C’è stato un tempo nel quale i
referendum consultivi popolari sembravano interessarci gran poco, sia
politicamente, che mediaticamente. Era l’estate del 2015 e il 61% degli
elettori greci diceva, invano, no all’austerità e al programma lacrime e sangue
proposto dai creditori europei per sbloccare l’ennesimo prestito utile ad
evitare il default del Paese.
Il “No”, come sappiamo, dopo
essere stato definito dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem
“deplorevole per il futuro della Grecia” e “insignificante dal punto di vista
politico”, costò il posto all’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e non
modificò le condizioni economiche richieste alla Grecia a garanzia del
prestito. Anche per questo mi sorprendono le grandi aspettative che oggi
accompagnano l’attuale stagione referendaria nazionale e internazionale,
indipendentemente dal fatto che alcune di queste consultazioni vengano
considerate anticostituzionali, solo consultive, per lo più inutili, quando non
addirittura dannose. Personalmente, come
allora, penso che quando si mobilitano per votare milioni di persone, occorre
almeno porsi delle domande attorno al responso delle urne e se è vero che
esistono precise regole democratiche che non possono essere scavalcate è
altrettanto vero che serve del buon senso e come ha ricordato Lucio Caracciolo
per il caso catalano “Il referendum pro indipendenza, battezzato farsa, ma
trattato da insurrezione, non può essere né ignorato né demonizzato, se si
vuole davvero salvare pace e democrazia”.
In Grecia, per il momento, sono
state salvata pace e democrazia anche grazie al pacchetto di aiuti da 86
miliardi che ha scongiurato il default, ma che ha costretto il Governo di
Alexīs Tsipras ad approvare diverse misure contrarie al programma politico
annunciato da Syriza. L’aumento delle imposte dirette ed indirette, le nuove
leggi sul lavoro, la riduzione della spesa pubblica, la revisione del sistema
pensionistico, una riduzione dei salari pubblici tra il 10 e il 40% e la privatizzazione
di alcuni settori sono state tutte scelte dettate dagli obblighi imposti dai
creditori. Anche grazie a queste misure a luglio la Grecia è tornata dopo tre
anni sul mercato finanziario, iniziando a vendere 3 miliardi di euro dei suoi
nuovi bond a scadenza quinquennale e a settembre i ministri delle Finanze
dell’Unione Europea hanno dichiarato l’uscita della Grecia dalla procedura per
deficit eccessivo, a cui il paese era stato sottoposto nel 2009, quando il
rapporto deficit-PIL era arrivato oltre il 15%. Il fatto che, sia nel 2017 che
nel 2018 si preveda un rapporto deficit-PIL sotto la soglia del 3%, come
previsto dal Patto di stabilità e crescita degli stati dell’Unione monetaria,
ha fatto dichiarare al commissario per gli Affari economici dell’Unione Pierre
Moscovici, che la Grecia sta per “voltare la pagina dell’austerità e aprire
quella della ripresa”.
Un risultato importante visto che
con un livello di crescita stimato del 2% e capace di generare un avanzo
primario (cioè la differenza tra entrate e uscite dello Stato esclusi gli
interessi da pagare sul debito) pari al 2,2% del Pil, si supererebbe per la
prima volta l’obiettivo imposto da Banca centrale europea, Unione europea e
Fondo Monetario Internazionale fissato all’1,75%. Forse anche per questo
Tsipras ha da poco annunciato di voler ridistribuire il surplus di bilancio tra
i greci che maggiormente hanno sofferto durante la crisi economica del 2009
attraverso un “dividendo sociale” prodotto da questa crescita del PIL, che
potrebbe arrivare nelle tasche delle persone più in difficoltà già a Natale. La
stima della cifra che sarà investita in questa nuova misura sociale e di un
miliardo di euro ed è stata comunicata a fine ottobre dal portavoce del governo
Dimitris Tzanakopoulos senza chiarire chi potrà beneficiare di questo bonus,
una decisione che l’esecutivo di Tsipras prenderà al momento di chiudere il
bilancio dell’anno, ma che non manca certo di candidati.
Di fatto, nonostante la timida
ripresa e l’annuncio di questo “dividendo sociale” la Grecia si trova ancora
alle prese con una situazione economica e sociale molto fragile. Come ha
evidenziato un approfondimento dedicato alla Grecia del Il Post “Dal 2010 ad
oggi la Grecia ha perso un terzo del suo PIL e mezzo milione di persone sono emigrate
all’estero. Nello stesso periodo, il 20% più povero della popolazione ha perso
il 42% del suo potere d’acquisto. Lo stato ha un debito di 320 miliardi di
euro, pari al 180% del PIL, il secondo rapporto più alto del mondo e il tasso
di disoccupazione, sebbene sia diminuito e sia attualmente al 21% [percentuale
che sale al 42,8% per quella giovanile], è tra i più alti d’Europa. Gli
stipendi medi sono diminuiti e la riduzione dei redditi dei lavoratori e delle
lavoratrici ha portato all’impoverimento delle famiglie”. Sono infine
“aumentati i problemi abitativi e i bisogni legati allo stato di salute, che
riguardano quasi una persona su quattro”. Drammatica in questo fragile contesto
economico e di welfare è anche la condizione dei migranti. Gli hotspot di
Samos, Lesbos e Chios sono a più del doppio della capienza regolare e in vista
dei mesi freddi si temono ulteriori tragedie dopo i tre morti dello scorso
inverno. A Mytilini decine di profughi sono in piazza da settimane in sciopero
della fame, mentre le ong hanno lanciato l'appello Open the islands per fare
arrivare le persone almeno sulla terraferma.
Intanto, anche se alcuni settori
dell’economia greca che sono rimasti stabili, non è impossibile pensare che al
Governo greco venga chiesto nel 2018 di intraprendere nuove e impopolari misure
per completare la terza revisione del programma di salvataggio economico
distruggendo definitivamente la credibilità di Syriza che oggi sembra ai minimi
storici. Secondo un recente sondaggio tra gli elettori di Syriza alle scorse
elezioni, nel gennaio del 2015, ben l’89,5% ha detto di essere "deluso dal
Governo e dalle sue politiche di austerità". Attualmente il partito di
Tsipras è al 15,5%, mentre chi adesso raccoglie i frutti di una facile
opposizione alle politiche dettate dall’Europa e il partito di centrodestra Nea
Demokratia che risulta primo con addirittura il 33% dei consensi e Alba Dorata,
partito di estrema destra di orientamento nazionalista, che è diventato in
pochi anni la terza forza della Grecia con il 7,5 % dei consensi. Un successo
scontato quello della destra greca a meno che la richiesta di Tsipras di una
ristrutturazione del debito, oggi ritenuta ragionevole anche dal Fondo
Monetario Internazionale, non venga presa in seria considerazione dall’Europa.
Alessandro Graziadei
Sono Alessandro, dal 1975
"sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto".
Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per
il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare
universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a
Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo
e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli.
Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra
Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e
numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la
mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con
la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa),
vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e
scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte
sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio
giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di
Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου