Disprezzati per i loro costumi ma anche
ammirati per il valore guerriero, i barbari sono sempre stati al centro
dell’interesse dei popoli cosiddetti civilizzati, dai quali sono stati visti in
modo differente nelle diverse epoche, come ci spiega bene il libro che qui si
presenta, scritto da Dumezil, col contributo di altri studiosi francesi.
Ed invero, anche se il barbaro
rappresenta un potenziale nemico, non costituisce l’orrore assoluto, venendogli
comunque riconosciuta qualche qualità fisica o militare, senza la quale le
vittorie conquistate non avrebbero alcun merito.
Partendo da questo dato indiscutibile,
dall’essere cioè il barbaro una entità polimorfa, nel volume si indaga la
storia dei popoli che la tradizione ha definito barbari, cercando di chiarire
il tipo di logica e di rappresentazioni che sono alla base di tale tradizione,
nella quale – si badi bene – il trionfo ottenuto contro i barbari costituisce
elemento ricorrente della legittimazione del potere in atto.
La maggioranza delle informazioni
presentate nel libro riguarda l’epoca antica e medievale, ma è stata analizzata
anche la costruzione del concetto di barbarie nel mondo moderno e
contemporaneo, in modo da mettere in luce l’importanza degli stereotipi e
comprendere le variazioni e le diverse utilizzazioni di cui questo termine è
ancora oggetto.
A inventare il termine “barbari”, col
quale designavano a livello collettivo tutti i non greci, sono stati proprio i
greci, che peraltro non si sono limitati a questo, avendoli continuamente
descritti e rappresentati, celebrando tutte le vittorie ottenute contro di
essi, poiché già a partire dal V secolo l’antagonismo tra ellenismo e barbarie
costituiva un elemento centrale dell’identità greca.
La dicotomia greci-barbari si rivela,
comunque, più complessa di quanto non si possa credere. Già agli albori, la
frontiera tra greci e barbari era associata alla educazione e alla cultura più
che alla nascita, una concezione che permette di capire come i greci possano
“barbarizzarsi” e alcuni barbari siano in grado di ellenizzarsi. A tal punto i
greci rimasero fedeli a questa idea, da inventare, nel I secolo, origini
squisitamente greche ai romani, così da farli emergere dalla categoria dei
barbari in cui li avevano classificati. Anche nel mondo romano la “frontiera”
era in continuo movimento, col barbaro che non solo aveva un ruolo nella
definizione dell’identità romana, ma poteva rappresentare persino un modello o,
per lo meno, un personaggio positivo, come nella Germania di Tacito, in un
contesto che comunque mai metteva in discussione la dominazione romana.
Nei secoli VI e VII, il termine barbaro
è utilizzato raramente. Progressivamente, l’alterità vera e propria viene
definita dall’elemento religioso, sicché i nuovi barbari non erano affidabili
perché non aderivano alla vera religione. Quasi del tutto scomparso dalla
retorica occidentale nel XIII secolo, il barbaro ritorna sulla scena a partire
dal rinascimento. Passati nazionali, conflitti europei e territori coloniali
costituiscono un nuovo campo in cui, in connessione a tematiche antiche, viene
reinventata la nozione di barbaro.
Nel corso del XVIII secolo, poi, gli
storici e i filosofi francesi valorizzano il periodo della fine dell’antichità
e dell’alto medioevo come un momento in cui i rapporti tra barbari e
gallo-romani ebbero un ruolo fondamentale per gettare le basi delle istituzioni
politiche.
Nel XIX secolo, parallelamente alla
comparsa di un certo fascino esercitato dai barbari, collegato alla diffusione
dell’idea di democrazia, l’appellazione tardo-antica di barbaro è confermata
dagli storici per connotare i popoli conquistatori esogeni all’impero romano
del III-VI secolo e si ritrova sempre più diffusamente nelle loro opere, tranne
nella lingua tedesca.
Poi ci sono state le divagazioni
razziste, inizialmente finalizzate a teorizzare la superiorità dell’Europa per
giustificare la colonizzazione, in seguito sfociate nelle aberrazioni teoriche
del Terzo Reich.
Di certo, le rappresentazioni dei
barbari, nei secoli XIX e XX, dipendono anche dall’utilizzazione politica e
sociale del campo semantico della barbarie, che ha talora portato a risultati,
tutti da dimostrare, come quello della donna barbarica guerriera espressione di
una femminilità indipendente, che il cristianesimo avrebbe poi soffocato.
In definitiva, possiamo dire che pochi
concetti sono stati così relativi come quello di barbaro. Trattando
dell’argomento, Montaigne se la cavò sostenendo nei suoi “Saggi” che ”ognuno
definisce barbarie ciò che non appartiene ai suoi usi e costumi”, ma,
riferendosi ai popoli del nuovo mondo, concluse che gli antropofagi erano più
virtuosi degli europei, poiché era meglio cibarsi dei morti che torturare i
viventi. Il che equivale a dire che barbaro non è o non è sempre colui al quale
comunemente si pensa.
I barbari di Bruno Dumézil, edizioni LEG, Gorizia, 2017, pp.103, euro 14.Recensione di Roberto Tomei
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