Sono circa tremila i minori non accompagnati in Grecia:
solo 1.228 sono registrati e beneficiano di un programma di accoglienza, mentre
gli altri vivono per strada. E c’è chi ha accettato di prostituirsi, pur di
guadagnare quei pochi euro per sopravvivere.
13 novembre 2017
Comincia a qualche centinaio di metri dal Partenone e
dallo storico quartiere di Plaka la periferia di Atene, un microcosmo
tormentato nel quali le tensioni si incrociano e la polis si trasforma e
modella a seconda di chi la abita. È qui che la crisi nella capitale greca ha
piantato i suoi artigli più che altrove, sui marciapiedi di piazza Omonia dove
signori anziani chiedono l’elemosina, sulle vetrine dei negozi del quartiere di
Psirri che in comune hanno quel cartello giallo con la scritta rossa ενοικιάζομαι (in affitto), nei
vicoli di Exarchia tra studenti e artisti squattrinati, militanti anarchici e
rivoluzionari delusi, a Metaxourgio nelle case occupate dai gitani, a Gizi e a
piazza Viktoria, snodo centrale delle migrazioni che attraversano la capitale
ateniese.
La periferia ha raggiunto il centro della città, dove
negli ultimi tre anni oltre un milione di persone sono transitate, dapprima di
fretta nel viaggio verso la prossima frontiera, sostando tra piazza Viktoria e
Omonia per trovare al mercato nero i documenti necessari o un passeur per
continuare il viaggio. Oggi questi luoghi sono diventati un limbo di temporanea
disperazione per i circa sessanta mila migranti bloccati in Grecia dopo la
chiusura dei confini. Molti di loro sono giovani. Circa tremila sono i minori
non accompagnati, dei quali soltanto 1228 sono registrati e beneficiano di un
programma di accoglienza e protezione, mentre gli altri vivono per strada,
nelle case occupate, in stamberghe affittate a basso costo e condivise con
altri migranti di passaggio. Le procedure di richiesta di asilo e di
ricongiungimento familiare di tutti loro sono gestite da un pubblico ministero
soltanto.
«I tempi di attesa sono spesso estremamente lunghi e i
ragazzi perdono le speranze» racconta Sissy Levanti, che lavora per Praksis,
un’organizzazione che gestisce gli alloggi dei giovani migranti. «La pressione
psicologica su di loro è molto intensa. Uno su cinque ha bisogno di sostegno
psicologico. I casi di depressione sono molteplici, i ragazzi si sentono
impotenti e vulnerabili» continua. Tra i giovani migranti più in difficoltà c’è
anche chi ha accettato di prostituirsi, pur di guadagnare quei pochi euro
necessari per sopravvivere e non abbandonare le speranze. Ad Atene, in questo
periodo, la distanza tra disperazione e prostituzione è diventata assai breve.
È nelle panchine sotto ai lampioni dalla luce giallognola di piazza Viktoria
che si apre un mercato per i più disperati, dove uomini di una certa età si
siedono accanto ai giovani migranti, li compiacciono offrendo loro una
sigaretta o qualcosa da bere e li sfiorano con una carezza prima di scambiarsi
il numero di telefono. L’incontro avverrà altrove e in un altro momento, in
alberghi affittati ad ore, in stanze private o nell’adiacente parco di Pedio
tuo Areos, tra i cespugli all’ombra delle statue che celebrano gli eroi della
Rivoluzione Greca del 1821, mentre a qualche metro di distanza uomini e donne
fanno passare l’ago di una siringa attraverso la loro pelle, iniettando nelle
vene un miscuglio chimico devastante che da queste parti chiamano σισα, o anche la «droga
dell’austerità».
«La prostituzione ad Atene è un vecchio fenomeno, ma sta
sfuggendo di mano ultimamente» racconta Tassos Smetopoulos, 53 anni, fondatore
dell’associazione di inclusione sociale Steps. «Ogni sera una trentina di
uomini greci frequentano la piazza per incontrare i giovani migranti. Alcuni
sono così malati da credere di aiutarli, pagandoli per fare sesso con loro»
racconta passeggiando per piazza Viktoria, mentre si vedono quegli uomini
girovagare, chiacchierare e ridacchiare seduti accanto a giovani migranti. Uno
di loro ha fatto un paio di giri della piazzetta guardandosi attorno, poi si
ferma, notando di essere stato osservato a lungo. «L’Europa ha voluto
distruggere il nostro paese. Questi ragazzi sono in queste condizioni per colpa
di Berlino e Bruxelles. Da cittadino mi sento in dovere di aiutarli» sbotta
all’improvviso, prima di tornare a girare intorno alla piazza innervosito.
«Finché la polizia non coglie uno di loro in flagrante non possiamo fare nulla»
racconta Tassos. «E i ragazzi spesso credono di non aver altra scelta…».
È successo anche ad Arash, sedici anni, afghano. Da circa
un anno è arrivato in Grecia, ha perso i documenti quasi subito, ma non ha mai
pensato di fermarsi qui. «Una sera stavo dormendo sotto ad un albero e un
signore mi ha offerto da bere. Mi ha detto che potevo farmi una doccia a casa
sua se mi andava. Ho accettato e poi mi ha chiesto del sesso» racconta a bassa
voce singhiozzando. «Non l’avevo mai fatto prima. Se rifiutavo, dovevo tornare
in strada. Non avrei mai pensato che un vecchio potesse chiedermi del sesso».
Partito con i risparmi della sua famiglia, Arash non
parla inglese e non spiccica una parola di greco, ma sogna ancora di arrivare
in Svezia. «Ci vive mio cugino» racconta guardando il panorama di Atene al
crepuscolo dalla montagnola di Strefi, «ma ciò che mi interessa davvero è
vedere finalmente la neve».
di Nicola Zolin
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