Roma, 3 giu
– Il mare in medio terrae, la cui traduzione dal latino sarebbe «il mare in
mezzo alla terra», è stato il primo bacino acquatico attorno cui si sono
sviluppate le più importanti e quanto mai prolifiche civiltà antiche e moderne.
La società occidentale, come ben si sa, affonda le radici proprio in epoca
classica, romana e greca per intendersi grossolanamente.
Le primissime civiltà che si affacciarono sul Mediterraneo furono quella cretese e fenicia a distanza di qualche secolo. Quella cretese era una società molto ben organizzata, una candidata papabile per la conquista dell’egemonia mediterranea, se non fosse stato per l’invasione achea del 1400 a.C. circa. In quei secoli iniziò a diffondersi anche il fenomeno della pirateria: i predoni passati alla storia con il nome di «popoli del mare» causarono la fine dell’Impero ittita e danneggiarono gravemente, dal punto di vista economico, l’Egitto dei faraoni. Queste popolazioni si insediarono in Asia Minore e diedero origine ai primissimi regni indio-semitici, tra i quali quello filisteo della Palestina.
Un ruolo non
secondario lo svolgeranno i Fenici, un popolo di commercianti e di esploratori
famoso per aver navigato in lungo e in largo tutto il bacino e per aver fondato
importantissime colonie quali Cartagine, Biblo, Berito (l’attuale Beirut), Tiro
e Sidone, senza dimenticare gli insediamenti su tutto il versante occidentale e
meridionale della Sardegna. Insomma, i Fenici, anch’essi un popolo semitico,
divennero i primi pionieri che osarono addentrarsi fino alle colonne d’Ercole
del Mediterraneo e, secondo il parere di alcuni storici, addirittura al di là
del confine ultimo del pianeta.
Un altro
popolo, però, fece del Mediterraneo la propria «autostrada» commerciale: il
popolo greco. Le polis dell’Ellade, ad un certo punto della loro esistenza,
iniziarono infatti a sentire la necessità di cercare «fortuna altrove».
Moltissimi coloni, per questo motivo, lasciarono la madre patria e, giunti in
una terra senza padrone al di là del mare, costruivano degli insediamenti che,
di lì a pochi anni, divennero vere e proprie città molto spesso più importanti
della polis di origine. Ecco che la Magna Grecia diventerà la terra di
moltissimi geni, poeti ed eroi della nostra cultura quali Archimede, Pitagora,
Zenone, Gorgia ecc. Non per niente uno dei massimi poeti di età romana, quale
era Ovidio, affermerà Itala nam tellus Graecia maior erat, ossia «ciò che
chiamavamo Magna Grecia era (in realtà) l’Italia»: il Meridione era infatti
l’avanguardia tecnologica, letteraria e politica di tutto il nostro stivale.
Nel
Mezzogiorno, i Romani poterono conoscere la figura del tyrannos, ossia il
«tiranno» inteso nel senso greco del termine: un sovrano assoluto ma
illuminato, molto spesso ben voluto e acclamato dal popolo che si affidava
totalmente al suo volere, considerato come il più giusto e corretto. Il tiranno
è però condannato a vivere con una «spada di Damocle» sopra la sua testa,
un’arma affilatissima appesa ad un filo molto fine, metafora del fatto che,
come è riuscito il tiranno ad ottenere il potere grazie all’acclamazione
popolare, sempre il popolo può rivelarsi la causa della sua rovina nel momento
in cui il sovrano utilizzasse il suo potere contro la polis nella sua istituzione
e composizione.
Ma torniamo
al nostro mare. La denominazione mare Mediterraneum la troviamo in un’opera
dello scrittore latino Gaio Giulio Solino nota con il titolo Collectanea rerum
memorabilium, una trattazione geografica di notizie provenienti da tutto il
mondo allora conosciuto. Questo autore, praticamente semisconosciuto agli
odierni manuali di studio del latino scolastico, è stato, in realtà, molto
importante in quanto primo nella storia a definire Roma caput mundi, ossia
eterna e sovra-urbana città di tutto il mondo, conosciuto e non.
Nel libro V
del De bello gallico di Giulio Cesare troviamo l’epiteto Mare nostrum riferito
al Mediterraneo. Infatti, tutte le terre conquistate dal generale che si
affacciavano sul mare diventavano «nostre» ossia, immedesimandosi nella figura
di un cittadino dell’Urbe, parte del crescente dominio romano. Mare nostrum
diventerà, però, un’espressione ancora più famosa dopo la crociata di Pompeo
contro i pirati che terrorizzavano le acque del nostro mare. Solo dopo aver
debellato questa piaga, il Mediterraneo fu proprietà indiscussa di Roma.
Il
Mediterraneo sarà, in ogni caso, il centro di interesse di tutti i più grandi
imperi della storia: da quello di Alessandro Magno a quello romano, passando
per il secolare Impero ottomano fino all’imperialismo russo. Anche nel
Novecento, malgrado la perdita d’importanza a favore dell’apertura a ovest
verso l’Atlantico, il Mediterraneo è stato al centro del dibattito politico
mondiale. Una delle cause remote dello scoppio della prima guerra mondiale, se
ci pensiamo bene, è l’invasione della Serbia da parte dell’Austria-Ungheria un
mese esatto dopo l’assassinio dell’Arciduca Ferdinando il 24 luglio 1914. La
Serbia e gli annessi staterelli balcanici erano sotto l’egida della Russia. Ma
cosa vuoi che interessasse ad un impero colossale come quello zarista un
paesino infimo come la Serbia? Quello che volevano anche l’Austria, la Germania
e tutti gli altri Paesi d’Europa: uno sbocco sul Mediterraneo. Controllarlo
sarebbe stato di vitale importanza per la sopravvivenza economica di un
qualsiasi Stato del vecchio continente.
Lo capì
molto bene la politica estera fascista. Agli inizi degli anni Sessanta era
stato pubblicato un romanzo molto particolare scritto da Philip K. Dick
intitolato La svastica sul sole. Il romanzo distopico per eccellenza altro non
è che la visione alternativa della storia dopo il 1945 con un totale
ribaltamento delle carte in tavola. La bomba atomica cade su Washington, le SS
marciano su New York, i giapponesi sbarcano a San Francisco e quella che viene
divisa in due non è la Germania, bensì l’America. Insomma, l’Asse vince la
seconda guerra mondiale e si dà il via ad una guerra fredda tra Berlino e
Tokio. E l’Italia? Quasi come se fosse impossibile anche nella fantascienza che
il nostro Paese riesca a dimostrare il suo valore al mondo intero, Mussolini e
l’Impero Italiano, guarda caso, hanno avuto un ruolo secondario nella vittoria
finale e, di conseguenza, anche il territorio assegnato al nostro stivale sarà
ridotto. Indovinate un po’ di quale fetta di mondo vi sto parlando? Esatto: il
Mediterraneo. Secondo le teorie del Neuordnung, il «Nuovo Ordine», elaborato
dai nazisti, l’Italia avrebbe dovuto amministrare prevalentemente il Nord
Africa e i Paesi dell’Europa mediterranea che, anche se può sembrare un bel
pezzo di mondo, nulla toglie a ciò che, invece, avrebbero dovuto amministrare
il Reich e il Giappone, che praticamente si spartivano Asia e Americhe. Il
Mediterraneo era il Lebensraum, lo «spazio vitale», che serviva all’Italia per
diventare una superpotenza al pari dei suoi colleghi d’Oltralpe e in Estremo
Oriente. Insomma, Roma doveva diventare una capitale talassocratica basata sul
totale controllo delle vie di commercio e di comunicazione via mare.
La Guerra
Fredda ha spostato definitivamente l’attenzione su un altro enorme mare,
l’Oceano Atlantico, ma il Mediterraneo è rimasto quanto mai vivo e al centro
del dibattito della questione araba. Attorno alle rive del Mediterraneo si sono
succeduti regimi e governi autoritari e socialisti che hanno combattuto e
mantenuto integro il Paese ai danni degli usurpatori esteri (primi fra tutti
gli Usa seguiti a ruota dall’Urss ovviamente). In Libia con il Colonnello
Gheddafi, in Egitto con Nasser e in Siria con la dinastia Assad si sono
instaurati governi arabi socialisti «non allineati» ma, ovviamente,
antiamericani e filosovietici. Malgrado gli aspetti autoritari (assolutamente
ingigantiti dai media occidentali), questi «sanguinari dittatori» hanno retto
Paesi ingestibili dal punto di vista socio-economico in maniera davvero
magistrale.
Gheddafi
riuscì a far andare d’accordo, per esempio, le innumerevoli tribù che abitano
il suolo libico, dando a tutti la possibilità di dimostrare il proprio valore e
di evidenziare eventuali problemi di ordine sociale quali incongruenze
territoriali o discrepanze economiche. Insomma, il socialismo arabo si è
rivelato una carta vincente per il governo di questi territori. Il Colonnello,
tra l’altro, incentivò a livelli strabilianti il turismo sulle coste della
Tripolitania e della Cirenaica facendo del Mediterraneo la principale via per
raggiungere il suo impero. Non solo di mare e di belle ragazze, però, era
costituito il sistema economico del Maghreb. L’oro nero abbondava in quello
«scatolone di sabbia» che era la Libia come, del resto, in Egitto, Iraq e Medio
Oriente in generale. Paesi che, guarda caso, hanno assaggiato il sapore del
ferro americano.
Che gli
Americani siano dei famosi «esportatori di democrazia» con la violenza lo si sa
anche dai memes che circolano su Facebook, ma che abbiano creato delle vere e
proprie isole coloniali attorno alle loro basi in tutto il mondo ci sfugge
ancora. Le truppe di Washington sono presenti in quasi tutte le nazioni del
Medio Oriente tranne Libano, Egitto, Iran e Nord Africa con più di mille uomini
in ciascuna di queste. Risaputo, tra l’altro, è che da quando i «terribili
dittatori» dei Paesi arabi sono stati fatti fuori da questi liberatori e sono
stati instaurati regimi democratici per maniera di dire, immediatamente si sono
rifatti vivi i terroristi islamici a lungo combattuti dai colonnelli e generali
di turno. Insomma, se nel 1492 è stato un europeo a scoprire e a colonizzare il
nuovo continente, negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto
mondiale, sono stati gli americani che, con orgoglio e arroganza, hanno deciso
di fondare veri e propri insediamenti comunemente conosciuti come «basi
militari», poste nel Mediterraneo orientale ma pronte ad espandersi presto
dovunque.
Lasciamo da
parte, ora, la sponda meridionale del nostro bacino e soffermiamoci su quella
settentrionale. Come tutti si sono bene accorti, il Mediterraneo è diventato un
ponte, un «passaggio a nord-ovest» (anzi a nord e basta) per tutti quei
personaggi che, vuoi per la guerra che flagella il loro Paese o per le malattie
o semplicemente per il fatto di essere criminali, sono giunti nel nostro bel
Paese a ondate, a proposito di mare, quanto mai impetuose. Nell’ottobre 2013 a
largo di Lampedusa si consumò una strage di questi migranti: più di 350 morti
annegati da aggiungere a una ventina di dispersi sono le cifre da capogiro che
hanno occupato le prime pagine dei giornali all’indomani dell’accaduto. Di lì
l’indignazione governativa per una strage «che si poteva benissimo evitare» a
detta loro, talmente evitabile e talmente oscena agli occhi dell’italiano medio
che per un minuto tutti gli italiani sono stati richiamati al silenzio per
ricordare le vittime, come se a morire fossero stati dei connazionali. Questo
nulla toglie al fatto che di vite umane, comunque, si parla, ma vorrei
sottolineare l’ipocrisia di un Governo che ha voluto già allora assumersi tutte
e, ribadisco, tutte le colpe non solo di quell’evento particolare, ma anche di
tutti gli altri incidenti nel Mediterraneo. L’allora premier, Enrico Letta,
decise brillantemente di aiutare i migranti direttamente in mare andandoli a
pescare dai loro trasandati barconi per evitare altre stragi in quella manovra
che passerà alla storia con il nome con «Mare Nostrum».
Ebbene, con
questo provvedimento, si è dato inizio a quell’inesorabile processo di
invasione e sostituzione etnica che tutt’oggi persiste nel nostro Paese, e
perché? La colpa è sia dei migranti che, senza generalizzare, hanno
approfittato di questo passepartout italiano decidendo di cambiare vita con uno
swish di banconote, dall’altra parte, però, è innegabile la colpa di chi ha
lucrato su tutto questo processo di condanna a morte del nostro Paese e delle
sue tradizioni. Insomma, il Mediterraneo, la culla della civiltà occidentale, è
sempre stato un luogo di incontro e, ancor di più, di scontro. Un mare che ha
visto predominante l’influenza italica e italiana. Compito del nostro Paese ora
è riprendersi il proprio mare.
Tommaso
Lunardi
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