Σάββατο 21 Οκτωβρίου 2017

Nella mostra su Pompei e i greci - Gli antichi visti da vicino


Con effetto simile ad alcuni fotogrammi di 2001: Odissea nello spazio, una muta, espressiva sequenza di primissimi piani archeologici (foto di Luigi Spina) apre il catalogo della mostra Pompei e i greci, in corso fino al 27 novembre a Pompei, a cura di Massimo Osanna e Carlo Rescigno, allestimento di Bernard Tschumi (Milano, Electa, 2017, pagine 360, euro 55). «Sotto i nostri occhi si compone un mondo variegato di genti, che parlano lingue diverse, manipolano gli stessi oggetti, ma ne personalizzano l’uso adattandoli alle proprie esigenze, praticano un commercio per piccoli scali, dove il sapere si mescola con le partite di merci. Nei porti di Pompei e Sorrento, a Partenope o presso il rione Terra di Pozzuoli, allora sede di un piccolo scalo cumano, avremmo potuto udire parlare greco, etrusco, italico».

2017-10-21 

Il racconto della mostra restituisce la magia e le asprezze di un panorama multiculturale con la sua “grammatica” di oggetti, spazi, linguaggi, santuari, dove «il sapere greco diversamente incontra il mondo indigeno» e Oriente e Occidente «si toccano, per aprire un nuovo mondo».

Inserita in una stagione di rinascita del sito archeologico, la mostra, ribadiscono i curatori, pone un case study metodologico e interpretativo focalizzato sul tema degli incontri di culture. A Pompei, insediamento «di sostrato italico su cui agisce un collante istituzionale etrusco e su cui si muovono presenze greche diffuse», l’epoca della “fondazione” non circoscrive l’influenza greca: il contatto inizia molto prima, con i villaggi sparsi nel territorio, dove fin dal V millennio prima dell’era cristiana si hanno tracce di frequentazione umana.

È con le società nel retroterra che i greci di Pithecusa (Ischia, VIII secolo) scambiano manufatti ceramici; e probabilmente nell’alta valle del Sarno fanno conoscenza con i dauni che giungono dall’Adriatico per transumanza mutuandone i caratteristici recipienti che ritroviamo nelle sepolture dell’isola. Con queste società del retroterra, più a nord, hanno rapporti gli etruschi dal loro caposaldo di Capua. Il perdurare di contatti e scambi con greci ed etruschi e probabilmente anche mutamenti idrogeologici portarono alla fine di quegli insediamenti e, tra lo scorcio del VII e inizio del VI secolo, all’istituzione di nuovi, tra cui Pompei.

«Ci si può chiedere se abbia ancora senso parlare di indigeni e greci come di due entità contrapposte, considerando che si tratta di una distinzione moderna che non trova necessariamente riscontro nella realtà antica»; tra l’altro, «né le popolazioni locali, né i greci, che sin dall’viii secolo si installano lungo le coste tirrenica e ionica della penisola, avevano un’identità etnica culturale unitaria, ma erano divisi in innumerevoli piccole realtà» (Gabriel Zuchtriegel). C’è chi ipotizza di applicare a Pompei il concetto di middle ground coniato da Richard White (1991) per descrivere gli incontri tra i nativi americani e gli europei nella regione dei Grandi Laghi tra il 1650 e il 1815 (Irad Malkin).

La Magna Grecia, più che un dato assodato, appare così un punto di partenza per indagare «quel mondo fluido del Golfo di Napoli, fatto di accentuata mobilità, migrazioni, incessanti processi di contatti e trasformazioni, dove i porti marittimi e gli scali fluviali hanno per secoli generato una cultura estremamente dinamica» nella quale «anche lo scontro militare non ha impedito il transitare incessante di tradizioni artigianali e modi di pensare», mostrando come «le identità chiuse appaiano parassitarie rispetto ai fenomeni culturali» (Francesco Remoti).

Lo spazio espositivo è sottolineato da una cornice multimediale (a cura di Graphic eMotion) che immerge il visitatore nella ricostruzione di eventi e stati d’animo: l’emozione degli antichi navigatori nell’avvistare la prima volta il golfo di Napoli; la battaglia di Cuma che seminò morte e distruzione in mare segnando il declino di Pompei e l’ascesa di nuovi centri urbani; la città che rifiorisce dopo circa un secolo, con le più svariate influenze e l’ispirazione greca che traspare nei manufatti artistici, nelle ville e nei giardini.

di Isabella Farinelli


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