Pindaro,
vissuto nel VI secolo a.C., è il poeta lirico greco di cui ci è pervenuto il
maggior numero di opere. La sua poesia è legata alla celebrazione degli agoni
sportivi, ma soprattutto dell’élite aristocratica del suo tempo.
Serena Di Salvatore, 5 aprile 2018
La fama del
suo stile poetico è legata ai proverbiali “voli pindarici”, che però, come
vedremo, sono stati spesso valutati troppo frettolosamente.
La vita di
Pindaro: tra viaggi e prodigi
Dalle
biografie antiche di Pindaro veniamo a sapere che il poeta nacque a
Cinoscefale, presso Tebe e successivamente studiò ad Atene. Raggiunse poi il
culmine del suo successo in Sicilia, presso le corti di Ierone di Siracusa e
Terone di Agrigento.
Alcune fonti
antiche riportano anche notizie molto fantasiose sulla vita di Pindaro. Tra di
esse il racconto di una vera e propria iniziazione poetica. Si dice che da
giovane, mentre era a caccia sull’Elicona, Pindaro si addormentò e sulla sua
bocca si posarono delle api, che vi costruirono un nido, ad indicare la
dolcezza dei suoi versi. Una Vita bizantina, inoltre, ci informa che Pan si
manifestò al poeta, chiedendogli direttamente di dedicargli un canto.
La ragione
per cui i biografi antichi collegavano a Pindaro simili eventi prodigiosi è da
ricercare nella sua poesia. Da essa traspariva, infatti, una forte religiosità,
interpretata dai biografi come il segno di un rapporto privilegiato con gli
dei. In realtà il costante richiamo alle divinità nei versi del poeta tebano
era richiesto dal genere di componimenti che scriveva.
Gli epinici
di Pindaro
La maggior
parte delle opere pindariche a noi pervenute appartengono al genere
dell’epinicio: un componimento dedicato alla vittoria di un agone atletico.
Abbiamo quattro libri di epinici, ognuno dedicato ad una delle più importanti
feste panelleniche, nel corso delle quali si svolgevano anche gli agoni
sportivi. Tali feste sono le Olimpiche e le Nemee (entrambe dedicate a Zeus),
le Pitiche (dedicate ad Apollo) e le Istmiche (dedicate a Poseidone).
Nell’epinicio
era di primaria importanza l’occasione (kairòs) da celebrare, cioè la vittoria
del committente. La lode si articola in motivi topici: la celebrazione del
vincitore e della sua famiglia, l’esaltazione della sua città e della sua
divinità protettrice. Qui sono inserite spesso digressioni mitiche, a partire
dalla divinità o dalla città nominata dal poeta. Sono frequenti anche delle
brevi massime (gnomai).
Invece non
sono narrate nel dettaglio le gare atletiche: a Pindaro non interessava fare
cronaca sportiva, ma realizzare raffinati componimenti di lode ricchi di
riferimenti al patrimonio mitico ed epico.
Il problema
dei “voli pindarici”
Proprio il passaggio
repentino dalla lode di un personaggio contemporaneo alla rievocazione di un
lontano passato mitico ha fatto parlare di “voli pindarici”.
Tuttavia i
due temi non sono affatto scollegati, in quanto il mito doveva fare da contorno
alla celebrazione del vincitore. Sebbene questo tipo di opera possa sembrarci
non unitario, dobbiamo ricordare che i Greci avevano canoni ben diversi dai
nostri. Infatti nell’epica e nella lirica arcaica le digressioni mitiche sono
frequenti.
Il rapporto
di Pindaro con la divinità
Gli dei sono
rappresentati molto spesso nelle opere di Pindaro. Il poeta li presenta in una
maniera tradizionale, molto vicina all’epos. Infatti li ritiene assolutamente
superiori agli uomini e li appella con gli epiteti già canonici nell’epica.
Nella Pitica
8 Pindaro afferma:
“CHE COSA È
L’UOMO, CHE COSA NON È? È IL SOGNO DI UN’OMBRA. MA QUANDO VENGA CONCESSO IL
RAGGIO DA ZEUS, LUCE BRILLANTE È SUGLI UOMINI E DOLCE COME IL MIELE È LA VITA”.
Proprio da
affermazioni simili derivano probabilmente le tradizioni sul rapporto
privilegiato tra Pindaro e gli dei a cui abbiamo fatto riferimento.
I legami di
Pindaro con l’aristocrazia
Pindaro
instaurò buoni rapporti con membri molto influenti delle élite aristocratiche
greche, in particolare quella tebana, ma anche quella tessala, ateniese e
siracusana.
È celebrato
in vari componimenti l’ateniese Melesia, un educatore di atleti. Egli era un
personaggio controverso in quanto ostile a Pericle e sospetto di collusione con
i Persiani a Maratona. Dobbiamo tener presente, tuttavia, che la scelta
pro-persiana di Tebe giustifica l’accostamento del poeta a Melesia. Inoltre,
soprattutto nei suoi ultimi anni di vita, Pindaro si dimostrò ostile ad Atene.
Fu complicato
anche il rapporto con Ierone di Siracusa. Pindaro compose varie odi in suo
onore, tra cui la Pitica 1, che celebra la fondazione di Etna (470) e la
vittoria di Ierone a Delfi. Tuttavia solo due anni dopo Ierone invitò a
celebrare la sua vittoria ad Olimpia non Pindaro ma Bacchilide, ed i loro
rapporti si chiusero.
La
musicalità dei carmi di Pindaro
La maggior
parte delle opere di Pindaro rientra nel genere della lirica corale. Quindi i
carmi erano cantati, accompagnati da musica e danza, nel corso di celebrazioni
pubbliche. La perdita della musica antica ci impedisce di godere a pieno dei
carmi pindarici, ma la metrica e la scelta del lessico ci fanno immaginare le
grandi qualità musicali di queste opere.
Secondo
alcuni studiosi, però, la sintassi complessa del poeta tebano non era facile da
seguire con l’accompagnamento di musica e danza. Si è ipotizzato, perciò, che
esistesse una seconda destinazione degli epinici. Si tratta di esecuzioni
private al cospetto della famiglia del committente, esecuzioni monodiche in cui
la musica faceva solo da sottofondo e mancava la componente della danza.
Bibliografia:
Canfora L.,
Storia della letteratura greca, Roma – Bari 2013 (1a ed. 2001).
Gallo I.,
Una nuova biografia di Pindaro (POxy. 2438), Salerno 1968.
Rossi L. E.
– Nicolai R., Storia e testi della letteratura greca, vol. 1, Milano 2013 (1a
ed. 2002).
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου