«Abbiamo
raccolto gravi indizi che è stato un incendio doloso». Mentre sia il premier
Tsipras che il viceministro della protezione civile greca, Nikos Toskas fanno
muro contro chi accolla le responsabilità dell’ecatombe alla politica, ai fondi
tagliati, ai risparmi fatti a danno della sicurezza, le vittime continuano ad
aumentare: per ora sono 85 persone, ma i dispersi sono un’enormità e i medici legali stanno affrontando il
penoso compito di identificare corpi carbonizzati dalle fiamme e
irriconoscibili attraverso il Dna dei parenti. Una operazione devastante. Ma è
anche il momento delle polemiche.
Secondo il portavoce del governo, non è stato
responsabilità di una cattiva gestione dell’emergenza. No, il disastro è dovuto
«a mano umana e alle instabili condizioni atmosferiche», con il vento a 120
chilometri all’ora, che è girato in pochi minuti e ha impedito di prevedere il
disastro di Mati, il paese sulla costa Est cancellato dalle fiamme. Il ministro della Difesa, Panos Kammenos che
era stato circondato e insultato dai
pochi cittadini di Mati rimasti vivi, ha messo sul piatto delle analisi un
argomento non di poco conto nell’economia della tragedia greca. Ha dato la colpa
a chi ha fatto costruire centinaia di villette abusive tra i boschi, in una
zona non edificabile e per questo fuori dal piano regolatore, ragione per cui
nessuno aveva predisposto piani di evacuazione per i residenti e i
villeggianti.
Senza
piano regolatore, senza piano di evacuazione
Da un lato
le istituzioni fanno muro contro le critiche, mostrando ai giornalisti foto
satellitari con le prove che c’è la mano di un criminale a Daou Penteli, il
luogo in cui è iniziato il fuoco vicino a Mati. Ma d’altro lato peserebbero
come un macigno quei condoni degli Anni 90. Resta il dubbio di come sia stato
possibile tollerare, da parte delle istituzioni, un insediamento sul mare in
mezzo ai pini, totalmente abusivo per decenni. L’obiettivo dei piromani, commenta
alla Stampa Andreas Panatiotaros, un dentista di 38 anni che è scampato alla
tragedia di Mati buttandosi in acqua, è quello di bruciare i boschi per poi
rendere edificabili dopo qualche decennio le aree è speculare costruendo case,
guadagnando milioni. Cita anche le forti spinte dal governo a chiedere condoni
edilizi tra il 1985 e il 1995, leggerezze che oggi sono state mortali.
Il Fatto
Quotidiano ha realizzato un’inchiesta dalla quale risultata che 1.218 edifici ( il 49% delle case andate in
fumo a Mati) sono stati dichiarati
abusivi. Un numero che si sposa con quello relativo agli acri considerati non a
norma, ovvero 100mila nel triangolo Maratona-Mati-Pentelis. I tecnici
stigmatizzano: «Strade strette, numerosi vicoli ciechi, pezzi ampi di condomini
e ville allungati e allargati senza un piano regolatore». Solo oggi il ministro
delle Infrastrutture, Christos Spirtzis, che assieme a quello dell’interno
Panos Skourletis rischia la poltrona, ha annunciato controlli a tappeto sulle
licenze edilizie.
Grecia, la “trappola”: vie strette e vicoli
ciechi
«Secondo
l’ex direttore nazionale degli ispettori ambientali, Margharita Karavassili –
leggiamo– il piano urbanistico generale fu completato nel 1992 in un’area in
cui l’80% era di carattere forestale, il che significa che secondo la
legislazione non poteva essere inglobata nel piano edilizio ma vi hanno
costruito ugualmente. Una di queste era l’area di Mati, al confine con il
comune di Rafina. Pare che le possibili vie di fuga, ovvero stradine per
l’accesso all’area marittima, siano state “tombate” con modifiche a ville e
condomini esclusivi, come giardini, parcheggi sotterranei, piscine». Per cui
una delle cause scatenanti di un così elevato numero di vittime è stato il
particolare disegno urbano dell’insediamento di Mati, che ha agito come una
“trappola” per la popolazione. Ovvero strade strette, numerosi vicoli ciechi,
pezzi ampi di condomini e ville allungati e allargati senza un piano
regolatore, quindi senza possibilità di vie di fuga laterali, come ha evidenziato
ai media il team di ricerca di Geologia del Dipartimento dell’università di
Atene.
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