Le origini,
le ragioni e le caratteristiche della colonizzazione greca in Italia: l’antica
Cuma e la Magna Grecia
Cuma come esempio di colonizzazione greca nell’Italia meridionale, capiamone di più.
"L’immenso
fianco della rupe Euboica s’apre in un antro dove si può entrare per cento
larghi accessi, per cento porte, donde erompono altrettante voci, i responsi
della Sibilla".
Così
Virgilio nell’Eneide presenta Cuma: sede della Sibilla Cumana, oracolo che
svelò il destino all’eroe Enea.
Un centro
archeologico di assoluta importanza, all’estremità occidentale dei Campi
Flegrei, al di sotto e sopra una collina di lava rachitica (Acropoli), isolata
nei pressi del mare, qui vi sorse nel VIII sec. a. C. grazie ad una delle più
antiche comunità di coloni greche in Italia. Polo di cultura e civiltà, da cui
si irradiò l’alfabeto nella Penisola, noto per il celebre Santuario della
Sibilla Cumana.
Cuma fu
tutto tranne che anonima. Fu uno dei luoghi attraverso i quali si irradiò
l’alfabeto nell’Italia antica, ospitò un culto oracolare che, nell’Eneide di
Virgilio, vaticinò l’immortale destino di Roma, e fu probabilmente piazzaforte
del Ducato di Napoli nell’Alto Medioevo. Ebbe monumenti straordinari e fu
teatro di storie che la ricerca archeologica va progressivamente ricostruendo.
(Dott. Gennaro di Fraia)
In questa
città archeologica, passata alla storia come culla della civiltà greca, è
possibile viaggiare nel tempo, ascoltare l’affascinante voce del passato, del
mito e della cultura.
Così
Strabone nella sua Geographia narrando delle città Campane:
Dopo queste
città c’è Cuma, colonia antichissima dei Calcidesi e dei Cumani, la più antica
fra quelle di Sicilia e d’Italia.
La città
campana, secondo la tradizione e la critica moderna, fu fondata, su un
promontorio che si affacciava sul mare, dai Calcidesi di Eubea nel 730 a.C.
circa, probabilmente gli stessi coloni che si erano già stanziati nella vicina
Pithekoussai (Ischia).
Il fenomeno
dell’espansione greca lungo le coste occidentali del Mediterraneo e la
conseguente fondazione di insediamenti coloniali, ovvero la cosiddetta «seconda
colonizzazione», andarono a definirsi storicamente tra l’VIII e l’inizio del VI
secolo a. C., per lo più gravitando intorno all’Italia meridionale e alla
Sicilia. L’ellenizzazione del mondo etrusco-italico seguì la presenza nel
bacino del Mediterraneo dei navigatori fenici, specie lungo le rotte
commerciali, già esplorate secoli addietro, per l’acquisizione di materie prime
e per la vendita dei manufatti prodotti nei paesi di provenienza. I Fenici
(popolazioni di origine semitica di Tiro e Sidone, anatoliche della Caria e
della Cilicia) stabilirono sulle coste mediterranee occidentali delle teste di
ponte dei paesi orientali, con molteplici scali portuali e colonie in Sicilia,
Sardegna, Africa, Spagna.
Gli
insediamenti greci, differenti da quelli fenici sia per struttura che per
finalità, ebbero un impatto decisivo nell’evoluzione dell’Italia antica e della
civiltà occidentale. Si diffuse, affermandosi, il concetto di città-stato
(Cuma, Neapolis, Siracusa, Taranto, Sibari, Crotone), con la trasformazione di
piccoli villaggi in veri centri urbanizzati. In questo modo fu diffusa la
scrittura alfabetica inventata dai Fenici, l’uso della moneta, la conoscenza di
nuove tecniche produttive, una superiore creatività nella rappresentazione
artistica.
L’apoikìa,
la colonia greca, era la filiazione diretta di una singola pòlis (città greca),
o anche di più città etnicamente affini; per ogni colonia è possibile
individuare una madrepatria, direttamente o meno partecipe dell’impresa
coloniale. I canoni in base ai quali la madrepatria sceglieva i cittadini che
avrebbero preso parte all’impresa, per l’appunto, erano diversi: appartenenti
all’aristocrazia cittadina; gente di censo inferiore, priva di mezzi; gruppi o
fazioni socialmente o politicamente
compromessi; oppositori politici caduti in disgrazia. Consuetudine fu anche il
ricorso al sorteggio il quale riguardò i figli maschi di tutte le famiglie di
una città greca, come pare avvenne a Thera prima della fondazione di Cirene.
Anche se non è sempre semplice intendere i reali motivi che spinsero e furono
alla base delle imprese coloniali oltremare.
- Le origini di
Zancle (Messina), Taranto e Cirene, fondate dai Cumani, sono molto particolari:
occupato il territorio sullo stretto, in posizione decisamente strategica, ne
fu fatto covo di pirati.
- Taranto,
stando a Strabone, venne fondata da un gruppo di esuli spartani, i Partenii, i
figli illeggittimi nati a Sparta al tempo delle guerre messeniche e in quanto
tali costretti ad emigrare.
- Cirene,
sulla costa libica, fu fondata su consiglio dell’oracolo di Delfi, furono gli
abitanti di Thera (isola di Santorino nelle Cicladi) a compiere l’impresa in
seguite ad una tremenda siccità che durava da sette anni.
- Esiodo, nei
sui Erga, vede la navigazione come alternativa alla miseria e alle dure fatiche
della vita contadina. Nella crisi economica dell’VIII secolo a. C. va ricercato
il motivo principale delle nuove prospettive di vita connesse ai commerci via
mare e alla ricerca di terre più fortunate.
La
navigazione in quei tempi avveniva quasi esclusivamente lungo le coste, nella
stagione più propizia, tra marzo e ottobre, durante il giorno e per brevi
tratti di mare. La navigazione invernale era seriamente rischiosa, il cattivo
tempo, il cielo coperto, la foschia, l’impossibilità di avvistare con
immediatezza le coste e soprattutto la di orientamento, non facilitavano il
compito dei navigatori. Le navi impiegati per questi spostamenti, almeno
inizialmente, furono quelle da guerra o quelle lunghe a cinquanta remi, a volte
anche mercantili, più sicure e capienti, capaci di ospitare più viaggiatori con
le loro masserizie. Il rischio dei viaggi lungo le coste era quello di
insabbiarsi nei bassi fondali o di finire contro gli scogli. Questo era il
motivo che spingeva alla navigazione diurna, con soste nella notte a ridosso
dei promontori o nelle insenature più coperte delle isole o degli scali
portuali.
Cuma,
l’antica gloria
Ruolo
essenziale, prima della partenza, era svolto dai sacerdoti del santuario di
Apollo Pizio a Delfi, i cui responsi erano di fondamentale importanza per il
buon esito della spedizione e per la scelta del sito dove stabilire il nuovo
insediamento.
Ciascun
gruppo familiare, nella nuova patria di adozione, prendeva possesso di un
oikos, una casa, dell’appezzamento di terra assegnato e dei doveri annessi. Il
capofamiglia era chiamato a farsi onere e carico della piena responsabilità di
quanto gli era stato conferito.
Diverse
colonie vennero fondate a controllo di importanti itinerari commerciali: le
scelte stanziali spesso privilegiavano le isole o i promontori sovrastanti una
o due insenature da impiegare come approdi. L’acropoli, cinta da una struttura
di fortificazioni, era il luogo di culto e di difesa della popolazione. È qui
che veniva innalzato il tempio in onore della divinità protettrice della
colonia.
L’abitato si
mostrava abbastanza compatto, con aree pubbliche e aree private ben
distribuite. Le risorse locali erano però sacrificate a favore dei traffici
commerciali. L’impianto urbanistico era ippodameo, regolare, con vie ortogonali
e ripartizione del territorio in aree pubbliche, religiose e private. L’agorà
funse da centro direzionale della vita collettiva, politica e religiosa; le
necropoli, che rispondevano ad una precisa regolamentazione, erano site in aree
suburbane.
Le colonie
potevano considerarsi come veri e propri stati autonomi: i legami con la
madrepatria, religiosi, culturali, economici, si attenuarono sempre più o si
risolsero in rapporti meramente commerciali, se non talvolta di tipo politico
militare. La fondazione ufficiale comportava la celebrazione di riti religiosi
e sacrifici finanziati dal fondatore della colonia, l’oikistès, e si svolgevano
una volta superate le difficoltà annesse all’organizzazione della vita civile,
politica ed economica della città, compresi i rapporti con le popolazioni
locali che quasi sempre finivano con l’integrarsi alla nuova comunità.
L’organizzazione sociale e politica di una colonia prevedeva la redazione di
norme legislative e la scelta dell’assetto istituzionale, con le varie
magistrature e la formazione dei consigli e delle assemblee cittadine. Ciascuna
città stilò proprie forme costituzionali, molto spesso del tutto autonome e
diverse rispetto ai modelli della madrepatria.
Perché Cuma?
Il nome fu figlio di un accordo tra i comandanti in capo della spedizione,
ovvero Ippocle, cumano, e Megastene, calcidese: entrambi convennero che agli
uni sarebbe stata attribuita la fondazione, dagli altri la colonia avrebbe
assunto il nome. Questo spiega perché la città si chiama Cuma, mentre si parla
d fondazione calcidese. La colonia assume una duplice veste, in rapporto con
Pithecusa e da questa condizionata: scalo commerciale in posizione strategica,
fulcro lungo le rotte mercantili per l’approvvigionamento di minerali
provenienti dall’Etruria, e florido centro agricolo (fertilità del suolo,
cereali e vigneti). L’area prescelta dai Cumani era un luogo abitato ormai da
tempo: erano presenti in loco popolazioni italiche, verosimilmente osco-sabelliche,
che, loro malgrado, furono spazzate via. La greca Kyme conobbe un periodo
eccezionalmente prospero tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del VII secolo
a. C.: oltre che, come accennato, continuare le tradizioni commerciali e
marittime, giovandosi della felice ubicazione, e sfruttare i fertili suoli
coltivati, il dominio della città si estese rapidamente a tutta la regione
flegrea, e i porti naturali di Capo Miseno e tutto il golfo di Puteoli
entrarono a far parte ben presto dello stato cumano. Cosi si stabilì
un’effettiva egemonia cumana su tutto il litorale della Campania. La potenza
cumana non poté non scontrarsi con quella etrusca, che assalì la città greca
nel 524 a. C. Cuma crebbe, si fortificò e riuscì a resistere alle incursioni
etrusche. In età arcaica cominciò un vivido sviluppo urbanistico, l’acropoli
divenne monumentale: vennero edificati gli odierni Templi di Giove e di Apollo,
ma anche la Grotta della Sibilla. Tra il IV e il III sec. a. C. si ebbe lo
sviluppo della città bassa, la risistemazione dell’acropoli, il rafforzamento della cinta muraria greca:
il motivo andrebbe ricercato nei difficili rapporti tra romani e sanniti in
Campania e alla presenza cartaginese e siracusana nel Mediterraneo. Il porto
doveva trovarsi molto prossimo allo stesso monte di Cuma. Nel 421 a. C. Cuma fu
conquistata dai Sanniti, rimanendo sotto il loro dominio sino alla conquista
romana.
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου