C'è un rivolo di disgusto che, fitto fitto,
scivola dentro la crisi greca di cui nessuno più si occupa: è la disperazione
di tutti i giorni della gente per bene, è la dignità di chi non era presente
nella Lista Lagarde, è il volto di quei cittadini che dopo troika, memorandum e
tweet stanno peggio di prima, sono le braccia e i volti di chi nonostante tutto
continua ad alzare la saracinesca della propria vita tutte le mattine.
Un bimbo di
otto anni in una scuola greca ha scritto una lettera a Babbo Natale. Ma non ha
chiesto giochi o sollazzi, cotillon o robot, né Super Pigiamini o cellulari di
ultima generazione: solo un po'di cibo. Sì, proprio così, solo del cibo.
Thelo faghitò,
si legge in quel pezzetto di carta. Un po' di cibo. Per la propria famiglia,
per se stesso, per tutto l'universo poco importa.
Qui sta
accadendo ciò che i grandi megafoni 3.0 di solito raccontano in Africa o in
sudamerica. Qui sta scoppiando un mondo nel disinteresse del resto di
quell'altro mondo, che si pavoneggia perché la crisi è dietro l'angolo. Qui si
è rotto l'incantesimo di chi ha promesso mari e monti e poi è scappato col
malloppo.
Qui, al
centro dell'Egeo, dove si twittano grandi accordi, super investimenti e
fantastiche riprese, c'è chi ha fame. E nessuno (degli altri) se ne vergogna,
nemmeno un po'.
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