Redazione-Introdotta,
a parole, per combattere la disoccupazione giovanile, la liberalizzazione del
mercato del lavoro ha portato in Grecia all’emergere prepotente di una nuova
classe: quella dei lavoratori poveri, più spesso giovani, che ricevono stipendi
semplicemente insufficienti per vivere. Lo riporta il blog Keep Talking Greece,
facendo riferimento a un’inchiesta uscita sul settimanale tedesco Der Spiegel.
22.01.2018
In Grecia
più di mezzo milione di lavoratori guadagnano così poco che riescono appena a
sfamarsi. Sono dati terribili, che ci toccano in tutti i sensi: perché se Atene
piange, Roma non ride. Il recente rapporto Caritaspresentato pochi giorni fa
alla stampa estera denuncia infatti come non solo la povertà in Italia sia in
aumento, ma le persone più penalizzate siano proprio i giovani. Nel nostro
Paese un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta; nel 2007 era
appena uno su 50. Ma non è tutto qui. Anche in Italia cresce drammaticamente il
numero dei poveri non disoccupati: nella categoria “operaio e assimilato”
l’incidenza della povertà è oggi pari al 12,6%, mentre negli anni pre-crisi si
attestava appena all’1,7%. Come i nostri lettori ben sanno, se i Paesi non
possono recuperare competitività svalutando la propria moneta (come Italia e
Grecia, stretti nel cappio dell’euro), hanno l’unica strada di abbattere il
costo del lavoro. E quella che chiamano competitività, è infatti la conclusione
di questo articolo. Sì, competere contro la propria stessa sopravvivenza.
Le riforme
hanno gravi effetti collaterali. Dalla crisi economica in Grecia è emersa una
nuova classe sociale: i lavoratori poveri. Donne e uomini istruiti, per lo più
laureati, che devono adattarsi a lavori sottopagati.I lavoratori poveri sono
lavoratori che hanno redditi inferiori a una determinata soglia di povertà.In
una inchiesta esclusiva, il settimanale tedesco Der Spiegel riporta, tra le
altre storie di lavoratori poveri in Grecia, anche quella di Stelina Antoniou,
di 24 anni, laureata, impiegata come barista al Royal Theatre di Salonicco.
Lavora tre giorni alla settimana, con turni che spesso arrivano fino alle 12
ore filate, e guadagna 240 euro netti al mese.
“Almeno non
devo pensare a come spendere i soldi che guadagno – dice – bastano giusto per
mettere qualcosa in tavola”.
Ha studiato
Lingua e Letteratura greca, ma dal momento che le assunzioni di insegnanti
nelle scuole greche sono state sospese “l’unico lavoro che ho trovato è stato
in questo ristorante. Questo è il lavoro e lo stipendio che ti viene offerto in
Grecia al giorno d’oggi, se hai meno di 25 anni”.
Stelina
condivide un appartamento con un’amica di 22 anni che guadagna uno stipendio
simile lavorando come domestica. Le due mettono insieme i loro soldi e come
prima cosa pensano a pagare le bollette. La loro priorità principale è la
bolletta del riscaldamento.
Questa
giovane donna greca appartiene a un gruppo sociale che negli ultimi anni è
esploso con una forza senza paragoni: i cosiddetti “lavoratori poveri”.
Un terzo dei
lavoratori del settore privato ora guadagna così poco che lo stipendio non è
sufficiente per sopravvivere, e si tratta di più di mezzo milione di persone.
Per il loro lavoro sono pagati meno di 376 euro al mese, ovvero meno del 60 per
cento del salario medio. Quasi il 9 per cento dei dipendenti deve accontentarsi
di meno di 200 euro. Il rischio di ritrovarsi poveri pur avendo un lavoro
stabile in Grecia è più alto che in qualsiasi altro paese dell’Unione Europea.
Ma anche le
persone che guadagnano un po’ di più affrontano difficoltà sempre maggiori,
perché il costo della vita negli ultimi anni è aumentato significativamente. A
titolo di confronto, a Berlino, i prezzi dei beni destinati al consumo
quotidiano sono più alti solo del 14,5% di quelli di Atene, mentre il potere
d’acquisto nella capitale tedesca è del 117% più alto.
È lo Stato
che ha contribuito all’aumento dei costi, grazie alle riforme: le scappatoie
fiscali sono state chiuse, l’Iva è aumentata e lo stesso hanno fatto le tasse
sull’acquisto di terreni.
Un’altra
causa che ha portato a queste conseguenze è la liberalizzazione del mercato del
lavoro, che i creditori della Grecia hanno ripetutamente sollecitato
dall’inizio della crisi finanziaria. Da allora, il Parlamento ha approvato
tutta una serie di leggi che hanno attenuato in modo significativo le
protezioni dei lavoratori. E intanto sono in programma ulteriori leggi sul
lavoro, presto il Parlamento dovrà votare un giro di vite su diritto di
sciopero e di riunione.
Il problema
è che la liberalizzazione ha avuto spesso l’effetto opposto a quello cercato.
Ad esempio, la legislazione aveva abbassato il salario minimo del 22 per cento,
portandolo a 586 euro, mentre la soglia era ancora più bassa per chi aveva meno
di 25 anni.
Questo, si
sperava (o forse si diceva di sperare, NdVdE), avrebbe contrastato la
disoccupazione giovanile, che in Grecia raggiunge un picco senza confronti
nell’UE. Il risultato: nel 2016 il 47% dei giovani sotto i 25 anni era
disoccupato. Allo stesso tempo, è emersa una classe di lavoratori che tollera
qualsiasi trattamento, perché consapevoli che se proveranno a lottare per i
propri diritti saranno rapidamente sostituiti. Due esempi.
Addetto alle
consegne, 30 anni, lavora per 4 euro all’ora 36 ore alla settimana, domenica e
festivi senza straordinari. Il carburante e la manutenzione del motorino sono a
suo carico.
Impiegato in
un fast food, 30 anni, lavora a tempo pieno 40 ore a settimana. Guadagno netto
490 euro al mese. Nessuno straordinario, nessun bonus per Natale né per le
festività, benché obbligatori per legge.
Le
possibilità dei datori di lavoro, d’altra parte, sono aumentate. Possono
rifiutarsi di pagare il lavoro straordinario e le ferie. Non devono temere
alcuna conseguenza se registrano dipendenti a tempo pieno come part time per
risparmiare sui contributi sociali, solo per citare alcuni esempi.
Le
ristrettezze materiali non sono l’unico problema. La condizione dei lavoratori
poveri impedisce anche a molti, benché lavorino, di vivere una vita
autodeterminata. Molti non hanno altra scelta che continuare a vivere nella
stanza dei bambini della casa dei genitori – senza alcuna prospettiva di avere
una propria famiglia.
E benché le
persone coinvolte siano in così grande numero, difficilmente riescono a trovare
spazio nella percezione pubblica. Compaiono nelle statistiche, di tanto in
tanto un articolo sulla stampa crea un certo scalpore, oppure qualche politico
li difende, promettendo loro qualche miglioramento per farsi votare.
Ma da parte
dei “lavoratori poveri” non arriva alcun grido forte di protesta, perché questo
ridurrebbe anche le possibilità di ottenere un lavoro sottopagato. E un lavoro
mal pagato è comunque meglio di nessun lavoro.
P.S. Il
grido di protesta forse si alzerà quando i lavoratori poveri della Grecia
arriveranno all’età in cui ci si deve fare la propria famiglia. Oppure
seguiranno il percorso dei loro amici e migreranno all’estero. O magari la
crisi sarà finita. Ma, ancora, anche se la crisi sarà finita, i salari
rimarranno bassi. Christine Lagarde del FMI la definì “competitività”.
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