Nell’Antica
Grecia le leggi, la politica, la cultura erano materia degli uomini, mentre le
donne erano relegate al ruolo passivo e domestico che prevedeva la totale
obbedienza al padre e, successivamente, al marito. La donna era priva di gran
parte dei diritti riconosciuti ai cittadini adulti e liberi.
Martina
Tapinassi, Firenze – 18/12/2017
La vita
della donna era scandita prevalentemente all’interno delle mura domestiche,
nella parte interna della casa, detta gineceo (gynaikeîon). Quello di tenere le
donne in casa fu un privilegio delle classi agiate. Se apparteneva ad una
famiglia ricca, la donna controllava gli schiavi mentre svolgevano i lavori
domestici e per il resto del tempo chiacchierava con le sue parenti. Era
permesso loro di uscire solo raramente: le feste religiose erano occasioni per
incontrarsi, ma anche qualche particolare avvenimento della famiglia, come ad
esempio la nascita di un bambino.
Le donne di
condizioni più umili, dovevano invece adoperarsi a preparare i pasti e svolgere
le pulizie, ma non effettuavano le compere, un compito affidato esclusivamente
agli schiavi. Uscire di casa, per loro,
poteva essere una necessità impellente specie quando, rimaste vedove, erano
costrette a trovarsi un lavoro retribuito per il mantenimento della famiglia.
Con lo
sviluppo della democrazia coincise il peggioramento della condizione della
donna. Nelle classi elevate della società ateniese quelle che non erano ancora
entrate in menopausa, furono quasi completamente recluse in casa.
In epoca
ellenistica, gli uomini vedevano ancora nella casa il posto ideale per la
donna, anche se abbiamo molte notizie di attività svolte al di fuori di essa da
parte di signore dell’alta società. Era persino ritenuto poco consigliabile che
le donne ricevessero visite da altre donne.
La casa
Bisogna
soffermarsi a riflettere sul significato che gli antichi attribuivano al
termine oikos, ovvero l’organismo che costituisce la cellula base delle società
greche. Questo termine deriva da oikia “casa” ed è collegato al verbo oikizein
“abitare”. L’oikos rappresentava un insieme di elementi molto ampio: la casa
stessa, il suo contenuto, la terra annessa, il bestiame e il nucleo famigliare.
La donna,
per la logica della società di allora, faceva parte delle ricchezze poiché era
colei che provvedeva alla riproduzione. La casa era fondata sul matrimonio
legittimo e l’eredità era trasmessa solo agli eredi legittimi: ai figli
illegittimi, infatti, era riservata solo la quota del bastardo e non godevano
di nessuno statuto.
La casa, nel
suo complesso, era determinante per la condizione sociale dei cittadini liberi:
infatti per avere un nome bisognava essere riconosciuti dal padre, dalla casa
di appartenenza. I non liberi, nelle società omeriche, non avevano una casa,
non avevano un nome nè un padre.
Se la casa
era importante per determinare un gruppo residenziale, la terra permetteva di
guadagnare un posto nella struttura gerarchica della società. Il possesso di un
lotto di terreno permetteva l’integrazione con la comunità, possederne diversi
significava avere un ruolo di potere. La casa e la terra erano quindi ricchezze
fondamentali per la determinazione dello status sociale.
Sparta e
Atene: due realtà a confronto
La società
spartana era quella che, secondo quanto scrive Senofonte della legislazione di
Licurgo, offriva alle donne libere una situazione più rigida ma meglio
definita. Esse dovevano seguire una dieta quasi esclusivamente a base di
cereali ed era vietato loro il vino.
Il ruolo
essenziale della donna era l’avere figli, solo per questo Licurgo prescrisse
esercizi fisici anche per le donne e furono istituiti agoni di corsa e di forza
dedicati, dove esse potessero gareggiare l’una contro l’altra. Fu permesso loro
di esercitare il corpo non meno di quel che potevano gli uomini. L’allenamento
aveva anche la funzione di irrobustire il fisico delle future madri, ritenendo
che da una coppia forte potessero nascere figli più forti.
A Sparta
vigeva il culto della forza e della volontà quindi la pratica sportiva della
corsa aveva il compito di insegnare alle giovani donne la sofferenza per cui
era essenziale la forza fisica. La parità tra l’uomo e la donna sul piano della
ginnastica e dell’agonistica sembra più parità di un dovere che di un qualche
diritto. L’attività ginnica delle ragazze spartane, globalmente esaltata dai
socratici, era anche oggetto di critiche scandalistiche per la tenuta sportiva
delle atlete e per la promiscuità con i maschi nelle occasioni di gara.
Ad Atene,
invece, la vita era meno rigorosa ma le categorie erano altrettanto chiaramente
definite. Demostene, nelle Orazioni sostiene che le amanti erano tenute per il
piacere, le concubine perché servissero quotidianamente, le mogli perché
procreassero figli ed accudissero fedelmente la casa.
La sfera
sessuale all’interno del matrimonio
Senofonte
indica la temperanza come caratteristica peculiare del padrone di casa che
possa definirsi saggio e prudente. La temperanza dell’uomo e la virtù della
donna sono esigenze simultanee e derivanti dallo stato matrimoniale. La
temperanza dello sposo non deriva dal legame personale che ha con la moglie e
non gli viene chiesta la stessa categoricità nel prestare fedeltà come alla
consorte.
Tuttavia,
nel pensiero greco dell’epoca classica, si trovano elementi di stampo
moralistico che sembrano esigere un’analoga rinuncia ad ogni attività sessuale
esterna al rapporto matrimoniale. Resta comunque difficile individuare
esattamente quali siano i comportamenti sessuali consentiti e vietati al marito
che voglia “condursi bene”.
Certo è che
la sua attività sessuale, una volta sposato doveva subire restrizioni secondo
misura, rientrando infatti in un meccanismo di doveri e responsabilità circa la
sua reputazione, il benessere economico del nucleo familiare ed il suo
prestigio nella città. Si assiste ad una distribuzione non equa dei poteri e
delle funzioni: la temperanza che viene richiesta al marito non ha né gli
stessi fondamenti né le stesse forme di quella che è invece imposta alla donna.
Essa è
sottoposta alla potestà del marito mentre quest’ultimo modera la propria
condotta seguendo la propria volontà di dare una determinata direzione alla sua
vita, di cui è padrone. Pudicizia, fedeltà, rispetto della divisione dei ruoli
e obbedienza, virtù proprie di una figura subalterna, sono esattamente le
qualità richiestele.
Essa non è
altro che un semplice strumento per la procreazione e per la conservazione del
gruppo familiare assicurando all’uomo una discendenza legittima. La brava
moglie non si permette di interessarsi a questioni estranee all’ambito
famigliare, dimostra massimo rispetto per il marito assecondandolo in silenzio
e dimostrandogli sottomissione.
Le eteree
Le uniche
donne veramente libere erano le etèree (ἑταίραι), per alcuni aspetti
assimilabili a cortigiane sofisticate. Oltre a prestazioni sessuali, offrivano
compagnia e spesso intrattenevano relazioni prolungate con i clienti. In
maggioranza ex-schiave o straniere, venivano iniziate alla carriera
dell’impudicizia in tenera età e spesso cambiavano il loro vero nome. Le eteree
dovevano esibirsi in spettacoli musicali e di danza che avevano luogo anche
durante i banchetti. Godevano di libertà esclusive: potevano gestire
autonomamente i propri averi ed uscire di casa a loro piacimento.
La
rappresentazione della donna nell’arte
La scultura
classica propone nuovi canoni di proporzioni della figura umana, concepita come
una costruzione architettonica. La rappresentazione del comportamento eroico
era tuttavia riservata al sesso maschile. Questa preminenza nelle arti
figurative si pone come indizio sicuro dell’orientamento maschile che
caratterizzava la società greca. Quando le donne assumevano l’indipendenza ed
il coraggio caratterizzanti degli uomini, venivano considerate contro natura.
Pur non essendo per nulla escluse dall’arte monumentale esse appaiono in
generale nel ruolo di aiutanti o assistenti.
Una donna
tuttavia, la dea Athena, era celebrata in misura straordinaria nelle arti
visive, sia ad Atene che in tutto il mondo greco; nessun’altra dea, nella
composizione dei frontoni rimasti, occupa un tale rilievo e si trova così
spesso al centro delle facciate degli edifici. La rappresentazione abituale di
Athena la mostra nei panni di una dea-guerriera armata.
Fino alla
metà del IV sec. erano rare nell’arte greca le raffigurazioni di nudo femminile
mentre fin dall’inizio il nudo maschile prevaleva in tutte le forme artistiche.
Motivo in più per capire che nella Grecia del periodo classico l’uomo disponeva
di uno status e di una libertà sociali non accordati alla donna.
LE LETTURE
CONSIGLIATE:
G. Duby-M.
Perrot, Storia delle donne in occidente: L’antichità, vol. 1, Roma-Bari,
Laterza, 1990
S.B.
Pomeroy, Donne in Atene e Roma, Torino, Einaudi, 1978
I. Savalli,
La donna nella società della Grecia Antica, Bologna, Patron Editore, 1983
S. Dagradi,
Sessualità e matrimonio in alcuni scritti di Senofonte, in “Nuova Rivista
Storica”, n. 84, 2000
L. Faranda,
Dimore del corpo: profili dell’identità femminile nella Grecia classica, Roma,
Melteni, 1996
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