L’osservazione e il fascino della volta celeste ha
influenzato enormemente le antiche civiltà di tutto il mondo; dai babilonesi ai
greci, dai romani ai celti, dagli egizi agli aztechi.
Cecilia Fiorentini, 20 04 2018
Questo proiettare gli
occhi al cielo diede origine alla cosmogonia. I babilonesi, a partire circa dal
1.200 avanti Cristo, furono tra i primi popoli, dall’alto delle loro celebri
ziqqurat, a scandagliare il cielo notturno alla ricerca di nuovi astri da
osservare. Eruditi e sacerdoti dell’epoca capirono ben presto che il Sole e
Luna non erano i soli globi luminosi ad abitare il grande blu sopra di loro.
Il cielo notturno nascondeva migliaia di altri giganti,
non vicini quanto i due sopracitati, ma ben visibili a occhio nudo. Attribuendo
significati mistici ai pianeti che osservavano con tanta attenzione, le caste
sacerdotali diffusero le loro teorie e idee in merito alla loro presunta
natura. Nacquero così le storie di quei misteriosi corpi luminosi, ritenuti
divinità, e i loro nomi, che ben presto finirono per influenzare le culture del
loro popolo e di tanti altri in tutto il continente euro-asiatico.
Sotto, i nomi dei pianeti nelle culture antiche:
Di lì a poco, nacquero le prime forme di astrologia;
sacerdoti incaricati erano in grado di predire, a grandi linee, il fato dei
loro consultanti basandosi sulla posizione dei pianeti e delle stelle in quel
momento, e di ritenere se gli dei erano a loro favore o sfavore. I babilonesi
influenzarono grandemente gli antichi greci o romani; molti dei loro più grandi
condottieri non muovevano uno solo dei loro soldati senza aver prima consultato
la posizione di Marte, oppure Giove, nel caso di importanti diplomatici.
Allo stesso modo, una donna avrebbe osservato Venere
prima di gettarsi fra le braccia di un amante. Tuttavia, non tutte le civiltà
subirono il fascino degli astri celesti o gli attribuirono natura mistica;
nell’antichità, agli ebrei era vietato praticare l’astrologia da parte di
alcune autorità religiose, sebbene nella Torah non vi fosse nessuna proibizione
esplicita.
Forse intimoriti dall’immensità sopra i loro capi, i
popoli antichi cercarono di riempirla di storie e di eroi coi quali
confrontarsi e da cui sentirsi protetti. La Terra stava vivendo il fiorire
della civiltà, e, come ogni alunno, necessitava di mentori e figure protettive.
I greci stabilirono un sistema di dodici costellazioni, ognuna governata da un
segno zodiacale che avrebbe influenzato la nascita dei nati sotto di esso.
Mentre i pianeti erano ormai legati a “vere e proprie”
divinità, le costellazioni facevano capo a figure di natura leggendaria
Esaminiamo il caso della costellazione dei Gemelli; le
due stelle, Càstore e Pollùce (conosciuti anche come Diòscuri), erano
considerati i figli gemelli di Zeus e Leda, una mortale sedotta dal dio. I due
fratelli si unirono agli Argonauti e a Giasone alla ricerca del Vello d’Oro.
Nonostante fossero entrambi figli di Zeus, Càstore era mortale. Ucciso in uno
scontro, Pollùce supplicò Zeus di riportarlo alla vita. Così fu, ed entrambi
divennero immortali. Essi furono trasferiti nel cielo come Alfa e Beta
Geminorum due delle stelle più luminose della costellazione.
Le due stelle divennero care ai marinai e ai pescatori, i
quali le consideravano di buon auspicio. Inoltre, grazie a un fenomeno
atmosferico chiamato “Fuoco di Sant’Elmo” (scarica elettro-luminescente
generata dalla ionizzazione dell’aria generata dai temporali), a loro
ovviamente sconosciuto, essi credevano che i Gemelli apparissero sugli alberi
delle loro navi per salvarli durante le tempeste.
Più distanti culturalmente e geograficamente, i cinesi si
dedicarono anch’essi allo studio e alla mistificazione della volta celeste; uno
dei loro miti più famosi (la versione più antica risale a circa 2600 anni fa) e
dall’aura malinconica è quello di Altair e Vega, (insieme a Deneb sono le tre
luminose stelle che formano il “Triangolo Estivo”, un gruppo di stelle situato
nell’emisfero settentrionale durante i mesi estivi) divise da quella che oggi
conosciamo con la Via Lattea.
Gli antichi astronomi cinesi, ignari della natura della
Via Lattea (ammasso di miliardi di stelle poco luminose), la consideravano come
un fiume celeste, il quale separava i due amanti, Altair e Vega.
Sotto, il Triangolo Estivo come appare in Autunno (immagine
di pubblico dominio):
Esistono molte varianti della storia, ma la seguente
sembra essere la più datata; Altair era considerato come un mandriano, Niulang,
e Vega come una tessitrice, Zhinü, sua amante. Sebbene i due amanti mortali
fossero riuniti in cielo, una divinità cinese dell’epoca, la Madre dell’Ovest,
infastidita dal loro rapporto, disegnò tra loro una linea, un fiume appunto, al
fine di separarli per sempre. Tuttavia, essi potevano ricongiungersi un solo
giorno all’anno. (Durante questa data, in Giappone, si festeggia il “Tanabata”,
settima notte, equivalente della ricorrenza cinese “Qīxī”).
Altra leggenda che vede mortali proiettati tra le stelle,
è la celebre vicenda delle Sette Sorelle, le Pleiadi. Visibili tramite un
binocolo o col telescopio, le Pleiadi sono sette delle centinaia di stelle di
un ammasso aperto, che l’astronomo francese Charles Messier, nel XVIII secolo
classificò nel suo catalogo come “M45”. Sebbene le Pleiadi siano sette, solo
sei solo visibili a occhio nudo, ma in eccellenti condizioni di oscurità.
Non tutte perfettamente visibili a occhio nudo, rimane
dunque un piccolo mistero come alcune antiche culture, in più paesi, abbiano
potuto osservarle e descriverle come sette, e non sei. Altri popoli, come i
cinesi, i giapponesi, gli aborigeni o i nativi americani, le consideravano
invece come sei donne. Ma il mito più significativo rimane quello di origine
greca. Le fanciulle erano le figlie di Atlante e Pleione; i loro nomi erano
Alcione, Celeno, Elettra, Maia, Merope, Asterope (o Sterope) e Taigete. Secondo
la leggenda, Orione, il cacciatore, le aveva inseguite per tutta la terra, al
fine di renderle sue amanti.
Sotto, Le Pleiadi, opera di Elihu Vedder, 1885 (immagine
di pubblico dominio)
Gli dei, mossi dalla compassione, decisero di mutare le
fanciulle in colombe, e da lì la loro comparsa nei cieli notturni. Tuttavia,
Merope era l’unica di loro a non aver giaciuto con una divinità, ma ad essere
sposata con un mortale, l’astuto Sisifo, noto dannato dell’inferno. Per la
vergogna, la sorella lasciò le altre sei, e per questo si diceva che Merope
fosse la meno luminosa delle sette stelle. In altri miti, come quello Hindu del
V secolo avanti Cristo, le sette stelle erano associate alla costellazione
dell’Orsa Maggiore, le cui stelle erano considerate dei saggi, chiamati Rishis,
e le Pleiadi come le loro mogli, chiamate Krttika.
Per gli Inca, invece, le sette stelle non erano entità
viventi, ma gli occhi della divinità del tuono, Viracoha. Infine, la stelle più
luminosa di tutte, il Sole. Essa era associata quasi sempre alla divinità più
importante o comunque a eroi di grande rilievo. Per gli antichi egizi, il dio
Sole era Ra, il quale, a bordo del suo vascello, attraversava il cielo da est a
ovest. Per i greci era Apollo (che soppiantò Helios in alcuni casi), che col
suo cocchio condotto da cavalli attraversava il cielo diurno allo stesso modo
di Ra.
Apollo è stato simbolicamente raffigurato come un sole
splendente sulla toppa delle tute degli astronauti della missione NASA Apollo
13. Questa era diretta verso la Luna, ma divenne famosa per il suo fallimento.
Sotto, il logo della missione diretta sulla Luna dell’Apollo 13. Vi è
rappresentato Apollo, il dio del Sole della mitologia greca.
Sebbene oggi i pianeti e le stelle più vicine non siano
tanto misteriosi quanto lo erano in passato, esercitano comunque un fascino e
un’attrazione unici, che portano miliardi di occhi a osservare con meraviglia
le stelle presenti nei cieli.
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