Il paese che
si chiama «Buongiorno» dista mezz'ora di macchina da Lecce ed è la porta di una
piccola Grecia nascosta, circoscritta in una manciata di Comuni uno in fila
all'altro. Buongiorno, Calimera: il benvenuto è già contenuto nel nome del
primo paese di questa sorprendete isola linguistica, la Grecìa salentina, con
l'accento sulla i, dove gli anziani parlano un idioma che non è greco moderno e
nemmeno esattamente l'antico: è il griko, perché loro, si raccontano, sono i
veri «ultimi bizantini d'Italia».
di Emanuela Fontana, da Calimera (Lecce)
Gli arrivi
dalla Grecia furono costanti nei secoli, ma le prime testimonianze certe di
colonizzazione risalgono al settimo secolo dopo Cristo. Ed è in quell'epoca che
si è radicata la lingua che sopravvive da milletrecento anni.
Per sentire
questa parlata musicale in cui si trovano tracce della lingua di Erodoto, dove
il cuore è cardia e tu sei esù, bisogna fermarsi nella piazza principale di
Calimera. Davanti al circolo di lettura del paese, in posizione di sentinella
sulle sedie di strada che non si trovano più se non nei piccoli paesi del sud
Italia, gli ultimi griki stanno decidendo se sia già l'ora di giocare a carte o
se sia meglio bere un caffè. Sopra di loro un cielo in movimento. Ammassi di
nuvole giovani corrono in un vento che lava l'aria, e che loro chiamano anemo.
La piazza è
relativamente moderna, ma guardando verso il centro storico si scorge una
sequenza di piccole case bianche. Più in là, file di ulivi e muretti a secco
conducono alle altre enclavi della Grecìa. Mario e Antonio raccontano il loro
bilinguismo particolare: «Quando giochiamo a carte, noi sempre in griko
parliamo. E anche quando ci dobbiamo sfottere». Uso triviale a parte, questa è
la lingua di un grande miracolo, un idioma custodito solo con l'oralità:
parlato dai nonni ai bambini, e da quei bambini ai loro nipoti, armonioso come
nessuno, non assimilabile al greco che ora si parla ad Atene, non traducibile
nell'alfabeto di Omero. Per questo unico al mondo.
Il griko è
stata la prima lingua della vita per la maggior parte dei frequentatori del
Circolo di lettura di Calimera: «A sei anni racconta Mario, emigrato per
trentacinque anni in Svizzera, come tanti paesani in prima elementare non
sapevamo una parola di italiano. I nostri nonni parlavano solo griko. E lo
stesso i nostri genitori. Era una lingua solo parlata. Non si scriveva mai.
L'analfabetismo era al 70-80 per cento». Erano gli anni a cavallo della Guerra.
A scuola «ci sentivamo diversi perché non parlavamo l'italiano. Nelle case del
sindaco e del farmacista era invece proibito parlare il griko. Le maestre ci
dovevano insegnare le lettere con le aste». Le due lingue creavano un abisso
tra le classi sociali e i più piccoli non riuscivano nemmeno a comunicare tra
loro. Nelle scuole si arrivò addirittura a bacchettare sulle dita i bambini a
cui scappava una parola in griko. Mentre adesso sulla tutela della lingua
ellenica di Puglia si imbastiscono leggi e si cercano strade per salvarla
dall'estinzione.
Proprio per
non farla morire, alcuni appassionati sono diventati poeti e cantautori. Il
primo a intuire che quel segreto linguaggio dovesse essere catalogato per farlo
sopravvivere alla modernità fu il signor Vito Domenco Palumbo: nei primi anni
del Novecento girò di casa in casa per trascrivere i principali vocaboli della
parlata degli anziani. La lingua dei bizantini si insegna ora a scuola, ma «in
forma di canzoncine», sospirano i vecchi griki. L'isola linguistica è infatti
inserita tra le minoranze da tutelare dalla legge 482 del '99. E' comunque qualcosa,
o molto più di niente, ma la vera memoria è affidata ai poeti. Come Cici Cafaro
di 94 anni. «L'altra sera alla festa della taranta ha anche cantato!», informa
Tonuccio riferendosi ai festeggiamenti di san Brizio, il patrono di Calimera.
Passano
pochi minuti e si materializza Cici, il poeta contadino. A Calimera le voci,
grike o italiane che siano, corrono veloci, e qualcuno è andato a chiamarlo. Le
sue poesie sono appese negli ospedali di tutta la provincia, si riempie di
orgoglio: a Maglie, a Tricase. A Lecce, i dottori che lo hanno visitato sono
rimasti incantati, e anche nella sala di attesa del medico della mutua non
mancano i versi di Gigi Cafaro. «Le maestre ci dicevano che il griko degrada le
persone ricorda - Ma io ho iniziato a scrivere in tutte e due le lingue. Se
vieni a casa sai quanti manoscritti tengo? Ottanta».
Cafaro il
poeta è riuscito addirittura a gemellarsi da solo con un paese greco, Kalamata.
«La nostra Festa dei lampioni l'ho portata in Grecia. Mi hanno trattenuto là
venti giorni». Sequestrato in terra madre come un figlio restituito dal mare. E
gli scambi continuano sempre: arrivano addirittura pullman da Otranto per le
visite culturali dei parenti di Grecia ai griki salentini.
Nella Casa
museo della civiltà contadina e della cultura grika di Calimera si comprende
qualcosa in più di questo legame di codici espressivi con l'Ellade. Nei
dintorni del paese è stata trovata una Pietra forata, un monolite calcareo con
un foro al centro di 30 centimetri, ora conservato nella piccola chiesa
dedicata a San Vito. La pietra forata era già presente nei culti neolitici come
simbolo dell'utero della terra, dea madre della fertilità, ma è ben radicata
nella tradizione dell'Antica Grecia, dove si trovano esemplari anche a Creta e
a Cipro. Nella chiesa di San Vito tutti i lunedì dell'Angelo gli abitanti di
Calimera e dintorni celebrano i riti pagani dedicati alla fertilità passando
attraverso la pietra sacra al ritmo di canti e balli griki. Vito Bergamo, che
accompagna nella visita al museo, mostra l'album con le foto di Pierpaolo
Pasolini, che venne qui a Calimera per studiare la lingua della Grecia
salentina «quindici giorni prima di morire».
Custode
delle tradizioni e dei suoni bizantini è l'associazione Parco Palmieri di
Martignano, che ogni anno organizza una rassegna di cinema e laboratori. In uno
spot documentario un turista tenta di raggiungere la Grecìa dalla costa con
l'aiuto di un navigatore satellitare che parla griko. Quando arriva, chiede
informazioni a una bambina che gli dice «I don't under stand you». «Non
vogliamo illudere nessuno spiega il presidente, Pantaleo Rielli chi parla griko
é una minoranza. I turisti non devono pensare che arrivando qui, sentiranno
tutti parlare una lingua speciale». La lingua lo è, speciale, ma il griko non è
un prodotto da spacciare come marchio local: piuttosto è una rarità,
un'eccezione linguistica, da proteggere.
L'anomalia
di Calimera e dei paesi vicini è che un idioma antico si è mantenuto vivo nei
secoli nonostante il territorio sia pianeggiante e ben raggiungibile dalle
città, certamente non isolato. Il documentario Evò ce Esù, prodotto da Parco
Palmieri, ha attirato una grande attenzione nei festival nazionali e racconta
perfettamente questo fenomeno. «Qui il griko si è conservato perché gli arrivi
dalla Grecia sono stati continui racconta in Evò ce Esù il direttore del museo
di Calimera, Silvano Palamà - Non arrivavano da conquistatori, ma spesso in
fuga, fino all' ondata di monaci dalla Cappadocia».
Rocco de
Santis è cantautore griko, di Sternatia, il paese dove la lingua greca si può
sentir parlare più frequentemente rispetto ai borghi imparentati. La tradizione
musicale è solida e alimentata continuamente. Chitarra, tamburelli,
filarmonica, gli strumenti più utilizzati.
Rocco sogna
spesso in griko, soprattutto quando nella sua mente si compongono situazioni
familiari. «Mio padre era poeta, in casa si parlava sempre griko». Di suo
fratello Gianni, che con lui componeva e suonava, si diceva che sapesse
trasformare una lingua invecchiata in «parole usate per il presente». «Il griko
è la lingua dell'anima, del cardia», rispondono tutti gli ultimi parlanti
attivi. Ed è questa, più della grammatica, la forza da trasmettere ai bambini
di Grecìa.
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