Secondo
alcune stime, ci sono circa 4.000 persone nel campo di Vathy e nei suoi
dintorni, sull’isola di Samos. La capacità è di circa 700 persone. Non c’è
abbastanza acqua, né aiuto medico o psicologico, e la depressione generale è
diffusa dal campo alla cittadina. Nonostante la stagione delle piogge stia
arrivando, nessuno ha piani per il futuro.
Traduzione di Jacopo Spatafora e Cristina Guglielmini
La strada
accidentata si arrampica a tornanti sulle colline in direzione di Vathy, a Samos.
La vista dalla strada è spettacolare: una bellissima città vecchia, un porto e
il mare e il cielo infiniti, entrambi dello stesso blu profondo.
Ma la strada
conduce al campo, circondato con filo spinato e telecamere di sicurezza. Prima
di arrivare alla porta principale, su entrambi i lati della strada della ripida
collina, ci sono diverse tende, ripari improvvisati e biancheria stesa ad
asciugare ovunque. Sulla strada e attorno alle tende ci sono troppi bambini,
alcuni così piccoli che ancora gattonano. Genitori stanchi li tengono d’occhio
dai loro ripari, nascondendosi agli occhi dei nuovi arrivati. Sono arrivati
tutti a Samos, sulle barche, durante l’ultimo mese e mezzo. La maggior parte
sta nel campo.
Ufficialmente,
circa 2.000 persone vivono qui. Ufficiosamente, rasentano le 4.000 presenze.
900 di loro sono bambini. Alcuni vivono in container sovraffollati, in dodici
anziché in otto. Dentro il campo ci sono circa 250 tende piccole e alcune più
grosse. Attorno al campo gravitano oltre 100 tende e ripari di fortuna.
Bogdan
Andrei, uno dei coordinatori di Samos Volunteers, vive sull’isola da 17 mesi.
Dice che la situazione non è mai stata così difficile. “Ho paura che peggiorerà
ancora di più quando arriverà la stagione delle piogge, ormai a giorni. Al
momento, abbiamo più persone e meno supporto che mai”. Bogdan esprime le sue
preoccupazioni, condivise da tutti sull’isola: rifugiati, residenti, volontari,
ONG. Il gruppo Samos Volunteers è l’unico a guida internazionale rimasto a
Samos. Offre ai nuovi arrivati vestiti asciutti e un kit base di accoglienza,
tra le altre attività.
Procedura
d’arrivo
Da metà
agosto, sono stati registrati nuovi arrivi quasi ogni giorno a Samos. Vengono
mandati tutti al campo o alle tende che lo circondano. E’ difficile che da lì
se ne vadano.
A Samos,
solo le autorità e Frontex possono occuparsene. Chi è passato per il “processo
d’accoglienza” lo descrive come lungo e confuso.
All’arrivo o
una volta salvati, i rifugiati – spesso con indosso vestiti fradici – sono
portati in un’area isolata per la registrazione. A seconda del numero delle
persone, la procedura può richiedere fino a molte ore.
Il passo
successivo è un controllo fisico e dei loro averi, seguito da una sessione
informativa con UNHCR, la squadra di salvataggio locale e le squadre RIC, e
quindi uno screening medico.
“Tutto
questo avviene mentre le persone sono ancora in stato di shock dopo un viaggio
pericoloso, e molti capiscono a malapena quello che viene detto” commenta
Majida Ali, una siriana arrivata su una di quelle barche circa un anno fa.
Stato di
shock è l’espressione usata da una delle due infermiere che abbiamo incontrato.
Lavora nel campo di Samos da diversi mesi. “La gente affronta un viaggio
pericoloso sperando di trovare sicurezza dall’altro lato. E alla fine, quando
raggiungono l’Europa, vengono piazzati in una struttura e poi in un campo che
assomigliano più a delle prigioni. Alcuni mi hanno detto che stanno sentendo di
perdere la loro dignità e la loro umanità”.
Privazione
del libero arbitrio
Bogdan
Andrei è uno dei coordinatori di Samos Volunteers. Di recente, il gruppo ha
avuto problemi ad approcciare i nuovi arrivati, che quindi sono costretti ad
indossare vestiti fradici per ore. “Non c’è una ragione o una spiegazione
specifica per questo” - ci dice il coordinatore.
Ufficialmente,
i nuovi arrivi non possono lasciare il campo per i primi 25 giorni. Questo
tempo di detenzione è per prevenire l’attraversamento illegale. Contrariamente
ad altre isole, a Samos questa misura non viene imposta severamente e le
persone entrano ed escono usando il cancello sul retro, alla fine del campo. E’
lì che riusciamo a parlare con alcuni rifugiati, tutti increduli davanti alla
situazione in cui sono stati messi. Alcuni credono ancora che partiranno presto
e potranno continuare il loro viaggio.
L’infermiera
ci dice: “A dire il vero, vediamo tutti i giorni che la prima misura nei
confronti dei nuovi arrivati è privarli della loro libertà. Le persone vengono
semplicemente processate, portate a colloquio, valutate, poi ricevono dei
vestiti che non possono scegliere, vengono piazzate in container o in tende, e
private di qualsiasi possibilità di prendere decisioni per loro stesse. E va
avanti così senza fine”. Aggiunge che questo trattamento influenza la salute
mentale, creando molti problemi. “Alcuni non capiscono neanche cosa succede
attorno a loro”.
“Chi vive
nel campo, chi c’è da tempo e chi c’è appena arrivato, nessuno di loro ha
informazioni su nulla”. Così Majida Ali descrive la situazione. Come donna
single, Majida era considerata vulnerabile, e lei ha deciso di lasciare il
campo tempo fa. Ha persino ricevuto asilo politico, ma ha deciso di rimanere
sull’isola per cercare di aiutare chi è rimasto spiaggiato a Samos.
“Molte delle
persone che abbiamo incontrato a Samos vivono in uno stato di shock costante.
Quelli abbastanza “fortunati” da vivere nel campo soffrono per l’acqua
razionata, bagni e docce non igienici, sporco e molti pericoli, specialmente
per donne e bambini. Alcune donne, cosi ci è stato detto, non usano neanche i
bagni, specialmente di notte, perché hanno paura”.
Un posto
molto pericoloso
Dopo molti
mesi al campo, l’infermiera con cui abbiamo parlato richiama alla mente molti
pazienti che hanno sofferto problemi fisici, “ma quando ci parli capisci che
sono i danni psicologici a danneggiarli. Molti soffrono di disturbo da stress
post-traumatico, depressione, tendenze al suicidio, autolesionismo...
Specialmente fra la popolazione maschile”.
In aggiunta,
le persone sono arrabbiate per le condizioni in cui sono costrette a vivere, e
non vedono la luce in fondo al tunnel. Spesso le conseguenze sono i conflitti
all’interno del campo.
“C’è molta
rabbia, e si capisce. Presa dalla disperazione e dall’ira, la gente qui entra
in conflitto e crea una situazione molto pericolosa” ci spiega Majida,
definendo il campo “un luogo molto rischioso”.
Perdipiù, i
residenti si lamentano della violenza della polizia. In alcuni casi, questa usa
la forza o un linguaggio molto offensivo. Precedentemente, abbiamo pubblicato
un video che mostrava i poliziotti picchiare i rifugiati nel campo. Ci è stato
detto che solo ad agosto quattro casi di violenze da parte della polizia erano
stati denunciati alle autorità, e in un caso la persona coinvolta intende
andare a processo. Gli altri sono troppo spaventati per portare avanti il loro
caso contro la polizia locale.
Siamo stati
anche informati riguardo le severe misure che vietano di fare fotografie
all’interno del campo, persino per i residenti. Uno di loro testimonia: “Ci
hanno detto molte volte che non possiamo fare foto. Dopo che alcune foto sono
state pubblicate da AYS, la polizia ha rastrellato il campo, e ha confiscato
tutti i cellulari alla ricerca di foto e video”.
I residenti
del campo fanno foto comunque, sapendo che questo è l’unico modo per far
conoscere al pubblico le condizioni di vita in cui sono costretti. Ma fanno di
tutto per nasconderle, spaventati dalle ripercussioni. Spesso abbiamo sentito
di minacce di rimpatri in Turchia o di detenzione.
Perdendo la
speranza
Al porto di
Samos, abbiamo potuto osservare il centro di detenzione dall’esterno, e ci è
sembrato un posto di cui nessuno avrebbe paura. In un vecchio edificio di
pietra sul porto, dietro a finestre sbarrate con assi di legno, cosicché
nessuno possa vedere all’interno, tra cui perfino i raggi di sole faticano a
passare, ci sono delle persone. Chiunque si avvicini può sentire le loro voci.
Solo i membri della famiglia possono far visita ai detenuti, ma la maggioranza
sono uomini soli. Alcune delle persone con le quali abbiamo parlato sono
riuscite a vedere all’interno della struttura e ci hanno parlato di persone
stipate in una stanza, che dormono sopra a delle coperte stese direttamente sul
pavimento, che utilizzano un solo bagno, senza porte. Noi non siamo stati in
grado di verificare queste testimonianze.
Samos
volunteers organizza diverse attività all’interno del campo e presso l’Alpha
centre, situato in città. Offrono del tè 2 volte al giorno, una libreria mobile
2 volte a settimana, attività per i bambini, fitness per uomini, attività per
le donne, classi di lingua… Una volta a settimana, con l’aiuto dei rifugiati,
cercano di pulire il campo. E con quasi 4000 persone all’interno, c’è un’enorme
quantità di rifiuti. Che attirano animali, come sciacalli, serpenti, ratti e
topi. Il campo ne è pieno.
I volontari
fanno fatica a far fronte alle necessità delle persone all’interno del campo.
Uno dei problemi infiniti e continui è quello della carenza di pannolini per
bimbi e assorbenti per le donne. Da quando è stato introdotto il cash card
system, ci si aspetta che le persone comprino questi prodotti attraverso questo
sistema. Con 90 euro a persona al mese, è decisamente irreale come possibilità.
“Molte
persone stanno perdendo fiducia all’interno del campo e questo è un grande
problema” spiega Bogdan. “E la cosa più difficile per tutti è che fino ad ora,
non c’è nessun piano”.
La sera, la
maggioranza delle persone cammina dal campo verso il centro città, seguendo la
spiaggia, oppure alcuni si siedono sulle panchine. Altri tentano di pescare,
magari sperando di racimolare un pasto migliore, soprattutto per ammazzare il
tempo.
I ristoranti
e i bar, per la grande maggioranza, sono riservati solamente a turisti e gente
locale. Molti di questi posti non permettono nemmeno ai rifugiati di entrare,
sedersi o persino comprare qualcosa all’interno del locale. In aggiunta, alcuni
hotel di Samos si rifiutano di ospitare rifugiati, anche quando il pagamento
del servizio verrebbe garantito da organizzazioni in grado di farsi carico
delle spese.
Uno degli
abitanti locali, attivo con gruppi solidali, ci racconta che all’inizio le
persone erano aperte ed accoglienti, ma tutto è cambiato col tempo. “Non c’è
abbastanza informazione e comunicazione e nessuno cosa aspettarsi nel prossimo
futuro”, ci dice.
Intimidazione
e paura
Poco è stato
fatto per risolvere questa situazione. Inoltre, alcune usanze e pratiche locali
sono molto intimidatorie per i rifugiati. Per esempio, le piccole parate
militari nel centro cittadino ogni domenica pomeriggio.
Soldati con
fucili sulle spalle, e una sfilata militare con banda annessa, percorrono su e
giù la strada principale, fino ad arrivare alla piazza, dove viene suonato
l’inno nazionale e issata la bandiera. I rifugiati, molti dei quali scappano da
guerre, assistono in parte, mentre l’atmosfera diventa chiaramente poco
piacevole.
“L’unica
soluzione è trasferire le persone in sistemazioni migliori, ma è estremamente
difficile in queste circostanze”, ci viene riferito da attivisti locali.
L’altra
soluzione è quella di velocizzare il processo di trasferimento verso la
terraferma. “Abbiamo bisogno di una seria decisione di decongestionare l’isola.
Con questo numero di presenze, è ingestibile”, conclude il coordinatore di
Samos volunteers, sollecitando tutti i responsabili a fare qualcosa, mentre
l’inverno è alle porte.
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