Sull’isola
greca di Samos, i bambini sono costretti a dormire nei boschi senza alcun
riparo. Nonostante centinaia di milioni spesi per l’emergenza, i campi
d’accoglienza nelle isole dell’Egeo non riescono a garantire una vita dignitosa
alle migliaia di profughi sbarcati sulle coste greche. E i rifugiati siriani,
iracheni e afghani rischiano di passare un altro inverno al freddo.
12 OTTOBRE 2017
Il freddo,
specialmente di notte, comincia a farsi sentire nei centri d'accoglienza nelle
isole greche di Samos e Lesbo. Come già accaduto nell'inverno scorso, nelle due
isole dell’Egeo, i rifugiati sono costretti a vivere in strutture
sovraffollate, stipati in spazi sempre più ridotti e senza un’adeguata
protezione contro le basse temperature. Intere famiglie, soprattutto siriane e
irachene, dormono sul pavimento o dentro tende che non sono in grado di
garantire l’isolamento termico. Nel campo di Moria sull'isola di
Lesbo – l’allarme lanciato pochi giorni fa dall'Alto commissariato Onu per i
rifugiati (Unhcr) – più di 1.500 persone tra cui donne in gravidanza, disabili
e bambini piccoli, non hanno un riparo adeguato.
Nella vicina
Samos, oltre 1.200 rifugiati vivono in condizioni definite “molto difficili”,
altri 300 – continua l'Unhcr – compresi minori non accompagnati, dormono nei
boschi per mancanza di spazio nel campo. Nell'isola greca, distante solo pochi
chilometri dalle coste turche, si trovano infatti più di 3000 persone, ma le
strutture possono ospitarne al massimo 700. Il sovraffollamento preoccupa anche
nelle isole di Chios, Leros e Kos, visto l’aumento degli sbarchi avvenuto in
settembre. Una situazione che rischia di ripetere il dramma vissuto lo scorso
inverno, quando a Lesbo la neve e il freddo provocarono la morte di tre
persone. Da agosto, l'Unhcr sta progressivamente riducendo il suo impegno nelle
isole dell’Egeo, sostituita dalle autorità greche che dovrebbero assicurare la
maggior parte dei servizi ai profughi, dopo le assicurazioni del governo di
Atene e della stessa Unione europea sull'aumento delle capacità d’accoglienza
nei campi.
Dove sono
andati a finire i soldi per i profughi?
Dal 2015,
quando iniziò l’esodo di disperati in fuga dalla guerra, sono arrivati in
Grecia oltre un milione di persone. Il picco degli sbarchi nelle isole che si
affacciano alla Turchia avvenne proprio due anni fa, quando arrivarono più di
800.000 profughi. La foto del piccolo Aylan Kurdi, morto affogato nel tentativo
di raggiungere le coste greche, smosse le coscienze di tutto il mondo. Da
allora, un fiume di denaro si è riversato verso il Paese ellenico per
fronteggiare l’emergenza. Donazioni private e, soprattutto, fondi stanziati
dall'Unione europea. Secondo Refugees Deeply, un progetto media online, si è
trattato della risposta umanitaria più costosa della storia. Dall'inizio del
2015, la Commissione europea ha assegnato oltre 352 milioni di euro per sostenere
le autorità greche, le organizzazioni internazionali e le Ong che operano nella
gestione della crisi umanitaria dei rifugiati. Il finanziamento si aggiunge ai
509 milioni già erogati alla Grecia attraverso il Fondo per l’Asilo, la
migrazione e l’integrazione (Amif), che ha contribuito con 294,5 milioni, e il
Fondo per la sicurezza interna (Isf), il cui apporto è stato di 214,7 milioni.
Risorse finanziarie che dovrebbero essere usate per la protezione dei rifugiati
e per garantire le frontiere greche, considerate i confini esterni dell’Unione
europea.
Bruxelles,
inoltre, ha adottato dal marzo del 2016 un’altra via di finanziamento per
l'emergenza umanitaria in Grecia, l’Echo (European Civil Protection and
Humanitarian Aid Operations). Nel luglio del 2017, attraverso questo canale, la
Commissione europea ha stipulato contratti per 401 milioni di euro con le
principali agenzie umanitarie (Unhcr, Iom, Unicef, ecc.) per il sostegno
urgente ai rifugiati in Grecia. Secondo quanto si legge in un documento diffuso
da Echo, “il finanziamento ha permesso la fornitura di assistenza sanitaria
primaria, migliori condizioni igieniche e la costruzione di alloggi temporanei
per le persone in difficoltà”. “I progetti finanziati – continua il documento –
hanno garantito anche la fornitura di alimenti e di altri elementi essenziali
come sacchi a pelo, coperte e articoli per l'igiene personale”.
Nel
complesso, l'Unione europea ha mobilitato oltre 1,3 miliardi di euro (fino al
2020) per aiutare la Grecia a gestire i profughi e garantire le frontiere
esterne. Bruxelles, infine, attraverso il programma Estia (Emergency Support To
Integration & Accommodation), ha finanziato l'Unhcr con 93,5 milioni perché
provvedesse all'alloggio di 22.000 profughi, di cui circa 2.000 nelle isole,
portando così fino a 30.000 i posti letto disponibili entro la fine del 2017.
Un ulteriore progetto da 57,6 milioni dovrebbe garantire – sempre attraverso
l'Unhcr – l’erogazione di una carta prepagata con cui ogni migrante potrà
acquistare cibo, medicine e biglietti dei trasporti pubblici. Il rimanente
andrà alle Ong per completare i progetti esistenti per poter affrontare i
bisogni umanitari più urgenti, tra cui assistenza sanitaria, supporto
psico-sociale, migliori condizioni igieniche e istruzione.
Di fronte a
queste ingenti risorse finanziarie è lecito chiedersi come le strutture nelle
isole greche adibite all'accoglienza si stiano dimostrando così
impreparate a gestire l’arrivo di alcune migliaia di profughi. Secondo quanto
riportato da Refugee Deeply, la risposta l’ha data un funzionario di Echo: per
ogni 100 dollari spesi in Grecia per i profughi, almeno 70 vanno persi. Loic
Jaeger, responsabile di Medici senza frontiere in Grecia, riferendosi a quanto
accaduto lo scorso inverno, parlò apertamente di fallimento. "Esiste la
volontà, visto che c'è una quantità enorme di denaro, di cercare di presentare
la situazione come se andasse tutto bene. Ma non è così. Che cosa si sta
facendo con tutti questi soldi? Chi sta controllando? Dov'è la trasparenza? C'è
una discrepanza tra ciò che viene sostenuto e la realtà".
L'accordo
con la Turchia per fermare i profughi
Da quando è
stata chiusa la rotta balcanica e dopo l’accordo tra Unione europea e Turchia,
firmato il 20 marzo 2016, che prevede tra le altre cose di rimandare indietro i
profughi a cui è stato negato il diritto d’asilo, il flusso di rifugiati
sbarcati sulle isole greche è cominciato gradualmente a diminuire. Secondo gli
ultimi dati diffusi dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati, a settembre
sono arrivati in Grecia via mare quasi 5000 persone portando a oltre
20.000 il numero dall'inizio dell’anno. Di questi quasi il 60% sono donne e
bambini. Niente a che vedere con il 2016 quando furono più di 173.000 i
disperati in fuga da guerre e persecuzioni a cercare protezione. O l’enorme
afflusso degli oltre 800.000 arrivati due anni fa.
Il
fallimento della distribuzione dei migranti nei Paesi europei
Per evitare
inutili sofferenze alle migliaia di persone che si trovano nei campi
d’accoglienza, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha chiesto al governo
greco di provvedere quanto prima alla fornitura di coperte, sacchi a pelo,
materassi e abiti adatti ad affrontare il freddo. Ma a fallire non è solo la
protezione dei profughi: il ricollocamento dei richiedenti asilo negli altri
Paesi europei procede con il contagocce. A ottobre, poco più di 20.000 persone
sono state trasferite in altri Paesi membri dell’Unione europea. Mentre la
violenza in Siria, Iraq o Afghanistan non si placa, il destino di oltre 63.000
rifugiati intrappolati in Grecia rimane incerto.
Sotto un tendone, divisi solo da una coperta: la situazione dei profughi nell'isola di Lesbo. Il video qui:
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