Insegna loro inglese, greco ma anche educazione sessuale
e basket. Ha trovato la sua strada nei diritti umani. Il suo obiettivo? «Fare
in modo che i bambini tornino a sentirsi bambini».
Enrico Galletti, 15 aprile 2018
In fondo alla classe, dietro gli ultimi banchi del campo
profughi, c’è un cartello: «All children have a right to an education» («Tutti
i bambini hanno diritto a un’educazione»). E in fondo questa è la vera missione
di Nicolò Govoni, 25 anni, originario di Cremona. Un compleanno movimentato, il
suo, il peggiore degli ultimi anni. Un naufragio nell’Egeo che invece delle
candeline si è portato via i fratelli di alcuni suoi bambini, quelli con cui
oggi passa le giornate, con i ricordi di Cremona – il liceo Manin, l’esame di
maturità e quel biglietto di sola andata per il mondo – che continuano a fare
da sfondo. La scelta di partire dopo il liceo. Prima l’India, con la laurea in
giornalismo e il sogno, raggiunto, di fondare un orfanotrofio. «In Italia ho
fallito – racconta -, ancora e ancora. Sentivo i miei insegnanti dirmi che non
sarei andato da nessuna parte». Da pochi mesi l’approdo nel campo profughi di
Samos. Lì, Nicolò, i sogni in tasca e il portafoglio vuoto, ha trovato la sua
strada: una vita a sostegno dei diritti umani, là dove il mondo finisce e il
bisogno di ritornare alla normalità si fa ogni giorno più intenso.
L’arrivo a Samos
Il lavoro con i piccoli profughi
I «fratelli» di Nicolò sono 22, vengono da Siria,
Afghanistan, Iraq e Palestina. Nelle orecchie portano il rumore delle bombe.
Sono i bambini a cui fa lezione ogni giorno, con un programma educativo che
prevede ore di inglese, greco, geografia, ma anche sport e educazione sessuale.
La settimana scorsa il giovane volontario ha portato i suoi «fratelli» dal
dentista, perché «l’obiettivo – spiega – è quello che i bambini tornino a
sentirsi bambini». Govoni ha cambiato vita, vive di elementi essenziali, «al di
fuori del campo non c’è alcuna vita».
«Qui peggio della Siria»
Certi ricordi non possono essere cancellati. «Se chiudo
gli occhi rivedo il giorno di quella sommossa, il mio benvenuto in questa
terra. Un gruppo di persone, nella notte, ha spaccato gli alloggi dei miei
bambini. Un ragazzino il giorno dopo tremava. Mi ha guardato e ha detto: “Qui è
peggio della Siria”. Una pausa di silenzio e quella confessione che torna a
fare rumore: “A mia madre, al telefono, dico che va tutto bene. Ha speso tutti
i suoi soldi per pagarmi il viaggio. Se le dicessi che qui rischio ancora di
morire le verrebbe un colpo”».
La mamma lo segue da Cremona
La famiglia di Nicolò lo segue da Cremona, dove non torna
da quattro anni. Sua madre Cristina continua a sperare che un giorno torni a
casa. Ce lo racconta facendosi forza. «Le cose meravigliose che fa ogni giorno
il nostro Nicolò ci rendono sopportabile la sua assenza». Il desiderio di
Govoni di fare del bene supera la distanza. «Nella mia classe c’è un bimbo
vittima di abusi. Ho inviato un report al governo greco perché intervenisse, ma
hanno ignorato gli abusi fisici ricevuti dal bambino e di conseguenza anche la
mia richiesta». Nicolò ha scritto un libro perché queste situazioni non vengano
ignorate, perché non si disperdano, negli occhi di chi ha visto la guerra, di
chi non si è arreso, mettendosi alla ricerca della vera felicità. «Un giorno,
andando a letto dopo una giornata circondato dai bambini, ho realizzato di non
essere solo in questa grande missione. Se è vero che l’infanzia è un diritto di
tutti, non arrendiamoci: c’è ancora molto lavoro da fare».
Enrico Galletti
@e_galletti
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