"Il
Dizionarietto di greco - Le parole dei nostri pensieri" del professor
Paolo Cesaretti dell'Università degli Studi di Bergamo e della professoressa
Edi Minguzzi dell'Università Statale di Milano, vuole sfatare i miti attorno
alla lingua greca
Astronomia.
Omofobia. Fantasia. Erotismo. Democrazia. Economia.
Tutte parole
che hanno un gusto moderno, ma allo stesso tempo antico. Parole di tutti i
giorni, ma dall’origine lontana e misterica. Parole, a volte, sconosciute e di
cui ignoriamo il significato, ma con le quali, in cuor nostro, ci sentiamo a
casa.
“Il
Dizionarietto di greco – Le parole dei nostri pensieri” del professor Paolo
Cesaretti dell’Università degli Studi di Bergamo e della professoressa Edi
Minguzzi dell’Università Statale di Milano, edito da pochi mesi da ELS Scuola,
vuole condurre per mano i suoi lettori alla ricerca della nostra comune
origine, della nascita unica dei nostri pensieri e sogni: la lingua greca. Per
cercare di confutare, una volta per tutte, il falso mito e reputazione del
greco come “lingua morta, che neanche i greci ormai parlano più.” Dalla parola
Accademia a Zoologia questo piccolo dizionario tascabile mostra come l’universo
linguistico greco sia il serbatoio concettuale di 3000 anni di cultura
occidentale, come dimostrano anche i neologismi che hanno caratterizzato le
scienze negli ultimi secoli (dalla fisica alla cibernetica, dalla economia alla
psicoanalisi). Per ogni lemma vengono presentati l’etimologia, la fortuna
culturale, gli esiti, spesso paradossali, nella lingua comune, le curiosità,
l’uso, con brevi citazioni di passi greci proposti nell’originale, trascritti e
tradotti.
Paolo
Cesaretti, docente di Civiltà Bizantina e Storia Romana all’Università degli
Studi di Bergamo, ci porta alla scoperta della più formidabile macchina per
pensare: la lingua greca.
Partiamo dal
titolo. “Dizionarietto” è stato scelto per distinguersi dai classici dizionari
greci Rocci e GI?
“Dizionarietto
implica qualcosa di amichevole, tascabile, anche un po’ di ellenistico, per
evitare di incappare in mega biblion mega kakon (grande libro, grande danno).
Nelle nostre scuole abbiamo già grandi dizionari, dal Rocci al Montanari, di
grande valore anche a livello internazionale. Il nostro intento era creare
qualcosa di molto amichevole nei confronti del lettore e la nostra volontà di
amicizia è testimoniata dal fatto che non ci limitiamo a produrre i testi in
lingua greca con la traduzione, ma offriamo anche la trascrizione fonetica, semplice
da leggere, semplificata al massimo. In modo tale che chi non ha mai studiato o
chi non lo ricorda bene possa sentire come suona, con tutta l’armonia e la
melodia che una lingua come il greco porta con sé.”
E il
sottotitolo? “Le parole dei nostri pensieri”?
“Non sono
solo parole delle nostre sensazioni, ma anche, e soprattutto, quelle dei nostri
pensieri. Noi pensiamo usando la lingua ed essa è fatta di tante unità distinte
che sono come dei mattoni che noi usiamo per costruire delle case che sono i
nostri pensieri. Ma non solo, anche quelli di tutto il mondo globalizzato
attuale: dipendono dalla tradizione greca, perché il vocabolario intellettuale,
che ormai è di livello mondiale, nasce comunque da quello greco. Se noi usiamo
correttamente le nostre parole, se noi parliamo la lingua per parlarla e non la
storpiamo per esserne parlati, allora ecco che noi non possiamo non fare i
conti con le parole greche che sono le parole dove i significati si sono
espressi per la prima volta e con il marchio più forte. Anche altrove si sono
espressi pensieri importanti, ma con altre forme, con altre parole all’interno
di altri testi. Non è che il “Ki” della tradizione orientale, espresso in forma
di ideogramma, sia meno importante:
anzi, è importantissima. Ma la nostra tradizione nasce da questo e poiché essa
si è anche esportata, perché parole come cibernetica, organico, cinema,
tassonomia non sono usate solo qua, ma anche altrove nel mondo orientale, è
bene capire da dove provengono.”
Calvino
diceva che un classico è un libro che non ha mai smesso di dire quello che ha
da dire. Vale lo stesso per la lingua greca, allora?
“Lei ha
citato Calvino, noi in apertura abbiamo citato Umberto Eco: Immaginare quello
che non è stato ancora immaginato. L’aveva scritto in suo pezzo in difesa del
Liceo Classico e di ciò che lo caratterizza: il greco. Questa frase permette di
capire che il greco, lungi dall’essere una lingua morta, è molto dinamico, è
una sorta di enzima del nostro intelletto che continua a fermentare e a
prospettarci cose dinanzi. Tutte le volte che l’Occidente ha dovuto pensare a
qualche cosa di nuovo si è sempre rifatto alle radici greche perché il greco
non è una lingua morta, ma è la lingua con il principio dell’innovazione. Lo è
per suo destino.”
Quindi, la
lingua greca porta con sé una portata decisamente innovativa. Vale anche per la
cultura greca?
“Riguarda
soprattutto la cultura greca. Il vocabolario affonda le sue radici nel pensiero
greco. E’ necessario che sia così, per un motivo molto semplice: in quel mondo
noi siamo abituati a trovare non solo il bello, ma anche l’originario. Così
come il teologo non può non continuare a meditare sulla Genesi e sul Vangelo
così l’intellettuale non può non smettere di pensare a quel grande arco
intellettuale che arriva fino alla tarda antichità. E’ un millennio di storia
nel quale le cose sono apparse per la prima volta e le parole per dirlo sono
state queste per la prima volta. E’ proprio l’archè, il principio, un inizio
che è anche un comando. Noi non dobbiamo mai dimenticare questo aspetto
polisemico di questi termini che sono fortissimi: parole come arché, logos,
pneuma. Ognuna di queste parole è un microcosmo, un mondo con il quale dobbiamo
fare i conti. Non per rimpiangerlo, ma per evolvere.”
Ma se è una
lingua così importante, perché viene insegnato il latino nelle scuole e non il
greco (a parte il classico)?
“In Italia
il latino gode di due visti di ingresso particolari. Uno è il legame
linguistico: l’italiano è una lingua neo-latina. Poi non dobbiamo dimenticare
la forza del latino come veicolo di espressione del grande potere che ha
sostanzialmente governato l’Italia, cioè il potere religioso, della Chiesa. Non
dimentichiamo anche che gran parte della cultura dell’Europa occidentale ha
avuto nel latino la sua lingua franca fino a fine Ottocento. Ancora in parte del Novecento le élite colte
comunicavano più facilmente in latino che non in altre lingue; ad esempio,
certe barriere linguistiche che c’erano tra lingue neo-latine e lingue slave
potevano essere facilmente superate grazie al latino.”
Perché i
ragazzi dovrebbero comunque studiare il greco?
“Perché
diventeranno cittadini migliori. Dovrebbero studiarlo tutti, non solo i
ragazzi. Anche gli adulti. Ma attenzione, io non voglio dire che il modo con
cui siamo abituati a studiare il greco – con quelle grammatiche solite e
formato ‘mattone’ – sia il modo giusto.
Voglio solo dire che togliere ai giovani nell’adolescenza, nel periodo formativo,
l’incontro con questa forza, con questa ricchezza e bellezza, è una violenza
spacciata per indulgenza. Non deve essergli rimosso. Deve essere una porta
sempre aperta. Chissà come mai, l’esperienza insegna che tutte le volte che
quella porta è aperta, qualcuno entra e qualche volta entra molto più che
qualcuno.”
Dalla A alla
Z, qual è la sua parola preferita?
“E’
difficile, dipende dai giorni. Le parole cambiano. Certi giorni mi piace la
parola melodia, altre volte armonia, in generale mi piace molto la parola
musica. D’altro canto ogni giorno ha il proprio timbro…”
Timbro.
Comunque, sempre una parola greca e che sa di musica…
“Cosa posso
farci. Per me la musica è molto importante. Come il greco.”
Interessantissimo! Da ex studentessa di liceo classico che amava più il greco del latino, a laureata in arte bizantina e oggi saggista per passione sulla cultura bizantina in Sicilia ("Sikelia, La Sicilia orientale nel periodo bizantino". Bonanno, 2015 e, di prossima uscita, "Sikelia. La Sicilia dei Bizantini. I Bizantii di Sicilia"), non posso che condividere!
ΑπάντησηΔιαγραφή