Un giorno
una straniera avrebbe detto a Gorgo, moglie del re di Sparta Leonida I: “Voi
spartane siete le sole donne che comandano i loro uomini”. Gorgo rispose: “Sì,
ma siamo anche le uniche capaci di generare dei veri uomini” (Plutarco,
Moralia, 225A – 240E)
24 dicembre 2017
A Sparta il
rapporto fra i due sessi era assolutamente paritario e complementare. Questa
circostanza era inusuale per la Grecia, tanto da spingere molti osservatori
antichi ad esercitare un malevole sarcasmo sul fatto che le donne incarnassero
il kosmos di Sparta nella medesima misura degli uomini. Ma per una analisi sulle
fonti antiche ci arriveremo dopo.
Prima di
tutto, alcune linee guida sulla posizione istituzionale (e morale) della donna
nella polis.
In primo
luogo bisogna sottolineare che, dopo la nascita, le femmine, non diversamente
dai maschi, venivano sottoposte all’esame di idoneità e registrate ed educate
con la stessa cura dei bambini.
Scrive
Senofonte: “In primo luogo Licurgo stabilì che il sesso femminile dovesse
essere allenato fisicamente non meno di quello maschile. Poi istituì agoni e
gare di forza per le donne come per gli uomini, perché egli credeva che se
entrambi i genitori erano vigorosi, anche la prole sarebbe stata più robusta”.
Le ragazze
dovevano dunque esercitarsi come i ragazzi nella lotta, nelle gare di corsa,
nel lancio del disco e del giavellotto. Grazie a questo allenamento, la forza e
la predisposizione fisica delle donne spartane erano note in tutta la Grecia. A
Sparta queste gare per donne e ragazze erano inserite nel quadro delle
manifestazioni che si svolgevano in occasione delle feste religiose. In un
punto tuttavia erano svantaggiate rispetto ai loro concittadini maschi: non
potevano prendere parte ai giochi olimpici, nei quali non erano ancora previste
gare femminili. Sappiamo però che desideravano concorrere a Olimpia. Intorno al
400 a.C. la svolta: una spartana di nome Cinisca, figlia del re Archidamo, fu
la prima donna a vincere le Olimpiadi nella corsa con i carri. Cinisca tuttavia
divenne olimpionica solo perché amministrava un famoso allevamento di cavalli e
nella corsa dei carri gareggiava e veniva proclamato vincitore non l’auriga,
che doveva comunque essere un uomo, ma l’allevatore e proprietario del tiro di
cavalli.
L’educazione
faceva delle ragazze donne consapevoli. Questa consapevolezza ne determinava
anche la vita nel matrimonio e in famiglia. Una donna spartana si sposava a
19-20 anni, mediamente cinque o sei anni più tardi di una donna ateniese o
cretese. Le mogli spartane non erano solo più mature delle loro simili nelle
altre città: anche la differenza di età fra i coniugi era minore che altrove,
dal momento che gli uomini a Sparta erano obbligati a sposarsi tra i 20-30
anni. Fin dall’inizio dunque la donna poteva dunque essere partner nel
matrimonio su un piano paritario rispetto al marito.
Dato che gli
uomini erano occupati nell’addestramento, nei sissizi, nella politica e nella
guerra, le donne dovevano necessariamente incaricarsi del sostentamento delle
famiglie, cioè della gestione dell’oikos. Il marito dipendeva dunque totalmente
dalla capacità della moglie di sorvegliare gli iloti e gli schiavi, ma anche
dalle sue conoscenze di economia che le permettevano di amministrare l’oikos in
maniera adeguata.
La necessità
di avere figli, e dunque di costituire un nucleo familiare per le esigenze
dello stato, sta all’origine della possibilità di avere più prole da più
uomini. Questo chiaramente dava la possibilità alle donne della conduzione di
due o persino più patrimoni familiari. Senofonte, ne l’ordinamento politico
degli Spartani, nel primo capitolo relativo ai modi di comportamento degli
spartiati, giustifica così la questione: “poteva dunque accadere che un uomo
anziano avesse una sposa giovane; anche in questo caso Licurgo, visto che
mariti di tale età sono soliti custodire con eccesso di gelosia le proprie
mogli, introdusse un comportamento antitetico: dispose infatti che il vecchio
marito potesse ammettere nell’intimità della propria casa un uomo di cui ammirasse
le doti fisiche e morali, allo scopo di ottenere figli per mezzo suo. Di
contro, nel caso di un uomo che non intendesse avere ulteriori rapporti con la
propria moglie ma che tuttavia provasse il desiderio di avere una bella prole,
lo autorizzò a metter gli occhi su di una donna prolifica e nobile e a renderla
madre dei propri figli, a patto di aver ottenuto il consenso del matrimonio
legittimo. Licurgo sancì molte concessioni di tal genere. Alle donne spartane
infatti piace avere due case da dirigere, mentre gli uomini vogliono guadagnare
ai propri figli nuovi fratelli, che siano partecipi della vita e della ptenza
della famiglia ma che non rivendichino diritti sulle sostanze dei familiari.”
In
nessun’altra polis greca le donne erano tanto integrate nell’ordinamento
pubblico e la loro collaborazione tanto indispensabile al funzionamento dello
stato. Lo vedremo soprattutto per le questioni relative all’amministrazione
dell’oikos, ovvero al sostentamento della famiglia. Per questo motivo anche
dopo la morte venivano loro concessi onori degli uomini. Ricevevano
un’iscrizione solo i defunti che avevano dato la vita servendo lo stato; le
donne morte di parto venivano onorate come gli uomini caduti in guerra.
Veniamo
dunque ad una analisi più specifica.
Nella
tradizione antica ci sono due diversi approcci alle donne spartane.
In Plutarco
trasmette tutta una serie di aneddoti in proposito, viene attribuita la figura
eroica della donna spartana che deve crescere un eroe coraggioso pronto a
difendere la città.
Famosa per
esempio la frase dello spartano che deve tornare sullo scudo o con lo scudo,
dunque vincitore o morto. Questa è una tradizione che troviamo sulle donne
spartane, in linea con lo spirito licurgheo che viene enfatizzato nella
biografia sulla vita di Licurgo di Plutarco.
Dall’altro
lato abbiamo una visione molto diversa che troviamo nel secondo libro della
politica di Aristotele, personaggio che è esente dal miraggio spartano che ha
condizionato gli ateniesi nel IV secolo. Ha un atteggiamento critico
dell’organizzazione costituzionale spartano molto dettagliato, in particolare
in questo caso la sua critica si basa su due piani: Aristotele la interpreta
confrontandola sulla costituzione ideale, la migliore possibile. In questo
piano la critica perché mirante esclusivamente a promuovere le virtù militari,
mentre il fine ultimo per Aristotele è la felicità, il dispiegamento di tutte
le virtù che possono essere coltivate. In questa prospettiva di restringimento
delle virtù in funzione solo militare.
Nel secondo
piano è posta a confronto con la logica stessa del sistema spartano, a
proposito dei suoi obiettivi, su quei punti in cui si può dire che la
costituzione contiene degli elementi di debolezza in rapporto ai suoi
obiettivi. Nella sua logica interna dunque.
Un punto
centrale è proprio il ruolo della donna nella società spartana. Aristotele pone
la questione della loro licenza e la loro sregolatezza, mette in evidenza che
Sparta è una ginecocrazia, una società dominata da donne.
Anche in
prospettiva militare ci presenta un quadro antitetico, della donna che si
vergogna del figlio non all’altezza delle virtù spartane. Quindi da un lato
mette in evidenza come le donne spartane hanno il potere in città (e dal punto
di vista sociologico mette in evidenza che tutte le donne hanno potere nelle
società guerriere perché gli uomini sono sempre occupati nella guerra), e dal
punto di vista del comportamento in guerra la situazione antitetica delle donne
che non sono abituate alla guerra perché di solito è sempre fuori dalla città.
L’esempio
lampante è la situazione verificatasi dopo Leuttra, quando il territorio di
Sparta è invaso e le donne sono prese dal panico.
L’attenzione
di Aristotele si concentra sul ruolo economico della donna, giunte a
controllare i 2/5 della città. Dunque procede sempre attraverso una
scomposizione del tutto: così come in città ci sono gli uomini e le donne e
quindi il legislatore che ha legislato in maniera conveniente per i maschi, in
realtà ha tralasciato la metà della popolazione (cioè quella femminile)
istituendo una costituzione che non può funzionare.
Fondamentale
è il passo legato al II libro 1269 b e seguenti di Aristotele: per
ricapitolare, valuta la costituzione di Sparta sia in rapporto alla
costituzione ideale sia in base al carattere della costituzione stessa. Questa
configurazione della società sarebbe la rappresentazione diretta della società
dei maschi che in loro assenza avrebbe determinato il ruolo della donna.
A livello
antropologico è stata confermata in qualche maniera questa visione, in quelle
culture in cui i maschi hanno una organizzazione comunitaria, forme di vita
lontane dalle famiglie, le donne tendono ad organizzarsi specularmente, a dar
luogo a forme di vita parallele.
A proposito
delle donne spartane è stato osservato che come i maschi sono sottoposti dai
sette anni ad una indottrinazione civica, le donne venivano sottoposte ad una
sorta di processo di formazione fisica giustificato con finalità eugenetiche,
l’idea che la donna dovesse essere robusta e preparata per procreare figli
robusti.
Per questa
ragione sin da Senofonte sentiamo parlare delle spartane sottoposte a prove di
resistenza, esercizi fisici, alla lotta.
Troviamo
nella tradizione ulteriori attività come il lancio del disco, del giavellotto,
la danza, il canto, la musica e l allestimento di cerimonie rituali. Di questo
noi abbiamo un riflesso nella produzione poetica di Alcmane, intorno al 600. Un
altro elemento che viene associato a queste notizie è che le donne avrebbero
svolto queste attività con delle tuniche corte che lasciavano intravedere le
cosce ed in certi rituali totalmente nude.
Le donne
spartane vengono definite phainomerides, che mostrano le cosce, cosa che
scandalizzava per esempio gli ateniesi, i quali avevano una concezione sociale
dove le donne erano confinate in casa, a filare la lana.
C’è una
prospettiva fortemente legata all’alterità spartana, sempre verso quel miraggio
spartano dove le istituzioni vengono lette ed interpretate secondo la visione
ateniese. Abbiamo però dei riscontri archeologici. Abbiamo anche una
testimonianza di Euripide, in Andromaca ritorna l’idea della palestra, della
ginnastica e dei vestiti corti che mostravano le gambe e le cosce, tutte cose
che hanno una interessante conferma come per esempio una statuetta proveniente
dal santuario di Dodona.
È un
prodotto dell’arte laconica, probabilmente addirittura di Sparta stessa.
Statuette simili son state trovate anche fuori dal Peloponneso. Questa
statuetta che stiamo vedendo nello specifico è risalente al VI secolo, possiamo
osservare la tunica corta e soprattutto la struttura muscolare molto in
evidenza.
Un’altra
immagine interessante ci viene fornita da specchi di produzione laconica nel VI
secolo, di produzione spartana. Quello che colpisce è la nudità femminile e la
struttura muscolare molto sviluppata rispetto agli attributi femminili che non
sono per nulla messi in evidenza. La nudità comunque doveva essere confinata a
certe occasioni.
Il
matrimonio a Sparta: bisogna partire dal matrimonio ateniese perché ci aiuta a
fissare concettualmente le differenze nella società spartana.
Ad Atene non
era caratterizzato da una cerimonia unica, ma avveniva in più tappe, la più
importante delle quali era rappresentato dalla promessa (engysis), una sorta di
contratto di matrimonio tra il padre della sposa ed il futuro marito. Si
trattava di un impegno, di una promessa rituale nel quale il padre cedeva la
sposa al marito sulla base anche di accordi economici, per esempio la dote.
In termini
di dote veniva concessa in base alle capacità del padre, non aveva basi predefinite.
Seconda fase, la cessione, il passaggio della sposa dalla casa del padre a
quella del marito, quindi possiamo dire che il matrimonio iniziava con la
convivenza segnata da tutta una sorta di cerimonie rituali tra cui un banchetto
offerto.
Nella vita
licurghea c’è la descrizione di un matrimonio spartano che viene presentato
come matrimonio ratto, ovvero il rapimento della sposa dal marito dalla casa
del padre, successivamente viene posta sotto il controllo di una madrina, le
venivano tagliati i capelli, vestita con abiti maschili, messa sotto una sorta
di pagliericcio, a questo punto il marito di ritorno dal sissizio la possedeva
sul letto, per poi tornare al sissizio.
Lo scopo
ultimo per il matrimonio era dunque la riproduzione. Le fonti dunque mettono in
riscontro le differenze con Atene, dove la differenza di età tra moglie e
marito era elevata, il secondo di solito aveva il doppio degli anni.
A Sparta
invece, proprio perché le donne dovevano superare un periodo di educazione
fisica il matrimonio avveniva più tardi, dunque minore differenza di età.
Leggendo
Plutarco c’è dunque una rappresentazione folklorica del matrimonio spartano ma
leggendo passi successivi possiamo dedurre che questo matrimonio ratto si sia
sviluppato solo nel tempo.
Erodoto ci
da un interessante esempio a proposito del Re Demarato (il quale abbiamo visto
in compagnia di Serse durante le guerre persiane) che era stato esiliato dalla
città perché la sua legittimità era stata messa in discussione.
Nel VI
libro, capitolo 6, sappiamo che la sua legittimità era stata messa in
discussione di un suo parente, Leotichida, il quale aveva subito il rapimento
della sua fidanzata.
La cosa
interessante è che il rapire la donna non è un riferimento generico ma una
precisa modalità di contrarre il matrimonio a Sparta. Sono eventi tra la fine
del VI ed inizio V secolo, dunque abbiamo un precedente del periodo di
Plutarco. La veridicità degli eventi di Plutarco sono dunque confermati.
Interessante
è anche un altro passo di Erodoto, sempre del VI libro, riguarda il capitolo 56
e 57 dove Erodoto descrive le prerogative dei re nei tempi di pace e di guerra.
Si parla delle prerogative dei re anche in materia giudiziaria, nei quali erano
competenti anche per i diritti familiari.
Si dice
appunto che i re rendono giustizia da soli, cioè autonomamente senza la
gerusia, nei casi seguenti: nei casi della figlia ereditiera, nel caso non sia
stata promessa (dunque compare l’engyesis come quella ateniese) e per i casi di
adozione. Interessante perché evidenzia l’esistenza di tre istituti giuridici
all’interno della società spartana.
Il primo è
la figlia ereditiera, nel caso di Atene per esempio veniva sposata da un
parente del padre perché l’obiettivo ultimo era conservare il patrimonio
integro. La donna ad Atene dunque non aveva un diritto di proprietà, era un
veicolo attraverso cui i beni paterni venivano trasmessi ai figli.
Dunque era
Epikleros (il lotto di terra/il patrimonio) dunque colei che insiste sul
patrimonio. Per Sparta troviamo un altro termine, patrouchoi, letteralmente
colei che ha i beni paterni. È interessante che questo termine utilizzato da
Erodoto deve essere un termine tecnico che però sembra alludere al fatto che la
donna spartana avesse dei diritti di eredità più sviluppati che ad Atene.
Noi abbiamo
un confronto delle istituzioni spartane a Creta, interessante che quest’isola
dal punto di vista legislativo sia sempre legata a Sparta, una somiglianza
anomala tra le istituzioni spartane e cretesi.
Sulle
legislazioni cretesi siamo molto informati ed in particolare per la città di
Gortina abbiamo il codice di Gortina, una lunghissima iscrizione che contiene
un corpus di leggi che risale tra il 480-460 a.C.
Un complesso
di norme estremamente sviluppato. Nell’ambito del diritto familiare viene regolato
anche il tema delle figlie ereditiere, dove la figlia ereditiera ha il termine
di patroiokos, un termine molto vicino al patrouchoi spartano. Sappiamo anche
che a Gortina queste figlie avevano aspettative ereditiere molto ben
sviluppate: veniva riconosciuta un diritto di proprietà della metà del
patrimonio, quindi superiore ad Atene.
A Gortina
per esempio se la vedova si teneva i beni, rimaneva detentrice di beni
personali e non tornava nella casa del padre.
Interessante,
ma é un discorso lungo che non possiamo fare, è che nel mondo greco ci sono
forti variazioni locali nel diritto greco. Tornando al passo di Erodoto
dobbiamo immaginare che se il padre non aveva già stretto un contratto con un
futuro marito a questo punto dovevano esserci personaggi all’interno della
famiglia con ordine di precezione sul matrimonio con l’ereditiera. In questo
caso interveniva il re per stabilire chi andava in sposa. Anche a Sparta
esisteva il primo momento del contratto matrimoniale e lo sappiamo grazie a
questo passo, dunque in questa prospettiva il matrimonio spartano diventa meno
folklorico di come ci era stato presentato perché il ratto era solo il secondo
momento. Il primo passaggio era uguale a quello ateniese.
A Sparta di
folklorico abbiamo la presentazione maschile della donna al matrimonio, il
taglio dei capelli è tipico di un rito di passaggio in occasione della donna
dalla condizione di giovinetta all’età adulta. Per i maschi invece il rito
della maturità era inverso, ovvero far crescere i capelli.
Il terzo
istituto, sul quale non ci soffermiamo, è quello dell’adozione. Nel mondo greco
l’adozione risponde sempre ad una strategia successoria, l’adozione è un modo
di indicare un erede a cui trasmettere il patrimonio proprio perché la logica
patrimoniale è quello di conservare il patrimonio all’interno di una famiglia.
Dobbiamo immaginare che in origine, a livello cronologico di Erodoto, la
patrouchoi andava in sposa all’interno della famiglia secondo criteri ben
definiti, ma nel IV secolo le cose cambiano verso un regime più liberalizzato.
Ciò determina la fusione di patrimoni, la contrazione del numero di cittadini e
le differenziazioni all’interno della società con la concentrazione delle
proprietà fondiarie. Questo ci porta al termine di questo discorso su Sparta in
cui cercheremo di individuare delle conclusioni, linee guida interpretative.
Il primo
punto da considerare è che a differenza da quanto non traspaia dal mito
licurgheo, cioè l’immagine di una città rimasta uguale a se stessa, quello che
emerge in realtà è completamente diversa.
La società
spartana è stato un flusso continuo che si è evoluto nel tempo, e si può vedere
anche a proposito delle istituzioni politiche con la progressiva riduzione del
potere dei re a favore di un aumento del potere degli efori, che si manifesta
con il controllo reciproco tra re ed efori. Da questo punto di vista, lungi
dall’essere una creazione di VIII-VII secolo, la società spartana è il prodotto
di un lungo sviluppo. La trasformazione di Sparta come polis produttrice di
cittadini soldato fu un processo che avvenne in funzione dell’obiettivo
primario di perpetuare il dominio degli iloti.
Lo sviluppo
militaristico della città dunque è avvenuto più grazie a minacce interne che a
quelle esterne. Un altro aspetto da mettere in evidenza è che emerge come la
società spartana fosse meno anomala e diversa rispetto a quello che appare
nelle fonti. Lo abbiamo visto anche nel matrimonio dove ci sono molti
paralleli. Ultimo punto, quello più impegnativo ma fondamentale dal punto di
vista metodologico, è la difficoltà di elaborare un discorso organico su
Sparta. La tradizione su Sparta è una tradizione scarsa e che si distribuisce
su un lungo arco di tempo in cui vi sono diverse prospettive deformanti che
agiscono sempre nelle interpretazioni dei fatti. Una prospettiva deformante è
quello del cosiddetto miraggio spartano, ovverosia molte notizie che abbiamo su
Sparta sono deformate secondo le prospettive di ateniesi anti democratici che
idealizzavano la città, oppure in base alle esigenze delle riforme di Agide e
Cleomene che volevano impostare le loro riforme come un ritorno al passato.
Emerge come questo mito licurgheo è suscettibile di essere reinterpretato,
questo pone per lo storico moderno oggettive difficoltà. Da questo punto di
vista le informazioni più interessanti ci vengono da autori che operano ai
livelli più alti della tradizione, in età classica e prima delle riforme del
III secolo come per esempio Erodoto (che ha fonti molto tecniche), Aristotele e
Senofonte, quest’ultimo sicuramente riflette del miraggio spartano ma ha il
vantaggio di collocarsi ad un livello cronologico ancora classico.
Scritto da
Giuseppe Giordano
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