Questo articolo in breve:
Necessità di usare una “edizione critica” di
Aristotele.
Problema di lettura della parola boethèias (βοηθείας).
Confronto delle diverse versioni tramandate
dai manoscritti.
Motivi per cui preferire boethèias alle altre versioni attestate.
Testo troppo complicato per studenti di
liceo.
Giovedì 21 giugno gli studenti di V liceo
classico si sono cimentati con un brano dell’Etica Nicomachea di Aristotele,
una raccolta di appunti sulla virtù, il vizio, il bene, il male e le scelte
morali, che il filosofo greco preparò per i suoi allievi.
Il passo, certamente difficile per uno
studente di liceo, apre il libro VIII dell’Etica, e il luogo esatto è 1155a1-4.
Siccome qui discuteremo di una singola parola, è bene affidarsi a una “edizione
critica” del testo. Quest’ultima è il risultato del lavoro di esperti che,
confrontando le copie di un testo giunte fino a noi (i manoscritti medievali
possono contenere versioni anche molto diverse tra di loro di una stessa
opera), si sforzano di ricostruire un testo il più possibile immune dagli
errori dei copisti e il più verosimilmente vicino all'originale antico.
Scegliamo dunque l’edizione critica curata da Bywater nel 1894 per la Oxford
Classical Texts, un’autorevolissima collana di testi antichi.
L’EDIZIONE CRITICA DELL’ETICA NICOMACHEA DI
ARISTOTELE
Ingram Bywater, nell’introduzione alla sua
edizione, afferma che la copia migliore dell’Etica Nicomachea è conservata in
un codice della biblioteca Laurenziana di Firenze, su cui perciò lo studioso si
basa nel ricostruire il testo; tuttavia, quando trova una divergenza
significativa, riporta anche la “lezione” (versione) di un codice della
biblioteca Marciana, indicato con la sigla Mb. Queste divergenze vengono
annotate in fondo a ciascuna pagina, in un insieme di note che gli esperti
chiamano "apparato critico" del testo.
LA FRASE “INCRIMINATA”
Ecco la trascrizione della frase che ci interessa,
alle righe 12-15, e le foto del testo e dell’apparato critico (nelle foto, le
pagine 155-156 della ventesima ristampa dell'edizione Bywater, uscita nel
1988):
Καὶ νέοις δὲ πρὸς τὸ ἀναμάρτητον καὶ πρεσβυτέροις πρὸς θεραπείαν καὶ τὸ ἐλλεῖπον τῆς πράξεως δι’ ἀσθένειαν βοηθείας, τοῖς τ’ ἐν ἀκμῇ πρὸς τὰς καλὰς πράξεις·
Possiamo tentare una prima traduzione della
frase per immedesimarci nello smarrimento degli studenti:
Sia ai giovani per la cosa infallibile sia ai
vecchi per la cura e per ciò che manca dell'azione a causa di debolezza d'aiuto
(βοηθείας), sia a quelli nel fiore dell'età per le
belle azioni.
Dopo aver cercato i significati sul
vocabolario, gli studenti avranno abbozzato sulla loro brutta, nel migliore dei
casi, proprio questa traduzione.
TRE LETTURE PER UNA PAROLA
La parola boethèias (βοηθείας), alla riga 14, appena prima della virgola,
è il nostro problema. Bywater trovò che in questo punto le copie antiche
dell’Etica Nicomachea offrivano tre letture diverse. Siccome tutt’e tre davano
senso alla frase, accolse nel testo quella che gli parve più plausibile, ma in
fondo alla pagina annotò le due varianti.
Questo è un indizio che qualche antico
lettore e copista di Aristotele ebbe una difficoltà in quel punto, e perciò
corresse quel che leggeva nel codice da cui stava copiando, perché secondo lui
quella parola scritta così era frutto di un errore di copiatura fatto da
qualcun altro prima di lui.
LA LETTURA BOETHÈIAS (“D’AIUTO”)
Nel codice Laurenziano si legge quindi
boethèias (βοηθείας). Questa è la “lezione” (versione) accolta
come più probabile dall’esperto, ed è quella che il ministero ha usato nella
prova d’esame. È un nome femminile
derivato dal verbo boethèo (βοηθέω), che a sua volta è formato da boè “grido” e
thèo “corro”, perciò “accorro al grido (di qualcuno)”, “vengo in aiuto (di
qualcuno)”. Boètheia (βοήθεια) significa dunque “aiuto”. Nella lezione
accolta da Bywater il sostantivo (al caso genitivo, che esprimeva una
specificazione) significherebbe dunque qualcosa come “d’aiuto”, “dell’aiuto”.
Ma come va inteso quel genitivo? Potrebbe
essere una specificazione del precedente “per la debolezza” (di’asthèneian, δι’ἀσθένειαν). In effetti i vocabolari attestano che il
nome asthèneia, “debolezza”, può essere precisato da un genitivo: “del corpo,
della vecchiaia, della carne”. Con
“debolezza dell’aiuto” Aristotele voleva dire che i vecchi, a causa
dell’età, hanno talvolta difficoltà ad aiutarsi da sé, cavarsela da soli? Suona
strano, perché boètheia indica l’aiuto che noi portiamo ad altri, non quello
che ci viene dato.
Più facile pensare a un complemento di
effetto o scopo: boethèias vorrebbe dire “d’aiuto” e reggerebbe i tre nomi in
dativo (“ai giovani”, “ai vecchi”, “a quelli nel fiore dell'età”), per analogia
con il verbo boethèo. Il significato della frase sarebbe dunque:
(L’amicizia è) d’aiuto sia ai giovani per
evitare gli errori sia ai vecchi per curarsi e per la mancanza di attività, sia
a quelli nel fiore dell'età per (compiere) belle azioni.
Segue questa lettura del testo Armando Plebe
nella sua traduzione, pubblicata qui: Aristotele, Opere. 7: Etica Nicomachea,
Laterza, Bari 1990, p. 193.
Comunque, ammesso che il codice Laurenziano
riporti la parola così come Aristotele la scrisse, quel genitivo dev’essere
sembrato sbagliato a qualche copista. Pur scartando “debolezza dell’aiuto” come
inaccettabile, la parola boethèias resta un po’ strana: posta com’è dopo i
numerosi complementi riferiti “ai vecchi”, poteva creare ambiguità; inoltre
essa implicherebbe un sottinteso (“l’amicizia è”) che deve aver complicato la vita dei malcapitati
maturandi, oltre che dei copisti. In realtà il costrutto potrebbe spiegarsi con
la natura dello scritto aristotelico, che conteneva degli appunti del filosofo.
Chi scrive rapidamente, per schematizzare il proprio pensiero, può benissimo
ricorrere a costruzioni di questo tipo.
LA LETTURA BOÈHEIA (“AIUTO”)
Ad ogni modo, come dicevamo, la lezione
boethèias creava difficoltà e non è l’unica attestata. Così, il copista del
codice Mb scrisse non boethèias (βοηθείας) ma boèheia (βοήθεια), trasformando dunque la parola da genitivo in
nominativo, ovvero da complemento di specificazione (“di aiuto”) in soggetto o
in termine riferito al soggetto (“aiuto”, “l’aiuto”). Anche in questo caso
comunque bisognerebbe sottintendere “l’amicizia è”. Il senso della frase
cambierebbe poco: “Per i vecchi (l’amicizia è) un aiuto”.
LA LETTURA BOETHÈI (“AIUTA”)
Bywater però riporta eccezionalmente anche
quel che leggeva in un altro codice, conservato a Parigi. Qui il copista aveva
trasformato il sostantivo boethèias (βοηθείας) nel verbo boethèi (βοηθεῖ), coniugato alla III persona singolare dell’indicativo
presente (“aiuta”, “porta aiuto”). Il soggetto è sempre un implicito philía,
“amicizia”, e il verbo reggerebbe i tre nomi al dativo. La traduzione
suonerebbe così:
(L’amicizia) aiuta i giovani…, i vecchi a
ottenere cura e a (compensare) il difetto della loro attività, a causa della
loro debolezza fisica.
Perché il filologo inglese volle menzionare
anche questa terza lezione? Un filosofo di nome Aspasio, vissuto tra l’80 e il
150 d.C., scrisse dei commenti alle principali opere del maestro. A noi è
arrivata una parte del suo commento all’Etica Nicomachea, e da come Aspasio
commenta il passo in questione Bywater sospettò che egli, nella sua copia
dell’opera, leggesse proprio il verbo boethèi.
È un dettaglio di qualche rilievo: un lettore
colto e preparato – era allievo della scuola fondata da Aristotele –, che
leggeva tutte le opere del grande filosofo su copie trascritte quattro secoli
dopo la sua morte, e che le conosceva tanto bene da commentarle, forse in
questo punto leggeva e trovava sensato il verbo “aiuta”. In ogni caso la
testimonianza di un lettore antico, per quanto interessante, non è di per sé
decisiva: anche Aspasio potrebbe aver avuto sott’occhio una copia già corretta
da altri, o aver inteso a modo suo un passo che gli pareva un po’ strano.
PERCHÉ PREFERIRE LA LETTURA BOETHÈIAS
(“D’AIUTO”)
Che cosa aveva scritto dunque Aristotele? Non
lo sapremo mai con certezza: la filologia lavora su copie di copie di copie,
perciò si basa su deduzioni ragionevoli e ricostruzioni probabili. Allora
perché Bywater scelse di leggere il genitivo boethèias, che è un po’ difficile
da capire a prima vista? Probabilmente, proprio perché è la lezione più strana.
I copisti e lettori antichi, di fronte a una vocabolo o a un costrutto strani o
rari o difficili, tendevano a renderli normali: entrambe le lezioni alternative
potrebbero aver avuto quello scopo. Lo fa pensare il confronto stesso fra le
tre lezioni: mentre è facile spiegare come mai boethèias sia stato corretto in
boètheia o in boethèi, è molto più difficile spiegare il passaggio inverso,
ossia da una frase comprensibile e “liscia” a un costrutto più insolito.
Bywater insomma privilegiò quella che i filologi chiamano lectio difficilior,
“la lezione più strana”, proprio perché è meno spiegabile con un errore di copiatura.
DIFFICOLTÀ ECCESSIVE PER STUDENTI DI LICEO
Rimane da chiedersi: uno studente
diciannovenne poteva notare e rendere correttamente il termine boethèias,
insolito per il caso e per la posizione, in una frase piuttosto complessa? Era
ragionevole aspettarsi che avesse studiato o intuisse anche solo una parte di
quello che abbiamo discusso, tanto più nell’ansia di una prova d’esame, senza
note e con l’aiuto del solo dizionario? Ed è ragionevole punire un errore di
traduzione in questo punto?
Ci sembra che la scelta di questo passo di
Aristotele, che avrebbe messo in difficoltà studiosi e filologi (ci sono anche
altri punti “incriminati”), propinato senza note e senza un adeguato
inquadramento, sia stata una scelta irragionevole da parte del ministero.
Fabio Copani
Dottore di ricerca in Storia Greca
Insegnante corsi greco antico per
principianti
Narno Pinotti
Dottore di ricerca in Storia e civiltà dei
Greci
Insegnante di italiano e latino - liceo
scientifico
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