Resti di uno
dei fortini individuati da Lino Licari sull’Aspromonte. Questo si trova in
località Zillastro – Ph. © Lino Licari
Posti dalla
città di Locri a salvaguardia della sua via di sbocco sul Tirreno, furono anche
una cortina difensiva di tutta l’area di influenza della polis jonica contro
gli attacchi dei Calcidesi di Reggio.
di
Alessandro Novoli, 08 06 2018
Se il Parco
Nazionale d’Aspromonte ha molti assi nella manica per ambire all’ingresso nei
Global Geoparks dell’Unesco, un nuovo assist gli viene ora servito sotto il
profilo del patrimonio culturale dalla eccezionale scoperta archeologica fatta
da una delle guide ufficiali del parco, il rosarnese Lino Licari, il quale da
almeno un anno va individuando uno dietro l’altro i resti di una lunga serie di
fortificazioni di origine magno-greca (phrouria) presidianti il percorso che
dalla importante colonia di Locri Epizephiri - fondata dai Locresi di Grecia al
principio del VII sec. a.C. - arrivava fino a Medma (l’odierna Rosarno),
subcolonia impiantata sul versante tirrenico verso la fine dello stesso secolo,
periodo in cui i Locresi fondarono anche la città di Hipponion (Vibo Valentia).
Licari ne ha
identificati ben 31 e, stando ai primi esami delle strutture e al ritrovamento
di frammenti di ceramiche, risalirebbero ai primi secoli di vita (VI-V a.C.)
della colonia jonica, interessata ad avere un autonomo percorso di sbocco sul
Tirreno, meta dei principali traffici commerciali; una via alternativa allo
Stretto di Messina posto sotto il rigido controllo delle potenti città di
Reghion (Reggio Calabria) e Zancle (Messina), fondate nell’VIII secolo da
coloni Calcidesi. Ragioni economiche e politiche spinsero dunque i Locresi ad
occupare nuovi territori sul versante occidentale della Calabria – area
particolarmente fertile per l’abbondante presenza di acque e di terreni
alluvionali oltre che strategica per posizione geografica – e a presidiare la
via di collegamento fra i due versanti costieri, creando al tempo stesso una
cintura difensiva a tutela delle proprie città e delle risorse del territorio
dai possibili attacchi dei Calcidesi reggini. Esigenza tanto più sentita dopo
che Anassila, tiranno di Reggio, chiuse lo Stretto ai Locresi, per cui Medma
divenne il porto di Locri.
Il tragitto
che da Locri arrivava fino a Medma consisteva dunque in un valico interno che
si inerpicava sulle creste aspromontane attraversando i passi di Ropola e del
Mercante a quota 952 metri prima di iniziare la discesa in direzione del
magnifico terrazzo di Pian delle Vigne, cuore dell’antica pianura medmea. Le fortificazioni identificate rivelano
l’importanza attribuita dai Locresi a questo percorso che Licari, direttore del
“Gruppo archeologico Medma” oltre che guida del Parco, sta continuando ad esplorare
insieme all’esperto di cartografia Andrea Ciulla, sotto la supervisione di
Antonino Siclari responsabile del progetto di ricerca dell’ente Parco e in
costante contatto con la Soprintendenza di Reggio Calabria attraverso
l’archeologo Fabrizio Sudano, direttore del Museo Archeologico di Medma. Per
conto del Parco, Licari sta infatti effettuando la mappatura di tutti i siti
rientranti nel suo perimetro, con misurazione
e dettagliata schedatura di ciascun fortino, operazione cui farà seguito
un’attenta indagine da parte di Soprintendenza e Parco: “tutti i siti – spiega
Licari – vengono schedati e fotografati e ognuno di essi ha una propria carta
topografica che permette di localizzarlo, essendo indicato il luogo di
pertinenza, le coordinate e le modalità di arrivo”.
Queste
strutture si presentano a pianta quadrata con muri larghi fino a 2,40 m. ed
erano articolate in più piani, adempiendo alla funzione di presidio
territoriale. Molti dei muri sono ben conservati, fatto che consente di
comprenderne tecniche costruttive, tipologia e funzione. Come rivela la carta
seguente, il tracciato militare presenta un doppio andamento: un primo tratto, da
est a ovest, segnato in giallo, segue la strada (dromos) commerciale e militare
Locri-Medma, presidiando il percorso che partiva dalle mura dell’antica città
jonica, saliva a Zomaro (località montana all’interno del Parco, ricca di
faggi, abeti, lecci, ginestre e della rarissimaWoodwardia radicans, specie di
felce gigante sopravvissuta al Cenozoico), per poi scendere verso Medma: un
tragitto costellato di piccoli fortini, fontane e abbeveratoi per i cavalli,
che a Zomaro incrociava un insediamento militare di maggiori dimensioni presso
il quale era possibile anche il riposo notturno e diurno, il rifocillamento dei
viandanti e il cambio dei cavalli. “Il tracciato – spiega Licari – era in terra
battuta mentre in alcuni punti di salite o discese in forte pendenza c’era il
selciato realizzato con pietre recuperate sul posto.”
Un secondo
tratto, indicato in celeste sulla carta, attraversava invece tutto l’Aspromonte
in direzione nord-sud, dal Monte Limina fino ad Amendolea di Condofuri
(l’antica Peripoli), passando per i Piani di Carmelia (a Delianuova): “una
lunghissima via militare in quota che – aggiunge Licari – ho voluto chiamare
con antico termine grecanico “Anadromos” delle fortezze, la quale in alcuni
punti aveva anche rilevanza commerciale e per certi tratti procedeva in
parallelo con i confini dei Calcidesi reggini (i punti segnati in rosso), ma
soggetta a cambiamenti in base all’andamento delle guerre”.
A
indirizzare Licari verso la scoperta di questo sistema di avamposti militari,
sono stati sia la provata esperienza di guida del Parco sia un ampio studio di
testimonianze storiche ed erudite, oltre che cartografiche: “Ho iniziato –
racconta Licari - studiando accuratamente alcune carte topografiche sia antiche
che recenti su cui è ancora possibile trovare toponimi che riportano a luoghi frequentati
da antiche popolazioni. Ma il lavoro principale è stato quello della ricerca
sul campo girando ogni angolo del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sono partito
dal Piano della Limina proseguendo in direzione sud passando da un versante
all’altro, cioè da quello ionico a quello tirrennico, e questo dopo aver notato
la presenza di resti archeologici che si alternavano in entrambi i versanti:
Monte Limina, Zomaro, Piano di Moleti, Zervò, Zillastro, Monte Fistocchio,
Piani di Carmelia e via scendendo. La presenza di resti archeologici in punti
strategici mi ha permesso di identificare sia i siti che le loro funzioni.”
Le ricerche
– aggiunge Licari – “si sono concentrate con particolare passione soprattutto
fra giugno e settembre dello scorso anno ed hanno permesso di rivelare la
straordinaria ricchezza archeologica del Parco, con siti d’alta quota
distribuiti fra gli 800 e i 1560 metri sul livello del mare, oltre che di
aggiungere qualche altro tassello alla storia di Locri e Medma. Colgo
l’occasione per ringraziare la nostra Soprintendenza perché ci ha appoggiati
fin dall’inizio, così come ringrazio Giuseppe Bombino, presidente dell’ente
parco, il direttore Sergio Tralongo, il responsabile biodiversità Antonino
Siclari e tutto il direttivo, nonché il collega Andrea Ciulla fondamentale per
la conoscenza del territorio ed esperto di cartografia”.
E’ qui il
caso di ricordare come l’asse Locri-Medma, lungo il versante aspromontano
orientale, sia attualmente interessato da una campagna di scavi a cura
dell’Università del Kentucky, sotto la direzione del prof. Paolo Visonà, cha
negli anni ha esplorato quattro siti fortificati fra Zomaro e il territorio di
Antonimina. Va aggiunto anche che le emergenze archeologiche dell’Aspromonte
non si fermano all’età magno-greca: i 64.153 ettari del Parco vantano infatti
anche testimonianze d’epoca preistorica composte per lo più da frammenti litici
e ceramici a cui si è aggiunta di recente la scoperta di una macina del
Neolitico prontamente consegnata al Museo Archeologico di Medma, a Rosarno.
“Nel corso delle indagini archeologiche per individuare e censire i fortini –
racconta Licari – abbiamo individuato e
censito anche molti sentieri che presentano tutte le caratteristiche di antichi
assi viari, fra cui vie completamente ricoperte di pietre, alcune delle quali
possono essere state vie di comunicazione commerciali e militari tra i due
versanti ionico e tirrenico”. Insomma tanto è emerso e tant’altro potrebbe
ancora emergere da quest’area ad oggi poco esplorata soprattutto a causa della
fitta vegetazione; elemento che se da un lato ha da sempre ostacolato le ricerca,
dall’altro ha favorito la buona conservazione di resti di strutture spesso
create su crinali scoscesi.
Dopo i
risultati raggiunti, il sogno di Lino Licari è che “possa presto nascere una
sentieristica in grado di permettere ai visitatori un’esplorazione
storico-archeologico-naturalistica di 3-4 giorni attraverso le foreste
aspromontane, e di altri 2-3 giorni nell’area ellenofona, dove è ancora in uso
l’idioma greco arcaico e l’abitudine di ospitare i visitatori nelle vecchie
dimore grecaniche”; un sogno che potrebbe diventare realtà se, come sembra,
l’ente Parco, la Soprintendenza e la Città Metropolitana di Reggio Calabria
stanno lavorando di concerto per far sì che il Parco Nazionale d’Aspromonte
diventi una meta di rilevanza internazionale.
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