sulle spalle, in modo da consentirgli di intrecciare una
stuoia di corde che alleggerisse la pressione sulla sua schiena. Il titano
riprese dunque il fardello, ma prima che potesse rendersi conto di essere stato
giocato con i suoi stessi mezzi il furbo Eracle era già fuggito lontano,
portando con sé il bottino delle mele d’oro.
La cattura
di Cerbero
Euristeo
scelse come ultima prova un’impresa che sembrava impossibile per ogni essere
mortale, catturare Cerbero, lo spaventoso cane a tre teste, guardiano delle
regioni infernali. Eracle si preparò a questa prova con un pellegrinaggio
iniziatico presso Eleusi, dove partecipò ai misteri detti appunto eleusini,
mondandosi della colpa dello sterminio dei centauri. Quindi egli raggiunse
Tenaro laddove una buia spelonca introduceva a una delle porte dell’Ade. Sotto
l’autorevole guida di Hermes egli si addentrò in quel gelido mondo sotterraneo.
Eracle
presenta Cerbero a Euristeo
Solo la
terribile Medusa, fra tutti gli spiriti incontrati, osò affrontarlo, ed Eracle
stava già per colpirla, quando Hermes gli fermò la mano, ricordandogli che le
ombre dell’Ade sono solo fantasmi.Anche l’ombra di Meleagro, celebre eroe
vincitore del cinghiale calidonio, si apprestò con una pacifica proposta:
pregava il nuovo arrivato di proteggere, una volta tornato nel mondo dei vivi,
sua sorella Deianira.
Presso le
porte dell’Ade Eracle trovò inoltre due uomini legati, che riconobbe molto
presto. Erano Teseo, suo compagno in svariate avventure, e Piritoo, il re dei
Lapiti. Entrambi erano scesi nel mondo sotterraneo per rapire Persefone, ma
erano stati scoperti dal dio Ade e condannati a restare eternamente prigionieri
nel mondo dei morti. L’eroe riuscì a salvare l’amico Teseo ma, quando si
apprestò a recuperare anche Piritoo, fu costretto ad allontanarsi per colpa di
un terremoto.
Ade,
conoscendo personalmente l’arditezza dell’eroe, che l’aveva già ferito poco
prima e che aveva steso con pochi colpi il suo mandriano, si convinse che
valeva la pena di ascoltare le sue ragioni. Acconsentì così a dargli il cane
Cerbero, a patto però che Eracle riuscisse a domarlo con le sole mani, senza
usare armi. Così, dopo una lotta disperata, il mostruoso guardiano fu costretto
ad arrendersi quando l’eroe riuscì a serrargli tra le potenti braccia la base
dei tre colli.
Euristeo,
vedendo Eracle tornare con il mostro infernale sulle spalle, si sentì morire
per la paura e ordinò che Cerbero venisse rimandato presso il proprio padrone.
Il re, avendo visto come l’eroico cugino era riuscito a vincere su tutte le
prove che gli aveva commissionato, si diede per vinto e lo liberò dalla sua
prigionia, ponendo così fine alle sue dodici fatiche.
Le ultime
imprese
Eracle
decise adesso, essendo passato molto tempo dalla morte di Megara, di trovarsi
una nuova compagna. Si invaghì così di Iole, figlia di Eurito, che durante la
sua fanciullezza era stato il suo maestro di tiro con l’arco. Il rinomato
arciere offriva la figlia in sposa a chi avesse superato in una gara lui e i
suoi tre figli. Eracle, partecipando alla contesa, sconfisse il suo antico
maestro, ma quando egli pretese Iole in premio, Eurito cercò di impedire il
matrimonio fra la sua adorata figlia e un uomo che non aveva esitato a uccidere
la propria moglie.
Fra i figli
del re solo Ifito prese le parti dell’eroe, da lui grandemente stimato; dal
canto suo Eracle, quando si vide negare la sposa regolarmente conquistata, andò
su tutte le furie.
Accadde
intanto che certi buoi appartenenti a Eurito venissero rubati dal noto ladro
Autolico. Il re fece credere a tutti che il furto fosse stato attuato da
Eracle, per vendetta, ma Ifito non accettò nemmeno adesso l’ipotesi che l’amico
potesse aver compiuto un’azione così meschina.
Unitosi a
Eracle, si mise sulle tracce del vero responsabile dell’azione. Durante il
percorso, mentre costruivano una torretta per avvistare il bestiame rubato,
Eracle venne però ripreso dalla furia, scagliatagli ancora dalla matrigna Era,
e fece pagare al giovane lo sgarbo di Eurito scagliandolo giù dalla torre.
Quando ritornò in sé e si accorse di aver ucciso il suo migliore amico, Eracle
cadde in una profonda prostrazione.
Eracle aveva
commesso uno degli atti più spregevoli: aveva ucciso un ospite nella propria
casa. Questa volta, però nessuno volle compiere il rito di purificazione ed
Eracle preferì tornare a Delfiper avere la punizione per il suo delitto.
La
Pitonessa, tuttavia, non aveva intenzione di compiere il rito per un essere
impuro: di nuovo in preda alla rabbia, Eracle riportò lo scompiglio nel tempio,
impadronendosi del tripode sacroe minacciando di compiere il rito da sé. La
Pizia, allora, invocò Apollo, che decise di affrontare Eracle. Lo scontro fu
tanto cruento, che Zeus fu costretto a intervenire, separando i duellanti e imponendo
alla Pizia di dire a Eracle come potesse purificarsi dall’omicidio di Ifito e
dalla profanazione dell’oracolo.
La schiavitù
presso Onfale
Sotto la
guida di Hermes, Eracle si imbarcò verso l’Asia, dove quasi nessuno lo
conosceva, e si fece vendere per tre talenti a Onfale, regina della Lidia. Ella
capì ben presto che razza di schiavo eccezionale avesse acquistato. Ma quando
seppe che quello schiavo portentoso altri non era che il famoso Eracle, pensò
di utilizzarlo come compagno di vita invece che come servitore.
Sotto il suo
comando, egli riuscì a liberare Efesto dai Cercopi, dei mostruosi uomini
scimmia che importunavano i viandanti, talmente bizzarri e simpatici che l’eroe
alla fine li liberò sorridendo. (Inutile dire che da qui deriva il nome:
Cercopitechi!).
Stessa sorte
non toccò a Sileo, re dell’Aulide, che catturava i viaggiatori e li uccideva
dopo averli obbligati a lavorare nella sua vigna.
Ma il lusso
e le mollezze della vita orientale riuscirono a sopraffare l’eroe, che dovette
comunque passare la maggior parte del tempo come passatempo preferito della
regina, che giocava con la sua clava e la sua pelle di leone e si divertiva a
vestirlo con abiti femminili e a impiegarlo nella filatura della lana.
Dopo tre
anni trascorsi in questo modo, Eracle decise di dire addio a questa vita così
poco adatta a un eroe che aveva scelto il Dovere come propria ragione di vita,
e lasciò per sempre Onfale, con la quale nel frattempo aveva generato un
figlio, Ati.
Onfale ci
riporta invece alla musica! A Le Rouet d’Omphale (L’arcolaio d’Onfale) poema
sinfonico di Camille Saint Saens del 1871, il musicista preferito, -lo sano in
pochissimi! – di Proust!!
La vendetta
contro i trasgressori
Eracle si
propose di punire tutti coloro che in qualche modo si erano comportati
scorrettamente con lui.Le sue prime vittime furono i due Boreadi, che egli
sorprese mentre facevano ritorno alla loro terra dopo aver vinto due gare
sportive. Eracle li stese morti a colpi di clava, ma subito dopo si pentì di
ciò che aveva fatto e seppellì personalmente i corpi dei due giovani.
A Tirinto
Eracle radunò un gruppo di compagni armati, fra i quali figuravano Iolao, Oicle
re di Argo, Peleo e Telamone per muovere guerra, con solo sei navi, contro
Laomedonte, il primo trasgressore, colui che, benché Eracle avesse salvato sua
figlia, non aveva voluto dare il compenso promesso, e anzi aveva scacciato
l’eroe in malo modo dal proprio regno, sotto insulti e imprecazioni.
L’esercito
di Eracle sconfisse Laomedonte uccidendo lui e i suoi figli maschi,
risparmiando Podarce, che aveva denunciato l’imbroglio del padre: secondo una
variante Podarce era stato fatto prigioniero dall’eroe e riscattato dalla
sorella Esione. Oltre a lui, vennero risparmiate anche le figlie del re,
Esione, Etilla, Cilla, Astioca, Procleia e Clitodora. In realtà alla morte
scamparono anche altri due maschi: Titone, che da tempo era stato rapito da
Eos, e Bucolione, ceduto in fasce da Laomedonte a una coppia di pastori.
Vennero uccisi invece Lampo, Clitio, Icetaone e Timete. Tuttavia Omero afferma
che l’eroe uccise solo il vecchio re.
Esione sposò
poi Telamone e dall’unione con lui nacque Teucro, valoroso guerriero durante
l’assedio di Troia.
Podarce divenne
re di Troia e, in ricordo del riscatto pagato dalla sorella per liberarlo,
decise di cambiare il suo nome in Priamo (che significa “il riscattato”).
Ma la
vendetta personale dell’eroe non era ancora conclusa, vi era infatti un altro
impostore da punire: Augia. Questi venne ucciso insieme con tutto il suo
esercito, i suoi domini ceduti al figlio, Fileo, l’unico che aveva professato
il vero e difeso Eracle in presenza del padre. La morte di Augia e dei suoi
uomini scatenò le ire dei suoi alleati, che mossero così contro l’eroe.
Eracle
invase i loro territori e li sterminò, uno per uno, a partire da Neleo, re di
Pilo, che non aveva voluto purificarlo dopo l’uccisione di Ifito. Questo
sovrano venne ucciso insieme con i suoi figli, unico sopravvissuto fu Nestore,
che in quel tempo era lontano dalla propria patria. Stessa sorte toccò ad
Attore, uno degli Argonauti, a Ippocoonte e ai suoi dodici figli, che avevano
cacciato dal regno ingiustamente i fratelli Icareo e Tindaro (quest’ultimo
prenderà in seguito il posto di Ippocoonte, divenendo re di Sparta e futuro
padre adottivo di Elena, la donna che fu causa della famosa guerra di Troia), e
a molti altri usurpatori e trasgressori dei patti, alleati di Augia, tutti
caddero sotto l’avanzata di Eracle, pagando con la stessa vita le loro
nefandezze.
Durante
questa serie di massacri, Eracle si invaghì della figlia di Cefeo, uno dei suoi
alleati, la sacerdotessa Auge, dalla quale ebbe Telefo, futuro re di Misia e
marito della principessa troiana Astioche, che l’avrebbe reso padre di
Euripilo, valoroso condottiero nella guerra di Troia (come alleato di Priamo).
La fine
terrena di Eracle
Deianira e
il centauro Nesso
Eracle
capitò in Calidonia per vedere Deianira, figlia di Eneo, alla quale doveva
riferire un messaggio che il fratello Meleagro le inviava dal regno dei morti.
Eracle, che già sapeva della bellezza della fanciulla, si innamorò di lei e la
portò con sé come sposa, dopo un’ardua contesa con un rivale, il dio fluviale
Acheloo.
Quest’ultimo
era capace di assumere le forme più disparate, mutandosi in serpente e poi in
toro durante lo scontro con l’eroe. Vinto da questi però fu costretto a fuggire
con un corno spezzato, gettandosi poi nel fiume Toante. Dalle gocce di sangue
del corno reciso nacquero le sirene.
I due
decisero di trasferirsi a Trachis, in Tessaglia, per vivere lì insieme.
Arrivati però a un corso d’acqua in piena, Eracle e la nuova moglie incontrarono
il centauro Nesso, che si offrì di traghettarli sulla riva opposta portandoli
sulla schiena. Dal canto suo Eracle non aveva bisogno di un tale aiuto, e dopo
aver gettato sull’altra riva la clava e la pelle di leone, si gettò a nuotare
agilmente nel fiume in piena; affidò, però, la moglie a Nesso.
Subito quel
rude centauro, infiammato dalla bellezza della donna, avrebbe voluta rapirla,
ma Eracle sentì le grida della moglie e con una delle sue frecce avvelenate
abbatté il centauro. Negli spasimi dell’agonia, il vendicativo essere sussurrò
a Deianira di inzuppare un vestito nel suo sangue, e che quell’abito magico
avrebbe rinverdito alla bisogna l’amore di Eracle per lei.
Come
trasgressore dei patti anche Eurito, re d’Ecalia e maestro d’arco, che in precedenza
non aveva voluto cedere in sposa Iole a Eracle, venne sconfitto dall’eroe e
ucciso insieme con i suoi familiari. Questa la sua ultima impresa, secondo un
decreto dell’Oracolo di Dodona.
Deianira,
vedendo tornare lo sposo vincitore, notò che, fra gli ostaggi catturati, vi era
anche Iole, antica fiamma di Eracle, e venne così presa dalla gelosia. Decisa
di mettere in pratica l’incantesimo che le aveva rivelato il centauro Nesso,
senza sospettare che in realtà il sangue del centauro era avvelenato dalla
freccia che Eracle stesso aveva scagliato, Deianira gli inviò un vestito che
era stato immerso in quel veleno e l’eroe l’indossò per celebrare i riti di
ringraziamento per la vittoria. Non appena il fuoco acceso sull’altare ebbe
riscaldato il veleno con cui era intriso, un dolore bruciante gli entrò fin
nelle vene, ed egli, impotente per la prima volta nella sua vita, non poté far
altro che subire l’agonia, uccidendo nella disperazione il servo Lica che,
ignaro, gli aveva portato la veste fatale.
Con le sue
ultime forze, Eracle sradicò alcuni alberi e costruì una pira nella quale poter
bruciare, ma una volta preparato il rogo suo figlio Illo e Iolao non ebbero il
coraggio di accenderlo, ed Eracle fu costretto a chiedere a un pastore di nome
Filottete di farlo.Questi ubbidì, ed Eracle gli donò le sue armi, che si
renderanno molto utili durante la guerra di Troia. Indossata la pelle di leone
che non lo aveva mai abbandonato dall’età di diciotto anni salì sul rogo,
mentre Iolao, Illo e Filottete intonavano i lamenti funebri. Mentre Eracle
cominciava a bruciare, con un rombo Zeus prelevò il corpo del figlio prima che
morisse, e lo portò con sé nell’Olimpo, dove l’eroe si riconciliò con Era e
sposò Ebe, la coppiera divina.
Si era
avverata la profezia dell’oracolo, che prevedeva la fine terrena di Eracle per
opera di un morto.
Iolao, dopo
aver osservato tale prodigio, costruì un tempio in onore dello zio, e Illo, su
ordine dello stesso Eracle, sposò Iole. Deianira, quando seppe ciò che era
successo, in preda ai sensi di colpa si uccise.
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