Mentre 24
città greche protestano contro il nome Macedonia da concedere alla Fyrom, si va
verso una nuova privatizzazione per il gas naturale (Depa), con Washington che
per bocca della Segreteria di Stato punta forte su Atene per la macro area
mediterranea.
Si sta
plasmando un nuovo fronte di interessi e legami nel centro del Mediterraneo,
con la Grecia che potrebbe diventare hub nevralgico di un risiko che si gioca
(già da tempo) nel mare nostrum.
Al centro
delle attenzioni delle super potenze la geopolitica, con il caso del nome
“Macedonia” che inevitabilmente avrà delle ripercussioni sociopolitiche nei
Balcani; la partita delle privatizzazioni elleniche che, dopo gli aeroporti
regionali aggiudicati dalla tedesca Fraport, investe la società pubblica greca
per il gas naturale; e infine l’assist di Washington ad Atene, che per bocca
della Segreteria di Stato punta forte sull’Egeo per la stabilità nella macro
area mediterranea.
MACEDONIA
Mentre è in
pieno svolgimento il processo di ricerca di una soluzione alla “questione
macedone”, con le varie posizioni su nome Macedonia per Fyrom e le conseguenti
implicazioni geopolitiche, oggi in difesa dell’ellenismo di Macedonia ci sono
manifestazioni simultanee in 24 città greche. Gli organizzatori, non solo
partiti di destra ma anche filo cattolici, ortodossi e associazioni, hanno
deciso di dire no all’uso del termine “Macedonia” per Skopje. Le ultime tre
opzioni riguardo al nuovo nome per il Paese ex jugoslavo sono Macedonia del
nord, Alta Macedonia, Nuova Macedonia. L’accordo definitivo è previsto entro un
paio di giorni.
Secondo uno
degli organizzatori, Michalis Patsikas, si farà di tutto per impedire
commistioni con gruppi violenti che potrebbero generare comportamenti estremi,
come l’aggressione al sindaco di Salonicco di due settimane fa. L’opposizione
conservatrice di Nea Dimokratia attacca il governo Tsipras, reo di non avere
“alcuna legittimazione politica per legare la Grecia ad un accordo internazionale
che danneggia gli interessi nazionali” ha osservato il leader Kyriakos
Mytsotakis.
E propone
una soluzione che abbia al proprio interno tre elementi: cambiare la
costituzione macedone eliminando qualsiasi elemento irredentista, in quanto “l’assegnazione
di etnia macedone e lingua macedone non è accettabile”.
Il premier
Tsipras, ricevendo in visita ufficiale il Patriarca di Costantinopoli
Bartolomeo, ha replicato che il governo greco è impegnato nel risolvere le
divergenze che esistono da molti anni e prevenire che i due paesi confinanti
abbiano una cooperazione irregolare: “Credo che la possibilità di risolvere la
questione creerebbe un ambiente di stabilità e di sviluppo nei Balcani, di cui
abbiamo bisogno, e una buona cooperazione tra i due popoli vicini. Questo è un
elemento importante che non dobbiamo ignorare”.
PRIVATIZZAZIONI
Sullo sfondo
permane il quadro di sviluppo finanziario legato al memorandum della troika,
come il dossier privatizzazioni, che rappresenta un punto strategico del piano
di prestiti elargiti ad Atene dai creditori internazionali. Dopo la concessione
alla tedesca Fraport di 14 aeroporti regionali ellenici per 2,5 miliardi di
euro ecco che si avvicina un altro passaggio molto significativo perché
concerne il gas. Nel 2019 (in ritardo di un anno) partirà la fase operativa
della privatizzazione della società pubblica greca per il gas naturale (Depa).
Uno scoglio
su cui il governo Syriza aveva rischiato di impantanarsi più volte nell’ultimo
biennio, per via della reticenza del gruppo più ortodosso del partito contrario
alla cessione. Il tutto sarebbe dovuto partire già all’inizio del 2018. Un mese
fa l’esecutivo ha presentato una proposta alternativa che prevede la scissione
di Depa in due entità, una per la fornitura di gas all’ingrosso e al dettaglio
e l’altra per la distribuzione e le attività internazionali.
Il ministro
dell’Energia George Stathakis ha detto alla tv ellenica che verrà messo sul
mercato il 50,1% di Depa. Il processo di vendita si concluderà nel primo trimestre
del prossimo anno mentre l’altra fetta di Depa rimarrà sotto controllo statale.
Nel mezzo però c’è il timing dei prestiti, perché il terzo piano di salvataggio
internazionale della Grecia scadrà ad agosto e Atene avrà bisogno di più tempo
per concludere le privatizzazioni concordate, compresa le vendite di un altro
gioiello di famiglia come il polo della raffineria di petrolio Hellenic
Petroleum.
Dal suo
primo piano di salvataggio nel 2010 il paese ha raccolto solo 5 miliardi di
euro dalle privatizzazioni e il governo punta a 3 miliardi di euro entro il
2019 anche se nel memorandum firmato da Tsipras si parlava di 50 miliardi di
euro.
Ma ecco che
tra le difficoltà finanziarie (creditori internazionali) e geopolitiche (le
frizioni con Ankara si motiplicano esponenzialmente) si inserisce l’assist
deciso di Washington in vista delle elezioni turche e dopo il disimpegno dalla
base di Incirlik che è coinciso con la nuova logistica militare Usa che si è
trasferita in 4 siti ellenici.
Ieri
l’assistente del segretario di Stato Usa Mitchell ha detto ufficialmente che
Atene è il nuovo polo di stabilità nel Mediterraneo e nei Balcani e gli Stati
Uniti vi contano per la sicurezza nell’area.
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