Un film di
Yorgos Lanthimos. Con Angeliki Papoulia, Ariane Labed, Aris Servetalis, Johnny
Vekris Titolo originale Alpis. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 93 min. -
Grecia 2011
Edoardo Becattini
Ad Atene,
una squadra formata da un paramedico, un'infermiera, una ginnasta e il suo
allenatore sostituisce sotto compenso persone appena defunte per aiutare amici
e parenti a lenire il dolore dell'elaborazione del lutto. Si fanno chiamare
Alpeis (Alpi), perché, come quelle montagne, possono rappresentare qualunque
altro monte nel mondo ma non possono essere scambiate per altri. Ognuno di loro
porta il nome di una delle vette della catena montuosa. Fra questi, Monte Rosa
è la donna che si occupa di assistere in ospedale una giovane giocatrice di
tennis che ha appena avuto un incidente ed è vicina alla morte. Senza rivelarlo
agli altri membri del gruppo, la donna comincia a sostituirsi alla ragazza e ne
assume a poco a poco l'identità.
Dai piccoli
canini di Dogtooth alle alte vette delle Alpi, si capisce come siano le punte
acuminate, gli spigoli e le asperità del comportamento umano a dettare la
poetica di Yorgos Lanthimos. Là una famiglia che difendeva morbosamente la
propria unità nucleare dalla corruzione del mondo esterno; qua un gruppo di
persone adibite a penetrare nei nuclei familiari per tutelarli dall'urto del
dolore. C'è una sorta di laboratorio sociale dietro queste trame, un tentativo
di raccontare storie di cavie chiamate a sperimentare la possibilità di
preservare l'uomo dalla sua natura corrotta. Un progetto tuttavia non tanto
"behaviorista", quanto cinematografico. In Alps infatti, la finzione,
la recitazione e il cinema divengono in maniera ancora più evidente le chiavi
con cui tentare di chiudersi a doppia mandata dal dolore del mondo esterno.
"Qual era il suo attore preferito?" chiedono insistentemente i
quattro specialisti ai parenti dei defunti, come a intendere che è dalla
dimensione attoriale che occorre partire per costruire queste recite familiari
dal copione predeterminato. Le quattro "alpi" divengono così quattro
attori che lavorano unicamente sul corpo e su una serie di battute da recitare
meccanicamente, imitatori in cerca di identità e di una performance perfetta
che possa lenire l'angoscia personale e altrui.
Con uno
stile fin troppo vicino ai canoni del cinema d'autore europeo (disinquadrature,
estetica del pedinamento, fuori fuoco), il regista greco conferma che la sua
idea di cinema non è quella di un passatempo che preserva o allontana dai
turbamenti del mondo, ma quella di un "metodo (fanta)scientifico" in
cui finzione e realtà divengono gli strumenti per studiare le turbe
dell'identità e del comportamento sociale. Qualunque situazione e qualunque
battuta è infinitamente replicabile. Ma lo stesso non si può dire per le
dinamiche degli affetti.
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