La tradizione
che vede gli animali rappresentati nella letteratura e nell'arte con
caratteristiche umane è più antica di quanto si pensi
La tradizione che vede gli animali rappresentati nella letteratura e nell’arte con caratteristiche umane è più antica di quanto si pensi. Non soltanto rispetto ad autori come i fratelli Grimm, che raccolgono dichiaratamente tradizioni pregresse, o agli italiani Collodi o Trilussa, ma anche rispetto ai greci che consideriamo –spiega Marco Ferrazzoli sull’Almanacco della Scienza del CNR – in genere i maestri e i pionieri dell’allegoria teriomorfa. L’eredità che giunge a Fedro, infatti, è consolidata da ben cinque secoli anche se è da essa, oltre che ovviamente dalla simbologia biblica, che parte l’influenza che passerà per i bestiari medievali fino a giungere agli scrittori moderni.
“L’Antico
Egitto sin dai suoi momenti più antichi rappresenta divinità antropomorfe con
tratti animali. La dea leonessa della guerra, Sekhmet; Toth, il dio della
sapienza dal volto di Ibis, e Anubi, il dio sciacallo che regna sui morti, sono
solo alcune fra le figure del pantheon più antico della storia che ci sia giunto
con una testimonianza così cospicua”, spiega Augusto Palombini, ricercatore
dell’Istituto di tecnologie applicate ai beni culturali (Itabc) del Cnr di
Roma. “Questo livello di lettura simbolica doveva permeare il pensiero egizio
ben oltre l’aspetto cerimoniale, visto che almeno in età tarda le figure
animali abbondano anche nell’universo narrativo e fra gli altri animali che
interagiscono con gli uomini incontriamo la Gatta Etiope del mito dell’occhio
del sole, l’agnello che profetizza la sottomissione dell’Egitto da parte degli
Assiri e il racconto di un asino sapiente che guida una comitiva in viaggio
lungo il Nilo”. Dalle testimonianze rinvenute sappiamo per certo “che questa
cultura filtra in ambiente greco in età ellenistica, ma è probabile che forme di
osmosi culturali fra i due mondi fossero presenti molto prima. Non stupisce
quindi che nel VI secolo a.C. appaiano le favole di Esopo, che per
rappresentare vizi e virtù umane fanno uso sistematico di personaggi animali”,
conclude Palombini.
Di certo la
favola come genere letterario e artistico occidentale riconosce in Esopo il suo
padre indiscusso, ancorché – come per molti autori greci – si tratti di una
figura semileggendaria, per alcuni di origine frigia, cui altre fonti
attribuiscono le caratteristiche di deformità e balbuzie: una coppa ateniese
della metà del V secolo a.C., custodita ai Musei Vaticani, mostra una volpe
nell’atto di ammaestrare un Esopo deforme.
Il campo
degli animal studies è stato comunque molto battuto dagli antichisti negli
ultimi decenni. “Occorre fare una distinzione netta, per il loro diverso
statuto, tra favola e mito”, specifica Fabio Caruso, ricercatore presso
l’Istituto beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr di Catania, dove si
occupa proprio di iconografia greca in rapporto al mito. “Nelle favole esopiche
che hanno per protagonisti animali antropomorfi, il comportamento animale fa da
specchio e chiave interpretativa di quello umano, è il portatore di un ordine
‘naturale’, di una tensione etico-morale alla quale l’uomo deve guardare per
migliorarsi. A livello della favola si registra cioè un continuum fra uomo e
animale, con una superiorità anzi del secondo”.
Passando
invece al mito, il quadro appare più variegato, si possono distinguere diversi
piani di relazione. “Gli dèi si accompagnano ad alcuni animali, per esempio
Dioniso e la pantera, o possono trasformarsi nelle specie che meglio si
prestano per una certa azione: Zeus può diventare toro o cigno, Poseidone
cavallo, Teti leone, serpente e perfino seppia”, prosegue Caruso. “La
metamorfosi in animale è solo una delle possibili manifestazioni del divino e
in generale, secondo una linea di pensiero codificata da Aristotele, il mondo
animale si colloca a un livello inferiore rispetto all’uomo, lontano dai valori
della civiltà antropica. Basti pensare alle imprese di Eracle, l’eroe
‘civilizzatore’ per eccellenza, che si risolvono con frequenza nell’uccisione
di leoni, cerve, cinghiali, uccelli, tori, cavalle”.
L’antitesi
fra animalità e civiltà nasce quindi nell’immaginario greco e “diventa evidente
se dalla sfera delle divinità ci volgiamo a quella degli esseri ibridi, delle
creature fantastiche che popolano il mito nel caos dei primordi”, conclude il
ricercatore Ibam-Cnr. “Si tratta, quasi sempre, di entità minacciose, ostili
agli dèi come i Giganti o Tifone dal corpo serpentino e agli uomini come le
Sirene, oppure ancora figure portatrici di una sessualità disordinata, come i
satiri e i centauri. Analogamente, uomini e donne che oltraggiano il divino precipitano
per contrappasso al rango dell’animale che meglio incarna la loro colpa:
Atteone da cacciatore diviene cervo e preda dei suoi cani, Aracne sfida Atena
nella tessitura e viene mutata in ragno, Io suscita la gelosia di Era e diviene
giovenca”.
A cura di
Filomena Fotia
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