Una scena
del film di Kakojanis, Zorba The Greek (1964)
Giorgis
Zorbas, il celebre personaggio del romanzo di Nikos Kazantzakis, interpretato
sul grande schermo da Anthony Quinn è esistito davvero ed è ora sepolto a
Skopje
Ebbene sì, è
esistito davvero. La tomba nel cimitero di Skopje non lascia dubbi:
"Giorgio Zorba 1869-1941". Una piccola scritta affidata all'oblio,
nascosta fra i nomi di una rispettabile famiglia di mercanti slavi, i signori
Jada. Insieme a loro giace Zorba il greco, l'avventuriero dai mille mestieri,
l'eterno vagabondo assetato di donne, di viaggi, di vita. Il novello Dioniso che
il dolore e la gioia li esprimeva suonando il santuri, o nella magia di una
danza virile. La danza di Zorba, appunto.
Da
Kazantzakis a Anthony Quinn
Di lui,
forse, e della sua storia vera e non solo di personaggio immaginario (Alexis
Zorba lo aveva battezzato Nikos Kazantzakis nel suo romanzo Zorba il greco,
tradotto in italiano da Crocetti editore, nel 2011, dall’originale greco del
1943), non avremmo più sentito parlare se il 26 ottobre 2017 non cadesse il
sessantesimo anniversario della morte di Kazantzakis.
Un autore
che, oltre a Zorba, ha scritto altri capolavori come "Capitan
Michalis", il seguito dell’Odissea e "L’ultima tentazione di
Cristo", messo all’indice dal Vaticano nel 1955. Opere che per poco non
gli valsero un Nobel per la Letteratura negli anni Cinquanta, negatogli solo
per questioni politiche come sostiene il saggio To Hameno Nobel ( "Il
Nobel Mancato" apparso in Grecia nel 2015 presso le edizioni Kastaniotis).
Ma torniamo
a Zorba, il vero Zorba. In occasione del 60esimo anniversario della morte di
Kazantzakis, ad Atene è uscito il saggio "Kazantzakis-Zorbas. Un’amicizia
vera" di George Stasinakis (edizioni Kastaniotis). Testo che aggiunge non
pochi particolari a quello che si sapeva già del nostro eroe, da quando nel
1997 due cronisti di un giornale ellenico, l'Ethnos, avevano individuato quella
lapide seguendone la pista nei Balcani.
Zorba era
lì, a tre ore di macchina da Salonicco, nella capitale dell'ex Repubblica
jugoslava di Macedonia. Proprio dove l'avventuriero morì secondo il romanzo di
Nikos Kazantzakis. Ricordate? Il suo personaggio era diventato famoso grazie al
film del 1966 con Anthony Quinn. Quell'estate il mondo ballò al ritmo del
sirtaki e la Grecia, da allora, nel cuore di ogni turista è legata a quelle
note del compositore Mikis Theodorakis.
Ma Zorba -
questo è il punto - non era un personaggio immaginario, ma un uomo in carne ed
ossa. Anche se Kazantzakis cambiò il suo nome da Giorgio in Alexis e ne ritoccò
le avventure per evitare grane con la sua famiglia: "I fratelli di mia
madre avevano minacciato di portare lo scrittore in tribunale: lo accusavano di
infangare la memoria di loro padre" ha raccontato Anna Gajger, nipote di
Zorba che viveva a Belgrado e che ha posto fine alla disputa con una lettera al
quotidiano ateniese Ethnos nel 2000: "Penso che tutti noi dobbiamo molto a
Kazantzakis, perché ha descritto un esemplare umano eccezionale, un filosofo
che era sì semianalfabeta ma la cui saggezza derivava dall’esperienza di
vita".
Ma chi era
veramente Giorgio Zorba?
"Nei
suoi ultimi anni, trascorsi a Skopje, si rifiutava di vivere con la sua
famiglia e stava in albergo", racconta - in un’intervista raccolta da
Stasinakis - Evita Kexavia Barela, pronipote di Zorba e nipote di Androniki,
una dei sette figli di Zorba.
Evita oggi
vive a Xanthi, nella Grecia del nord, ma ha sempre mantenuto contatti con i
suoi parenti, dei quali ha raccolto i racconti e le memorie. "Anche se
all’epoca abitavano tutti a Skopje, il bisnonno andava a casa solo ogni tanto a
bere il caffè. A mangiare no: 'Il mio stomaco è diverso dal vostro', diceva.
'Perché dovrebbe avere fame alla stessa ora?'".
Quando Zorba
rimase vedovo con quella ciurma di figli, intorno al 1910, dopo la morte della
moglie Elena, alcuni li portò con sé, nel suo peregrinare da un paese
all'altro, altri li affidò a conoscenti, perché crescessero in una famiglia
vera. "Mio padre aveva lo stesso nome di Zorba, Giorgio, così come mio
figlio - continua Evita - entrambi hanno ereditato da lui l’amore per la vita,
per la musica, il ballo, il movimento".
Quindi la
famosa frase del film di Kakojanis
"Zorba insegnami a ballare!" non era frutto di fantasia. Zorba
suonava davvero il santouri, e amava finire le sue giornate danzando su una
spiaggia o in una taverna con gli amici. Androniki è stata l’unica figlia che
Zorba sistemò e lasciò per sempre a Kalamata, con un matrimonio combinato: gli
altri figli andò a riprenderli dopo il 1920 quando si era stabilito
definitivamente a Skopje e aveva ottenuto dall'allora regno serbo lo
sfruttamento di cinque miniere.
È stato
trovato il documento al ministero Miniere e Foreste jugoslavo: Giorgio Zorba
era socio, fra gli altri, anche del figlio del premier serbo Nikola Pašić. Il
luogo dove fu “sistemata” Androniki era strategico per la vita del padre: non
lontano da Kalamata stava Kardamyli, proprio il luogo dove con Kazantzakis
Giorgio tentò di sfruttare una vena sotterranea di carbone. Un’impresa andata
male, ma che rispecchia quanto Kazantzakis narra in Zorba il greco, spostando
semplicemente l’avventura mineraria dalla regione peloponessiaca del Mani, dove
effettivamente avvenne, alla sua natale isola di Creta, dove è anche girato il
film.
L’avventura
mineraria
Già, le
miniere. Ricordate la scena del film di Kakojannis, con la teleferica del
carbone che si arrampicava sul monte? "Che bel disastro!" ride fra le
lacrime quel burlone di Zorba, quando i pali rovinano giù come birilli, e
piombano sul pope venuto a battezzare la "meraviglia della tecnica".
Era tutto
vero: Zorba era un minatore anche nella vita. Ma più sorprendente è che suo
partner in affari, ad un certo punto, fu lo stesso Nikos Kazatzakis (il padrone
della miniera nel film, invece, è un ricco intellettuale americano,
interpretato da Alan Bates).
La strana
coppia si era conosciuta quando l’intellettuale Kazantzakis assunse Giorgio
come capomastro per un giacimento di lignite. Ma come, uno scrittore padrone di
una miniera? Tutta colpa della guerra, che in quell'anno di grazia 1915
infuriava alle porte della Grecia. Francia e Inghilterra premevano su re
Costantino per entrare al loro fianco nel conflitto contro l'impero turco,
dalle cui catene Atene si era liberata da meno di un secolo.
I Balcani
erano in fiamme e Kazantzakis trentenne... si era rifugiato sul monte Athos,
per sottrarsi all'arruolamento. Sì, proprio lui: che avrebbe riempito i suoi
libri di superuomini di marca nietzschiana, dal Capitan Michelis al seguito
dell’Odissea. Non era tagliato per la guerra. Ed eccolo fra i monaci, con la
scusa di un periodo di studio. Lassù chi incontra? Ma Zorba, naturalmente:
l'ateo mangiapreti che all'Athos era legato, però, da ragioni affettive. Suo
padre Fotis, prima di morire, si era fatto monaco per il dolore di avere perso
la moglie. E Giorgio adesso era lì, come taglialegna nei boschi dei monasteri,
fra una spedizione e l'altra contro i bulgari che minacciavano la sua casa e la
Grecia del nord, già allora tormentata regione di confine.
L’amicizia
con Kazantzakis
Fra
l'avventuriero e lo scrittore fu un colpo di fulmine. Galeotta una legge che
esentava i lavoratori delle miniere dalla leva militare: fornire carbone
all'esercito era, di per sé, un servizio alla patria. "Sai, ho saputo che
da qualche parte nel sud si affitta un giacimento...", era giunta voce a
Kazantzakis ed ad altri imboscati (compreso il poeta neoapollineo Angelo
Sikelianos). E anche Zorba fu della partita.
Non
all'imbarco del Pireo avvenne, quindi, il fatale incontro come da romanzo, ma
in un più suggestivo monastero (che Kazantzakis volesse glissare
sull'imbarazzante parentesi dell'Athos?). E la loro destinazione non fu Creta,
ma un paesino cento chilometri più a nord: Kardamyli, nel sud del Peloponneso.
L'avventura della miniera è narrata anche in un dimenticato libretto del 1960,
firmato da uno strano editore-filologo-giornalista locale di Kalamata, Iannis
Anapliotis, ricordato anche da Stasinakis nel suo saggio appena uscito in
Grecia.
Appassionato
di Kazantzakis, dopo la morte dello scrittore Anapliotis rintracciò gli operai
che avevano lavorato alle sue dipendenze a Kardamyli, paesino a pochi
chilometri da Kalamata. E risalì anche lui alla figlia maggiore di Zorba,
Androniki, che era rimasta nel Peloponneso dopo aver fatto da cameriera,
quarant'anni prima, a quello strano imprenditore che passava tutto il giorno a
declamare poesie nelle grotte sul mare, mentre gli altri sgobbavano sottoterra.
Tra questi
altri c'era Zorba "che aveva passato l'infanzia ai piedi
dell'Olimpo", scrive Anapliotis: "Suo padre era padrone di campi e
greggi a Katafyghi, nella Pieria abitata dalle Muse. Salendo sull'Athos aveva
lasciato le pecore al figlio, ma il colera le uccise tutte e Giorgio, adolescente,
si ritrovò squattrinato per le vie del mondo. Fu così che si ritrovò a lavorare
per la prima volta in una miniera, nella penisola Calcidica, di proprietà di
una compagnia mineraria francese".
La carriera
di donnaiolo
E si
innamorò della figlia del gestore greco, Iannis Calcunis: la bellissima Elena,
di appena 15 anni. Suo padre non voleva che sposasse uno spiantato come Zorba.
Ma lei era già incinta: scapparono insieme e si sposarono di nascosto. Nacquero
due gemelli: ma sopravvisse solo uno dei due, Andrea. Il primo di sette figli.
La carriera
di donnaiolo specializzato in vedove, "in ognuna delle quali, anche la più
brutta, abbracciava lei, Afrodite immortale" come scrive Kazantzakis in
"Zorba il greco", è cominciata dopo la morte di Elena, verso il 1910.
"Ma Kazantzakis - precisa Stasinakis spulciando fra libri, interviste e
articoli per raccogliere il suo saggio dedicato all’amicizia fra lo scrittore e
il ‘filosofo analfabeta’- sbaglia a dire che Giorgio si risposò con una certa
Liuba, alla fine della vita. Gli piacevano le donne, è vero, ma moglie
legittima ebbe solo Elena: altrimenti l'avremmo saputo, a Skopje lo conoscevano
tutti".
Lo
conoscevano talmente bene che, quando entrava al centralissimo ristorante
Marger, accorrevano a frotte. "Urlava: offro io! - racconta ancora
Stasinakis, rievocando i ricordi dei parenti che vivevano a Skopje - era
altissimo, con gli occhiali a pince nez e l'eterno papillon al collo. Passava
tutta la notte a suonare e ballare in compagnia. Spendeva così tutto quello che
guadagnava".
E madame
Ortense, la sciantosa in disarmo che nel romanzo scaldava le notti di Zorba,
dopo le fatiche della miniera? E la bella vedova interpretata da Irene Papas e
sgozzata dall'intero villaggio in una vendetta tribale? Di vero, nell'eremo di
Kardamyli, c'era solo che l'amante di un maturo ingegnere minerario era stata
sorpresa a letto con il figlio di lui. E fece una brutta fine. Ma il
personaggio di Madame Ortense, un tempo amata dai quattro ammiragli delle
flotte straniere di stanza a Creta, riassumeva nelle sue carni molli tutta la
storia recente dell'isola. E permetteva a Kazantzakis, cretese, di immortalare
la sua terra aspra e luminosa nel suo libro più bello.
Un cavallo
che si impenna
Il buen
ritiro di Kardamyli durò poco. Kazantzakis cominciò a soffrire di una malattia
nervosa che lo avrebbe perseguitato a lungo: i suoi amici di Atene lo spedirono
a curarsi in Svizzera e anche la miniera chiuse. Ma Zorba, per lui, era ormai
diventato un amico insostituibile. Di più: un guru, "l'anima più grande e
libera che io abbia mai conosciuto", una forza della natura che assaporava
"ogni giorno come fosse l'ultimo" e davanti al quale lui, asfittico
topo di biblioteca, si vergognava di non osare vivere fino in fondo.
Così due
anni dopo, nel 1919, gli scrisse: "Caro Giorgio, il governo mi ha offerto
di organizzare il rimpatrio dei profughi greci dal Caucaso che scappano dalla
rivoluzione. Ho risposto che vado solo se vieni anche tu".
Zorba, che
nel romanzo sognava di "fare il giro del mondo, e mentre lo diceva gli
brillavano negli occhi mille donne da scoprire" non si fece pregare.
Distribuì la prole fra gli amici e andò per un anno a Novosibirsk e a Odessa:
tornò con tre ragazze russe. Nel frattempo, sua figlia Tasia si era sposata col
fratello della prima moglie di Kazantzakis. Poi i due
amici si divisero per sempre.
Finché un
giorno di oltre vent'anni dopo, quando l'Europa era di nuovo in fiamme, allo
scrittore arrivò un telegramma da Skopje: "Le ultime parole di Zorba sono
state per voi - gli comunicava il maestro elementare del paese - poi si è
alzato dal letto ed è andato vicino alla finestra. Ha guardato i monti e, di
colpo, si è messo a ridere, a impennarsi e correre intorno come un cavallo. La
morte l'ha trovato così, in piedi". Era uscito dal letto quando ha capito
di essere alle ultime. Forse, per danzare anche la fine.
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