Introduzione e traduzione Crescenzio Sangiglio
Poeta e pittore tra i più
noti in Grecia, Nikos Engonòpulos costituisce una “ipotesi di studio”
assolutamente particolare, tanto per la personalità umana quanto per la
creazione letteraria e artistica.
Insieme con Andreas Embirìkos, anche se, rispetto a questi, a mio parere, chiaramente con molto meno incisiva partecipazione agli esiti degli onirici automatismi surrealisti, rappresenta in Grecia (a torto o a ragione, non è qui il caso di discutere) la punta di diamante del movimento, al quale – detto per inciso, trovandoci nel discorso – mi sembra comunque aνcor meno appartenga la produzione di un suo compagno di “avventura letteraria”, Odissefs Elitis, anch’egli annoverato tra i massimi surrealisti greci.
Nikos Engonòpulos nasce ad Atene il 1910. Nel
1938 pubblica la sua prima raccolta di poesie dal titolo Non parlare al
conducente e subito l’anno dopo, nel 1939, la seconda silloge, I clavicembali
del silenzio. Poco prima della fine della guerra, nel 1944, ancora in piena
occupazione tedesca, pubblica il poemetto Bolivar, con questo completando la
sua più importante creazione poetica. L’iter letterario di Engonopulos sostanzialmente
si concluderà nel 1957 con lo scarno volumetto In fiorente parlare ellenico,
dopo Il ritorno degli uccelli(1946), Avvento(1948) e L’Atlantico(1954), edito
non in volume, ma nella Rivista Greco-britannica, anche questi due ultimi testi
di brevissimo respiro.
Si è detto e comunemente si dice che nella
sua grafia letteraria Engonopulos riflette nella maniera più piena e costante
gli stilemi funzionali della morfologia poetica surrealista (“ho dentro di me
il surrealismo”, soleva dire), anche se non mancherà di osservare, in certo
modo contraddicendosi (1954): “Personalmente, non credo nel surrealismo in
quanto scuola. Mi si addice però. E quello che ho cercato di fare è stato di
innovarlo con elementi greci; aggiungergli la metafisica ellenica, innalzarlo
più in alto della semplice smorfia”.
Malgrado ogni asserzione del contrario,
ritengo con fermezza, tuttavia, che la poesia di Engonopulos [e non solo quella
del dopoguerra, ma anche le prime due opere rispettivamente del 1938 e 1939 – a
parte non molti esempi di orgiasrica espressivirà verbale(v. la poesia che qui
sotto viene proposta), nella quale non si può davvero dire che possa
compendiarsi tutt’intera la “qualità” surrealista del poeta (anche se,
addirittura, c’è chi – J. Dallas, Embirikos/Engonopulos. La dimensione di una
poetica “aperta” ed una “chiusa” in Riv. I Lexi (La Parola), n. 179, gen.-mar.
2004 – definisce Engonopulos “surrealista estremo” e “sovvertitore”), comunque
sempre lontana dalla realtà surrealista evidenziata almeno nelle prime due
raccolte (ma sopra tutto la prima) di Embirikos], si mantenga piuttosto, sia
pure nella eccellenza di un linguaggio originale e di mimmediato impatto,
ancorata ad una pur sempre significativa formulazione di elementi neorealistici
e modernistici strettamente adattati ad un personalissimo percorso poetico e
concettuale.
E anche per Engonopulos, come peraltro per
Elitis, è facile e spontanea la giustificativa “scappatoia” di un accomodamento
dell’essenza surrealista ad una qualche personale ispirazione a sua volta
tributaria e testimone della particolare natura, storia e tradizione dell’uomo
greco.4 Ovviamente simili criteri di giudizio non sono mai stati “applicati”
alla poesia di Embirikos, appunto perchè non ve n’era alcuna necessità data la
sua implicita, manifesta e vera aderenza agli originali postulati surrealisti.
Basta leggere la sua poesia in prosa di Altoforno (Υψικάμινος) e i versi di
Entroterra (Ενδοχώρα) per rendersene pienamente conto. Nel contempo un
confronto testuale con le composizioni di Non parlare al conducente(Μην
ομιλείτε εις τον οδηγόν) e I clavicembali del silenzio(Τα κλειδοκύμβαλα της
σιωπής) di Engonopulos è altamente illuminante.
Così, alla frammentazione, in quest’ultimo,
delle componenti programmatiche dell’idea surrealista (secondo la procedura di
realizzazione esposta da Breton nel 1o Manifesto: “Decisi di ottenere da me
quel che si cerca di ottenere da quelli [dai metodi di analisi freudiani sui
malati, n.d.r.], cioè un monologo enunciato con la maggiore rapidità possibile,
sul quale lo spirito critico del soggetto non fosse in condizione di
pronunciare giudizio alcuno e che quindi non fosse frenato da nessuna
reticenza; che fosse, quanto più esattamente possibile, il pensiero parlato”) e
sopra tutto della particolare espressività verbale e tecnica sintattica che ne
realizzano il dettato, non può farsi fronte se non riscontrando che “le sue
immagini sono…avvolte nell’alone di una sensazione ellenica, assolutamente
distinta in relazione alla “grecità” di altri modernisti (v. nota 4, D.
Kosmòpulos): e pertanto, diluendo nella peculiarità dell’essere greco i
contenuti costitutivi di una “filosofia” poetica di provenienza estera, quindi
del tutto “aliena” per spirito e natura.
E quando si dice che “il surrealismo (di
Engonopulos) si converte in personale linguaggio poetico”, in sostanza non si
dice granchè, salvo che si voglia dire che in Engonopulos esiste una specie di
“surrealismo etnicamente greco” e di ”surrealismo personale”, proprio solo a
lui e di cui egli è l’”inventore”, con una speciale tecnica subcosciente ed
esiti lessicali tipicamente ed esclusivamente legati al paesaggio umano,
linguistico e culturale greco, ciò che è del tutto fuori senso. La “grecità”
del “surrealismo” di Engonopulos è chiaro che non può accostarsi alla “grecità”
di un “surrealismo” di Elitis, nè tantomeno, ma solo in quanto idea, alla
“grecità” di Seferis o di Ritsos, ai quali invece si avvicina piuttosto per una
certa comunanza spirituale ovviamente fuori da ogni tipologia di addentellati
surrealisti dalla quale sono più o meno lontani tutte e tre.
Con la “personalizzazione” del concetto
surrealista è altrettanto chiaro che si possono evitare giudizi qualunque di
non appartenenza (diretta o indiretta) al “temperamento” tipico surrealista o
quantomeno ad una appartenenza transitoria o superficiale o, insomma, instabile
che dirsi voglia.
È stato altresì sostenuto che i contenuti
della poesia (e poetica) di Engonopulos trovano la loro ascendenza più che in
Breton e Soupault (e s’intuisce che si voglia alludere ai loro Champs
magnétiques, prototipo della grafia automatica) e ai loro corollari
programmatici, piuttosto in alcuni autori minori del panorama francese del XIX
secolo, quali Aloysius Bertrand(1807-1841), Xavier Forneret(1809-1884), Pétrus
Borel(1809-1859) ed ai successivi di circa mezzo secolo Charles Cros(1842-1888)
e Akphonse Allais(1855-1905), tipici esponenti tutti (tranne il primo) della
humeur noire e per certi versi, sopra tutto Bertrand e Forneret, considerati
nelle loro non numerose e non proprio famose opere precursori degli asserti
surrealisti, quasi dei surrealisti ante literam, ricordati altresì dallo
stesso Breton, anche se praticamente epigoni del romanticismo, quasi
“romantici surrealisti” o meglio “romantici estremisti”, e “petits maîtres” del
romanticismo, come venivano allora definiti.
In verità, una certa affinità di Engonopulos
con i predetti autori francesi potrebbe anche essere possibile riscontrare,
sempre che si voglia considerare Engonopulos a tutti gli effetti un autentico
figlio del surrealismo. Sinceramente, però, non saprei dove ricercare in lui,
almeno nella poesia, la pratica realizzazione di quella scrittura automatica
che invece a piene mani s’incontra in particolare nelle due citate raccolte di
Embirikos, anche dato e non concesso che nello stesso Engonopulos siano
sufficientemente attivi alcuni altri elementi ritenuti caratteristici della
prassi o pratica surrealista: l’umor nero, il gioco di parole, la parodia, il
collage, l’autoreferenza.
È quello che accade, oltre che in molti altri
esempi, nei fondamentali Champs magnétiques(1919) con la collaborazione
Breton-Soupault e nella non meno importante L’Immaculée Conception(1930) dello
stesso Breton insieme a Èluard.
Le medesime considerazioni possono essere
avanzate ove ci si rivolga allo stesso contesto letterario greco riferito al
surrealismo, dove le iniziali relative manifestazioni poetiche sin dal 1930
osservano con accurata precisione i dettati della grafia automatica: la
sottoindicata nota 2 chiarisce a sufficienza l’apparire delle prime esperienze
greche in materia che, per motivi ancora da appurare, si sono concluse inb se
stesse, immerse in un perlomeno strano oblio.
A questo punto la lettura di Una canzone per
la luna potrà fornire validi elementi di giudizio relativamente a quanto
esposto sin qui, ponendo il lettore in grado di formare la personale “immagine”
della poesia engonopuliana al di là di una possibile controversia sulla sua
ascendenza o meno surrealista.
Comunque sia, è molto probabile che la
paletta pittorica di Engonopulos,10nella quale egli eccelse, decisamente ed
enfaticamente surrealista, abbia influenzato la critica letteraria greca nel
suo orientamento. E il fatto che lo stesso Engonopulos considerasse se stesso
più pittore (surrealista) che poeta (surrealista) in ciò corroborato dal sicuro
riferimento della sua opera a Giorgio De Chirico, è già indice di un preciso
indirizzo filosofico-poetico nel quale egli si sente giustificato.
UNA
CANZONE PER LA LUNA
“Le vecchie lune,
rispondi, si frantumano e diventano lampi.
Non vedi, ogni volta che tuona come brillano
simili a spade?”
NASR ED DIN E I SUOI INEDITI
Le più belle canzoni
sono le canzoni della luna
ci sono naturalmente
molte altre
belle
canzoni
– che dico? meravigliose –
le più belle però
dobbiamo ammetterlo
sono le canzoni
della luna
quando
tes seins ruissellent d’argent1
lune
ma non t’hanno spaventato i contatti
e le carezze e le domande delle nereidi
che gridano
nella notte
il gallo
non capisce proprio nulla
nè le previsioni del tempo che gli
attribuiscono
nè le
foche
che ballano nelle tenebre di Delo
come elfi
e da lontano e da vicino
sono come fredde fiamme
e sorridenti
lune
le fanciulle con le pupille dei loro occhi
sciorinano
le loro bellezze paradisiache
lune
e così sui muri sciorinano poeti
e c’è chi penzola e parla sempre di versi
e spreme il suo cuore
come spugna
e il sangue cola con argentei
riflessi lune
la nonna fila il trifoglio
il folle misura la tempesta
fumi del firmamento
come corona
una volta cinsero la vita e adesso
rimorchi di morte
come tacciono
fiori pallidi degli Epitaffi
voi
lune
verrò nei musicali requiem della tua ira
muto ed esposto
con le mani a calcolar gli anni
a sferzarti entro gli occhi
tuoi
le nevi
che scintillano sparse di naftalina e stelle
lunghi filari alberati di danzatori
nei lamenti della tua sposa venduta
saziarmi
di more bianche
che
pendono
dai tuoi capelli
le lune
indietro non tornerà – lo so –
il poco ch’è rimasto
della vita
delle lune accanto a te rose dei venti
narcisista della nebbia
le fontane
come iridano
musiche di perdizione e di spregio
in alto si alzino le mani
nelle palme
raccogliamo le forze vitali
di una singolare saggezza
che concedono
a chi le invoca appassionatamente
le lune
di certo provoca tristezza questa canzone
a colui che la legge
e colui che l’ascolta
ma sin dall’inizio non lo abbiamo nascosto:
se sono le più belle canzoni
sono naturalmente anche le più
colme di amarezza
le canzoni scritte
per le lune
eccezione – da notare – a questa regola
sono le canzoni scitte vicino
alle cascate
ed altre sopra una nave
naufragante
– mentre la sirena accompagna scompigliata –
ed altre che ha cantato
la fanciulla
con l’arpa
sotto la statua pelata dell’antica dèa
che
aspergono
le lune
chiudi le persiane e ascolta chi passa
fuori
i passi che risuonano
sono la luna
che sorge
pensa al mare e addormèntati
pensa all’amore e svègliati
disciòglile i capelli
e versaci sopra
lune
le lune dietro agli alberi
come trilli di pianoforte ci ricordano la
Grecia
con i suoi flauti i suoi porti le favole
Genoveffa si compiace adesso
dell’amante Erotòcrito
l’orcio di Platone
– lo portava fino alla fonte –
gli sfuggì di mano e a pezzi sta per terra
(in mezzo ai faggi della forra
agnelli sacrificali i partigiani)
acqua di rose e sperma sono
tutt’uno
quando irrorano
la Grecia
le lune
dormi e le palpebre
e i tuoi seni stimolano
gli abili arcieri alle feritoie
qui di nuovo ci siamo trovati
nella pianura
a Examìli
la mia mano è la tua vasca da bucato
ed ora da molto appresso sento
lo strazio che dentro il tuo petto
sussulta
il tuo grido
tortora amorosa
mentre
sopra le spugne
brillano
le
lune
sopra i tetti comignolati
“sore” mattutine
piene di indolenza e fascino sfarzoso
aspettano il passo degli uccelli
autunnali
– molti uccelli stormi
che in alto nel cielo delineano come una
lettera:
la lettera che ognuno aspetta –
sopra i comignoli sono
due colombe
sotto i comignoli
sono due colombe-mani
che spargono fiori bianchi
– sono forse camelie
gardenie –
sopra le vostre impronte
magiche
lune
cavalca il destriero cavaliere e San Giorgio
nell’armadio troverai i gioielli
che porterai
per salvare i gigli delle vergini
ma
quando traversi i laghi
grida
parole d’amore
alle acque dove si specchiano
lune
criniere dèi suonano le campane
nei giardini che illuminano
lune
minaccia di mille bocche i calici del peccato
palazzi immondi dei rimorsi i carciofi
busso alla tua porta
vieni ad aprire
a mostrare
la tua impareggiabile bellezza
alle lune
alle tue sopracciglia si sono appese le lune
tramontano le lune e spada
infuocata
dietro alla collina esploratore
il nuovo Giove
via, spremi il tuo cuore:
sudore sprizzerà
il sacro sudore del lavorante morto
ingiustamente
e la lama del coltello
è luna
la schiavitù – giusto – è amarezze
tutti venite fate
il segno della croce
(una croce non è
mai invano)
guardate
ma guardate in fretta
tramonta la luna.
Da Poesie II, Ìkaros, 1985
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