Il contatto
tra Roma e le genti greche iniziò molto presto, quando attorno al IV sec. a.C.
il controllo romano sulla penisola italica iniziò ad estendersi
irrimediabilmente verso i territori della Magna Grecia. Tuttavia è soltanto nel
II sec. a.C., all’epoca delle guerre in Grecia e in Asia, che i latini vennero
definitivamente influenzati dal pensiero e dai modi orientali, aprendo così la
strada, in patria, al dibattito tra mos maiorum e ellenizzazione.
Il mos
maiorum
Per mos
maiorum, letteralmente “costume degli antichi”, si intende quella serie di
“leggi non scritte” che ancor prima dell’istituzione delle XII Tavole
regolavano l’etica e l’agire dei Romani. Il mos maiorum era, insomma, la
mentalità dell’aristocratico: esso comprendeva il rispetto del pater familias e
la piena ubbidienza; l’impegno militare; il lavoro agricolo; la pietas, cioè la
devozione nei confronti delle figure autorevoli della famiglia e verso gli dei;
l’austerità nel modo di vita.
Questi
principi avevano animato la morale dei Romani sin dalle origini, ma tutto era
destinato a cambiare non appena il potere dell’Urbe iniziò ad estendersi più ad
est.
L’ellenizzazione
a Roma
I rapporti
sempre più frequenti con le popolazioni greche di epoca ellenistica, ma
soprattutto la conquista dei ricchissimi territori d’Asia comportò due
conseguenze: da un lato, giunsero a Roma tesori preziosissimi, e un’immensità
di denaro confluito dalle nuove colonie; dall’altro, tra i “tesori”, arrivarono
fisicamente nell’Urbe migliaia di schiavi greci, che portavano con sé una
tradizione, ma soprattutto una letteratura, lunga cinque secoli. Non solo
dunque Roma fu investita e assorbita dal lusso, ma conobbe più ampiamente anche
la letteratura greca ed ellenistica.
I tempi
cambiarono in fretta: in tutta la penisola italica, col denaro ottenuto, furono
innalzati nuovi edifici e templi, e anche Roma prese l’aspetto di una città
ellenistica. La popolazione iniziò ad amare il lusso, e ad ornare domus e
villae di statue rubate ai Greci, o prodotte in Italia secondo la tecnica
greca. L’austerità di cui andavano fieri i primi Romani era perduta per sempre.
Il
cosiddetto “circolo degli Scipioni”
L’ellenizzazione
romana, sempre più imperante col procedere del II sec., non poteva certo essere
fermata: era un processo irreversibile. La nuova classe dirigente, dunque, in
modo lungimirante, si rese conto che l’unica soluzione era dirigerla.
Portavoce di
tale punto di vista fu Scipione Emiliano, nipote dell’Africano e conquistatore
di Cartagine. Egli raccolse attorno a sé i più grandi poeti filelleni
dell’epoca: Ennio, padre dell’epica a Roma; Terenzio, il più “greco” tra i
comici; Lucilio, inventore della satira. Non soltanto: egli protesse anche i
Greci portati schiavi a Roma dopo la distruzione di Corinto, come Panezio, il
filosofo stoico, e Polibio, lo storico greco.
Tale
movimento letterario è noto col nome di “circolo degli Scipioni”. Questa dicitura,
tuttavia, non è del tutto corretta: è un anacronismo storico creatosi sulla
base del vero circolo, quello di Mecenate nell’età augustea, e in seguito
all’idealizzazione che ne fece Cicerone nelle opere etiche.
Catone, il
portavoce della tradizione
Tradizionalmente
opposto al “circolo degli Scipioni” fu Catone il Censore. Solitamente si
ricorda questo personaggio come il “nemico” sul piano letterario di Scipione
Emiliano. Catone, interprete dell’ideale del mos maiorum, avrebbe lottato
strenuamente contro il lusso e l’influsso della cultura greca a Roma.
Tale
affermazione è in parte vera, in parte falsa. È vero che Catone si oppose al
dilagare del lusso: egli sostenne l’emanazione delle leggi suntuarie e scrisse
il famoso De agri cultura, affermando la necessità di un ritorno all’etica
della vita dei campi. In altre opere, poi, effettivamente si espresse contro le
arti dei Greci, come appare nei Praecepta ad Marcum filium:
“TI DIRÒ,
QUANDO SARÀ TEMPO, DI CODESTI GRECI, CHE COSA IO ABBIA SCOPERTO IN ATENE E
PERCHÉ SIA BENE CONOSCERE LA LORO LETTERATURA, NON IMPARARLA A FONDO; TI
PROVERÒ CHE È UNA RAZZA DI BRICCONI INCORREGGIBILI. INTANTO CONSIDERA QUEL CHE
TI DICO COME UN VATICINIO: SE QUESTA GENTE, QUANDO CHE SIA, CI DARÀ LA SUA
SCIENZA, CORROMPERÀ OGNI COSA, SPECIE SE MANDERÀ TRA NOI I SUOI MEDICI.”
Catone: vero
nemico dei Greci? Tra letteratura e politica
Al di là
dell’opinione comune sui Greci quali imbroglioni e furfanti, si deduce già da
questo passo che l’opinione di Catone sulla letteratura greca non era così
estrema. Se si leggono le sue opere, infatti, è palese l’influenza di modelli
greci: si ravvisa, ad esempio, l’influsso oratorio greco nella retorica
catoniana, e nelle Origines, un’opera storica, si crede di riconoscere il
modello di Timeo, autore nel III sec. di una storia della Magna Grecia.
Catone,
dunque, non respingeva a priori la cultura greca (era anche amico
dell’Emiliano!), ma ne temeva gli effetti sui fondamenti della morale romana:
il rifiuto del lusso e la scelta decisa del negotium rispetto all’otium. La
paura di Catone, di conseguenza, non era “culturale”, ma politica ed etica: si rischiava
di perdere ciò che aveva permesso a Roma di conquistare gli stessi Greci, cioè
il sacrificio e la romanità, rammollendo gli animi nel lusso e nella ricchezza.
Mos maiorum
+ ellenizzazione = humanitas
Quale fu,
allora, la conclusione dello “scontro” tra mos maiorum e ellenizzazione, chi
vinse? La risposta è meno scontata di quanto si possa pensare: vinsero
entrambi. Sul piano etico, un cambiamento a Roma ci fu, e fu inevitabile; sul
piano culturale e letterario, però, assistiamo ad una vera e propria fusione
tra contributi greci e latini.
Nasce
infatti l’humanitas, il risultato del dialogo tra Elleni e Romani, una
sensibilità tutta nuova che rimpiazzò il rigidismo del mos maiorum, e favorì il
fiorire di una letteratura sempre più ellenistica, prodotta da autori sempre
più aperti alla lezione che i Greci sapevano insegnare.
“Graecia
capta ferum victorem cepit” (“la Grecia catturata catturò il feroce
vincitore”), dirà Orazio circa un secolo dopo.
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