Questo
articolo in breve:
Achille,
l’eroe guerriero per eccellenza
Achille
nella guerra di Troia
Origine
della cetra d’argento suonata da Achille
Cause e
circostanze dell’ambascieria ad Achille nel IX libro dell’Iliade
Testo
dell’Iliade in cui Achille suona e canta nella propria tenda
Importanza
dell’arte nella civiltà greca
La phórminx,
lo strumento musicale usato da Achille
Quando si parla di Achille (Ἀχιλλεύς, Achilléus in greco antico), viene subito in mente l’immagine di un guerriero indomabile. Si tratta di una reputazione “mitica”, nel senso che è accettata dai moderni come tale, senza bisogno di giustificazioni. Molti non hanno mai letto l’Iliade, non conoscono la guerra di Troia, eppure sanno benissimo che Achille è uno forte, anzi è il più forte di tutti.
Naturalmente
ogni mito ha in origine una spiegazione, che nel nostro caso si trova nei
racconti dei poeti greci, anzitutto nell’Iliade. Li Achille è l’eroe più
valoroso dell’esercito greco. La sua potenza in battaglia è eccezionale. La sua
agilità nei combattimenti è ricordata dall’espressione “piede veloce” (πόδας ὠκὺς,
pódas okùs), che puntualmente gli viene accostata. La sua violenza lascia
costernati, quando attacca il cadavere di Ettore al suo carro e lo trascina
attorno alle mura di Troia per tre volte.
Eppure c’è
un passo dell’Iliade che lascia sorpresi. Achille, il guerriero, è colto
nell’atto di suonare la cetra e di cantare, chiuso nella sua tenda. Si tratta
di versi straordinari, ricchi di una poesia che solo Omero riesce a creare.
Scopriamoli insieme.
L’antefatto:
Achille e la guerra di Troia
Achille era
il re dei Mirmídoni, una popolazione della Grecia centrale, nella Tessaglia.
Suo padre era Peleo (da qui la denominazione di Achille ” Pelide “) e suo nonno
Éaco. Quest’ultimo ero nato da Zeus, per cui Achille risultava pronipote del
grande dio. Dal nome del nonno si formò l’appellativo Eacide, con cui Achille
viene chiamato nel passo che andremo a leggere.
Achille
partecipò alla spedizione promossa da Agamennone, re di Micene, contro la città
di Troia, nell’attuale Turchia. La guerra durò dieci anni e l’Iliade ne
racconta uno spaccato di cinquantuno giorni, collocato nell’ultimo anno. Al
centro del poema è il motivo dell’ira di Achille, scoppiata dopo una lite con
Agamennone: quest’ultimo aveva infatti disonorato il re dei Mirmídoni,
sottraendogli la schiava Briseide, che era stata assegnata ad Achille come
“bottino” di guerra. L’iliade si conclude quando Achille depone l’ira, torna a
combattere ed uccide Ettore.
La sconfitta
di Eezíone e la cetra d’argento
Anche la
cetra suonata da Achille nel nostro passo faceva parte di un bottino di guerra.
Nei lunghi anni prima della conquista di Troia, Achille aveva infatti guidato
un’incursione contro una città alleata dei Troiani, Tebe Ipoplacia, chiamata da
Omero “la città di Eezíone”, dal nome del suo re. Si trattava di uno strumento
di grande pregio, bello, ornato e con la struttura in argento.
L’ambasceria
ad Achille
Ma veniamo a
quanto è narrato nel libro nono dell’Iliade. Il momento è drammatico. I Troiani
hanno appena dato un assalto furioso alle truppe dei Greci, che sono arretrate
fino al loro accampamento. Solo la notte aveva impedito che i Troiani
piombassero sulle navi degli Achei (altro nome dei Greci), tirate in secco
vicino alle loro tende.
È buio. Il
morale dei soldati a pezzi. Agamennone propone addirittura di imbarcarsi e di
fuggire. Tutto intorno, nel nero della notte, brillano i fuochi dei Troiani,
pronti a balzare sui Greci appena avesse albeggiato. Alla fine gli anziani, in
un consiglio convulso, decidono di tentare l’ultima carta: convincere a tornare
nella mischia l’unico guerriero in grado di fronteggiare l’impatto troiano,
Achille.
Si muove
così una piccola ambasceria di tre eroi, Fenice, Aiace e Odisseo. Nel silenzio,
costoro si muovono lungo il mare pregando il dio Ennosígeo, ovvero Posidone.
Giunti alla tenda di Achille, lo trovano intento a suonare la cetra e a cantare
gesta di eroi, davanti a Patroclo che lo guarda in silenzio. Ecco i versi di
Omero.
Il testo
dell’Iliade (IX, vv. 182-198)
Mossero
dunque lungo la riva del mare urlante,
molte
preghiere volgendo a Ennosígeo, re della terra,
che
facilmente potessero persuadere il cuor dell’Eacide.
Τὼ δὲ βάτην παρὰ θῖνα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης
Τὼ δὲ βάτην παρὰ θῖνα πολυφλοίσβοιο θαλάσσης
πολλὰ μάλ᾽ εὐχομένω
γαιηόχῳ ἐννοσιγαίῳ
ῥηϊδίως
πεπιθεῖν μεγάλας φρένας Αἰακίδαο.
E giunsero alle tende e alle navi dei Mirmídoni,
E giunsero alle tende e alle navi dei Mirmídoni,
e lo
trovarono che con la cetra sonora si dilettava,
bella,
ornata; e sopra v’era un ponte d’argento.
Questa,
distrutta la città di Eezíone, tra il bottino si scelse;
si dilettava
con essa, cantava glorie d’eroi.
Patroclo
solo, in silenzio, gli sedeva di faccia,
spiando
l’Eacide, quando smettesse il canto.
Μυρμιδόνων δ᾽ ἐπί τε κλισίας καὶ νῆας ἱκέσθην,
Μυρμιδόνων δ᾽ ἐπί τε κλισίας καὶ νῆας ἱκέσθην,
τὸν δ᾽ εὗρον
φρένα τερπόμενον φόρμιγγι λιγείῃ
καλῇ δαιδαλέῃ,
ἐπὶ δ᾽ ἀργύρεον ζυγὸν ἦεν,
τὴν ἄρετ᾽ ἐξ
ἐνάρων πόλιν Ἠετίωνος ὀλέσσας·
τῇ ὅ γε θυμὸν
ἔτερπεν, ἄειδε δ᾽ ἄρα κλέα ἀνδρῶν.
Πάτροκλος δέ
οἱ οἶος ἐναντίος ἧστο σιωπῇ,
δέγμενος Αἰακίδην
ὁπότε λήξειεν ἀείδων.
Ed essi avanzarono, in testa il glorioso Odisseo,
Ed essi avanzarono, in testa il glorioso Odisseo,
e gli
stettero innanzi. Balzò su Achille, sorpreso,
con in mano
la cetra, lasciando il seggio dove sedeva;
e Patroclo,
ugualmente, s’alzò come vide gli eroi.
Achille piede
veloce esclamò allora accogliendoli:
«Salute:
ecco guerrieri amici che giungono, ecco c’è gran bisogno;
questi, se
pure sono irato, mi sono carissimi tra gli Achei».
(Trad. Rosa
Calzecchi Onesti, Einaudi).
τὼ δὲ βάτην προτέρω, ἡγεῖτο δὲ δῖος Ὀδυσσεύς,
τὼ δὲ βάτην προτέρω, ἡγεῖτο δὲ δῖος Ὀδυσσεύς,
στὰν δὲ
πρόσθ᾽ αὐτοῖο· ταφὼν δ᾽ ἀνόρουσεν Ἀχιλλεὺς
αὐτῇ σὺν
φόρμιγγι λιπὼν ἕδος ἔνθα θάασσεν.
ὣς δ᾽ αὔτως
Πάτροκλος, ἐπεὶ ἴδε φῶτας, ἀνέστη.
τὼ καὶ
δεικνύμενος προσέφη πόδας ὠκὺς Ἀχιλλεύς·
«χαίρετον· ἦ
φίλοι ἄνδρες ἱκάνετον ἦ τι μάλα χρεώ,
οἵ μοι
σκυζομένῳ περ Ἀχαιῶν φίλτατοί ἐστον.»
Tanta poesia
in pochi versi
Ecco. Dopo
questi versi c’è poco da dire. Un paio di dettagli (“si dilettava con essa,
cantava glorie d’eroi . / Patroclo solo, in silenzio, gli sedeva di faccia, /
spiando l’Eacide, quando smettesse il canto”) comunicano meglio di qualsiasi
descrizione un’emozione precisa. Permettono di immergersi all’improvviso nella
scena. Questo è il pregio della poesia, o meglio di una grande poesia.
Sembra quasi
di sentirlo, Achille, mentre canta pensieroso, pizzicando le corde della cetra.
Nel silenzio di Patroclo che lo osserva immobile. Tutt’intorno, fuori dalla
tenda, l’angoscia dei commilitoni schiacciati dai nemici.
Imparare il
greco antico è essenzialmente un regalo che ci si concede: permette di toccare
senza mediazioni momenti di poesia come questo.
L’importanza
dell’arte nell’antica Grecia
Un’altra
considerazione che possiamo fare riguarda il posto che aveva l’arte nell’antica
civiltà greca.
Il fatto che
Achille canti e suoni la cetra è presentato come del tutto normale. Non ci
viene detto che si tratti di una caratteristica speciale del personaggio
Achille. Anzi, Omero non sente affatto il bisogno di giustificare quel
passatempo, che a noi sembra insolito in un eroe militare. Ve lo immaginate un
generale moderno che la sera, nell’accampamento dell’esercito, si diletti a
cantare e suonare la chitarra?
Semplicemente
l’attività artistica nella nostra civilta ha un’estensione (e molto spesso una
considerazione) molto più ristretta. I re e i capi militari di Omero suonano la
cetra e nessuno si stupisce. Da questa differenza col mondo antico emana un
grande fascino per noi moderni.
Lo strumento
suonato da Achille
Una piccola
nota merita di essere fatta a proposito dello strumento suonato da Achille. Si
tratta della phórminx (φόρμιγξ), strumento musicale a corde. Ne abbiamo
innumerevoli rappresentazioni sulla ceramica greca. La phórminx era l’attributo tipico dell’aedo, cioè del
cantore che, nelle corti aristocratiche, allietava l’uditorio col canto e con
la musica (per esempio raccontando scene dell’Iliade o dell’Odissea).
Evidentemente la cultura musicale non era prerogativa degli aedi, ma faceva
parte della formazione degli aristocratici, certo con esiti non paragonabili a
quelli dei musici di professione.
Musa che
suona la phórminx . Lekythos attico, 440-430 a.C.
Fabio Copani
Dottore di
ricerca in Storia Greca
Insegnante
corsi greco antico per principianti
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