I rapporti
fra Grecia e Turchia sono storicamente tesi, difficili e con scarse (ma non
nulle) prospettive di miglioramento. Motivazioni politiche, culturali, storiche
e territoriali rendono complesse le relazioni bilaterali fra Ankara e Atene.
03-01-2018
E
non va dimenticato come siano i due Paesi del blocco Nato che sono andati più
vicini a scatenare una guerra, sia per ciò che riguarda Cipro nord, sia per ciò
che concerne l’isola di Imia (per i turchi Kardak). Negli ultimi anni, le cose
non possono dire di essere migliorate, specialmente con gli afflati
nazionalisti ed egemonici della Turchia di Erdogan. E il fallito golpe
dell’estate del 2016 ha contribuito a questo divario con Atene quando alcuni
golpisti sono fuggiti in territorio greco. La storica visita di Stato del
presidente turco in Grecia, di qualche giorno fa, sembra però aver cambiato
qualcosa nelle relazioni tra i due governi. Un miglioramento comincia a vedersi
o, quantomeno, un tentativo di appianare alcune divergenze nell’ottica del
mutuo interesse che lega Grecia e Turchia nella condivisione dell’Egeo, nella
politica migratoria, nel gas del Levante e nell’inserimento di Cina e Russia
nell’area.
Proprio per
quanto riguarda la questione dei golpisti fuggiti in Grecia, dal Paese ellenico
arriva ora la notizia che il governo di Alexis Tsipras ha presentato appello
contro la decisione del terzo comitato indipendente per l’asilo sulla
concessione dell’asilo ad uno degli otto soldati turchi fuggiti in Grecia dopo
il fallito colpo di Stato del luglio 2016. Il comitato indipendente ha, infatti,
stabilito che non esistono prove sufficienti per affermare che il copilota
dell’elicottero con cui gli otto fuggitivi sono arrivati in Grecia, Suleyman
Ozkaynakci, abbia preso realmente parte al tentativo di golpe e che, in
generale, non si possa estradare in Turchia in assenza di garanzie giuridiche
su un processo equo. Prove che invece secondo la giustizia turca esistono e che
sono la base su cui si fonda l’accusa di Ankara per crimini di guerra. La
decisione dell’organismo della giustizia greca ha immediatamente scatenato le
proteste del governo turco, il quale ha minacciato ritorsioni sul piano delle
relazioni bilaterali a causa del presunto appoggio greco ai golpisti. Il
ministero degli Esteri di Ankara ha condannato l’azione dell’organismo giudiziario
ellenico affermando la Grecia avrebbe “dimostrato ancora una volta di essere un
paese che protegge i golpisti”. Minacce che hanno subito ricevuto la risposta
di Atene, che però è stata tutt’altro che di grande fermezza. Il governo greco
ha ripetuto quanto già affermato in altre occasioni, e cioè di non sostenere in
alcun modo i golpisti e che la giustizia è indipendente dalle decisioni
dell’esecutivo. Tuttavia, a questo, si è aggiunto il ricorso del governo alla
decisione sulla concessione del diritto d’asilo.
Già a
dicembre Erdogan aveva parlato nell’occasione di una questione “molto
importante per il futuro dei nostri paesi”. Parlando della questione
dell’estradizione dei presunti golpisti, il presidente turco si era rivolto ai
giornalisti dicendo: “Certamente siamo rattristati e il nostro rispetto per la
magistratura greca è stato disturbato. Siamo preoccupati, e se non ci sarà
l’estradizione ne trarremo le conseguenze sul funzionamento del sistema
giudiziario greco. Ma d’altra parte le relazioni militari, commerciali e
politiche tra i nostri paesi continueranno a rafforzarsi in maniera risoluta e
positiva”. Un messaggio positivo dunque nei confronti dei rapporti
greco-turchi, ma che non è stato poi seguito da frasi molto concilianti dopo la
decisione dell’organismo giudiziario greco, dal momento che, se qualche
settimane fa Erdogan si riferiva alla Grecia parlando di consolidamento delle
relazioni (pur facendo riferimento a un presunto interesse a rivedere il
Trattato di Losanna, che interessa anche la spartizione delle isole dell’Egeo)
dall’altro lato l’esecutivo turco ha subito detto, a poche ore dalla
concessione del diritto d’asilo all’elicotterista, che vi sarebbero state
ricadute gravi sui rapporti fra Ankara ed Atene. E il motivo è da ricercare nel
fatto che per Erdogan la questione golpisti è centrale nella costruzione della
sua Turchia. Sono ormai migliaia le persone condannate e che hanno perso il
posto di lavoro dopo aver subito l’accusa di aver partecipato al fallito colpo
di Stato o di averlo, in qualche modo, appoggiato. E le ondate di purghe non
sembrano avere ancora raggiunto un punto finale.
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