Raffaello, Apollo e le
Muse, © Foto Scala Firenze
Il mito è
popolato di musica. Ad Apollo, dio dell’ispirazione poetica, e alle Muse, che
sovrintendono alle arti e alle scienze, sono solitamente attribuiti strumenti
musicali. Molte le gare musicali che coinvolgono dei e personaggi del mito:
famose quelle tra Apollo e Marsia e tra Tamiri e le Muse. Altri racconti
mettono in rilievo la forza della musica che ammalia e incanta, come quelli in
cui protagonisti sono Orfeo o le Sirene; o la capacità di alcuni strumenti,
quali aulos e timpano in contesti dionisiaci, di suscitare la trance.
di Daniela Castaldo
Apollo e le
Muse
Nel mondo
greco la musica ha un ruolo primario in numerosi episodi del mito: tra le
divinità del pantheon, però, solo Apollo, dio della divinazione e della poesia,
ha con essa un legame diretto e privilegiato. Nei testi e nelle immagini il dio
compare, oltre che come arciere vendicatore, anche come musico che, suonando la
cetra, allieta il corteo nuziale durante le nozze di Peleo e Teti o di altre
coppie divine; o prende parte a momenti particolari del mito come la nascita di
Atena che, armata di tutto punto, salta fuori dalla testa di Zeus.
La presenza
prima della cetra, e più tardi della lira, a sottolineare l’aspetto di Apollo
come dio dell’ispirazione poetica, deriva dal fatto che, almeno fino a tutta
l’età classica, i testi poetici sono eseguiti con l’accompagnamento di uno
strumento a corde.
L’epiteto Musagete,
con cui spesso viene indicato Apollo, sottolinea il suo ruolo di “guida delle
Muse”, un gruppo di divinità femminili figlie di Zeus e Mnemosine (la memoria)
dal cui nome deriva il termine mousike, “arte delle Muse”, che comprende il
canto, la musica e la danza.
In origine le Muse erano un gruppo indistinto di divinità femminili che risiedevano sulle pendici del monte Elicona ed erano genericamente associate alla musica e al canto: nel corso del banchetto degli dèi descritto nell’Iliade, I, 603; 24, 63, Apollo accompagna la danza e il canto delle Muse al suono della phorminx, un antico tipo di cetra. Nelle immagini esse compaiono in numero variabile, spesso sedute su una roccia, con in mano strumenti musicali, lira, barbitos, aulos e syrinx, talora mentre si accingono a leggere testi poetici scritti su rotoli di papiro. Solo a partire dall’età ellenistica si definiscono in un gruppo di nove, ciascuna delle quali sovrintende a una determinata attività artistica o scientifica. Alcune fonti più tarde indicano le Muse come protagoniste di famose sfide canore: Ovidio racconta come vennero sfidate dalle Pieridi che, vinte, furono poi trasformate in gazze (Metamorfosi, 5, 294-678). Pausania, nella descrizione di una statua di Era nel tempio a lei dedicato a Coronea (Periegesi della Grecia, 4, 34, 3), racconta come le Sirene siano state convinte da Era a sfidare le Muse in una gara canora e come poi, avendo esse avuto la peggio, le Muse abbiano tolto loro le piume facendosene corone (Maurizio Bettini, Luigi Spina, Il mito delle sirene, 2007, pp. 59, 62-64). Anche la sfida con il cantore tracio Tamiri rappresenta un altro esempio di superbia punita (Apollodoro, Biblioteca, 1, 3, 3): distinguendosi per la bellezza e per l’abilità nel suonare la cetra, questi infatti sfida le Muse in una gara musicale dopo aver stabilito che, in caso di vittoria, si unirà con ognuna di loro; se perdente, invece, esse lo priveranno di ciò che vogliono.
Risultano
superiori le Muse che, adirate, lo rendono cieco e “gli levano dalla mente
l’arte della cetra” (Iliade, II, 600). Come si può leggere nel commento di
Gostoli (2006) a questo passo dell’Iliade, in Grecia, come presso altre culture
antiche, la cecità è connessa alla capacità di cantare e rappresenta la
condizione perché gli dèi concedano agli uomini l’ispirazione poetica e
l’eccellenza nel canto. In questa prospettiva, la punizione di Tamiri risulta
particolarmente significativa, perché egli diventa cieco e allo stesso tempo
privo della memoria che gli permette di ricordare le musiche e i testi dei
canti nei quali eccelle.
Nelle
immagini il cantore compare con un tipo particolare di cetra, con i bracci
dalla caratteristica forma arrotondata, definita “cetra di Tamiri” o “cetra
tracia” proprio perché essa è solitamente attribuita a musicisti di origine
tracia come Tamiri e Orfeo.
Orfeo e le
Sirene
Uno degli
aspetti relativi all’espressione poetica e alla musica che l’accompagna che
viene messo maggiormente in rilievo dalle fonti antiche riguarda la sua
capacità di ammaliare e catturare l’uditorio con una forza quasi magica. Questo
potere particolare viene attribuito, tra gli altri, al canto delle Sirene, le
mitiche figlie di Acheloo e Melpomene, metà donne e metà uccello, che col loro
canto attirano i marinai delle navi che passano accanto all’isola nella quale
abitano e li divorano. Secondo Apollodoro, si chiamano Pisinoe, Aglaope e
Telsiepia, e una di esse suona la cetra, la seconda canta e la terza suona
l’aulos (Epitome, 7, 18). Odisseo, per resistere al loro “limpido canto”, si fa
legare all’albero maestro della nave dopo aver riempito di cera le orecchie dei
suoi compagni (Odissea, XII, 184-189).
Citaredo per
eccellenza nella Grecia antica è Orfeo, anch’egli di origine tracia, come
Tamiri: il mito più noto a lui legato riguarda la sua discesa agli inferi per
riportare in vita la moglie Euridice. Nel mondo greco non vi sono però immagini
che illustrino questo racconto: l’iconografia di Orfeo riguarda altri momenti
del suo mito, ossia il potere ammaliatore della sua musica e la sua morte per
mano delle donne di Tracia.
In un famoso
cratere di Berlino Orfeo canta suonando la lira, seduto su una roccia, in mezzo
a un gruppo di guerrieri traci. Questa iconografia è piuttosto diversa rispetto
a quella che si diffonderà dall’età romana, quella cioè di Orfeo che incanta
gli animali.
Qui, invece,
a subire il fascino della musica sono audaci e forti guerrieri, “barbari”
provenienti dalla lontana Tracia, come si può vedere dall’atteggiamento di uno
dei personaggi rappresentato con gli occhi chiusi, completamente rapito e
affascinato dalla musica. E saranno proprio le doti canore di Orfeo, già capaci
di immobilizzare i feroci guerrieri, a suscitare la violenta aggressione delle
loro donne, dalla quale egli tenta di difendersi brandendo la lira. Le donne lo
uccidono e lo fanno a pezzi, ma la sua testa, come dotata di vita propria,
arriva a Lesbo, e darà luogo all’“oracolo di Orfeo”.
Arione e
Marsia
Sul potere
che la musica esercita sugli animali, Erodoto racconta un’altra storia che ha
per protagonista Arione, “citaredo secondo a nessuno tra quelli del suo tempo”,
che, di ritorno da una tournée in Magna Grecia, accortosi che i marinai della
nave che lo trasportava stanno per aggredirlo, chiede di poter cantare
un’ultima volta. Quindi, indossando il sontuoso costume di scena, prende la
cetra e, dopo aver intonato il nomos orthios, la melodia sacra ad Apollo, si
getta in mare. Un delfino, richiamato dalla bellezza del suo canto, dopo
essersi avvicinato alla nave, lo prende su di sé portandolo in salvo (Storie,
I, 24).
Anche il
ragazzo con la cetra a cavallo di un delfino, rappresentato su alcune monete
brindisine del IV secolo a.C., richiama un mito analogo, quello dell’eroe
Falanto, fondatore della città di Taranto. Pausania (Periegesi della Grecia,
10, 13, 10) racconta che, mentre questi si reca a consultare l’oracolo di
Apollo a Delfi, la sua nave fa naufragio e Falanto è messo in salvo da un
delfino.
Al centro di
un altro importante mito musicale è il satiro frigio Marsia: si narra infatti
che la dea Atena, dopo aver inventato l’aulos, il cui suono ricorda le grida
levate dalla Gorgone morente, lo getta via perché, specchiandosi, si accorge
che nel suonarlo i tratti del suo viso si deformano. Marsia trova lo strumento,
lo raccoglie e impara a suonarlo così bene da vantarsi di poter suonare meglio
di Apollo (Erodoto, Storie, VII, 26). Le Muse, chiamate a giudicare la gara tra
il dio e Marsia, decretano vincitore Apollo; un rilievo da Mantinea (IV sec.
a.C., a cui si riferiscono le immagini di questo paragrafo) illustra i diversi
protagonisti della vicenda: i due contendenti, Apollo seduto su roccia con una
grande cetra e Marsia sul lato opposto, in atto di suonare l’aulos, e uno
schiavo vestito all’orientale, col coltello in mano, che allude al terribile
epilogo dell’episodio, quando Marsia, persa la gara, è scorticato da Apollo. Il
rilevo continua con tre Muse, con doppio aulos e rotolo. Secondo una versione
del mito, Apollo risulta vincitore perché canta mentre suona, cosa che non è
possibile fare con l’aulos: l’esito della contesa ne evidenzia il significato
simbolico, ossia il contrasto tra strumenti a fiato e strumenti a corda; questi
ultimi risultano superiori, perché con l’aulos, con il quale non è possibile
cantare e suonare contemporaneamente, il valore educativo del canto viene meno.
Dioniso e le
Menadi
L’aulos, che
suscita nell’animo le passioni invece di placarle, è considerato al contrario
lo strumento della trance, soprattutto perché è associato a culti di origine
orientale, in particolare quello di Dioniso. “Cantate Dioniso al suono profondo
dei timpani, levate il canto a Dioniso, evoè, […] tra grida e suoni di Frigia,
quando il loto sonoro diffonde sacre melodie, compagne al passo delle Menadi
sfrenate che corrono al monte”Euripide, Baccanti, 155-165. Le voci acute delle
Menadi, il suono stridulo dell’aulos, il grave rimbombo dei timpani e il
martellante crepitio dei crotali: questi sono gli elementi sonori che
accompagnano i ritmi sfrenati delle danze di satiri e menadi del tiaso
dionisiaco. Talora le immagini mostrano Efesto che, fatto ubriacare da Dioniso,
ritorna all’Olimpo per liberare Era, da lui imprigionata per vendetta su un
trono incantato. Lo zoppo dio del fuoco, che incede cavalcando un mulo, è
accompagnato dalla processione dionisiaca di satiri e menadi danzanti, guidata
da un satiro auleta che scandisce il ritmo dell’incedere.
In queste
scene troviamo anche il timpano, una specie di tamburello costituito da una
pelle, tesa su un cerchio di legno o di bronzo, cui talora sono applicati
sonagli o maniglie: secondo Euripide (Baccanti, 120-134), sarebbe stato
inventato in una caverna cretese dai coribanti per coprire i vagiti di Zeus
bambino e nasconderlo così a Crono che voleva divorarlo.
In alcune
scene dionisiache troviamo anche strumenti a corda, in particolare il barbitos,
un tipo di lira di origine orientale usata per accompagnare canti e danze durante
il simposio: probabilmente per questo legame privilegiato con il vino e quindi
con Dioniso, il suo uso viene esteso dalle attività dei mortali a quelle dei
Satiri e delle Menadi del tiaso dionisiaco e, in un solo, eccezionale caso, a
Dioniso stesso.
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