Κυριακή 1 Ιουλίου 2018

Nikos Engonòpulos, Una canzone per la luna

Introduzione e traduzione Crescenzio Sangiglio

Αποτέλεσμα εικόνας για εγγονοπουλος

Poeta e pittore tra i più noti in Grecia, Nikos Engonòpulos costituisce una “ipotesi di studio” assolutamente particolare, tanto per la personalità umana quanto per la creazione letteraria e artistica.

Insieme con Andreas Embirìkos, anche se, rispetto a questi, a mio parere, chiaramente con molto meno incisiva partecipazione agli esiti degli onirici automatismi surrealisti, rappresenta in Grecia (a torto o a ragione, non è qui il caso di discutere) la punta di diamante del movimento, al quale – detto per inciso, trovandoci nel discorso – mi sembra comunque aνcor meno appartenga la produzione di un suo compagno di “avventura letteraria”, Odissefs Elitis, anch’egli annoverato tra i massimi surrealisti greci.

Nikos Engonòpulos nasce ad Atene il 1910. Nel 1938 pubblica la sua prima raccolta di poesie dal titolo Non parlare al conducente e subito l’anno dopo, nel 1939, la seconda silloge, I clavicembali del silenzio. Poco prima della fine della guerra, nel 1944, ancora in piena occupazione tedesca, pubblica il poemetto Bolivar, con questo completando la sua più importante creazione poetica. L’iter letterario di Engonopulos sostanzialmente si concluderà nel 1957 con lo scarno volumetto In fiorente parlare ellenico, dopo Il ritorno degli uccelli(1946), Avvento(1948) e L’Atlantico(1954), edito non in volume, ma nella Rivista Greco-britannica, anche questi due ultimi testi di brevissimo respiro.

Si è detto e comunemente si dice che nella sua grafia letteraria Engonopulos riflette nella maniera più piena e costante gli stilemi funzionali della morfologia poetica surrealista (“ho dentro di me il surrealismo”, soleva dire), anche se non mancherà di osservare, in certo modo contraddicendosi (1954): “Personalmente, non credo nel surrealismo in quanto scuola. Mi si addice però. E quello che ho cercato di fare è stato di innovarlo con elementi greci; aggiungergli la metafisica ellenica, innalzarlo più in alto della semplice smorfia”.

Malgrado ogni asserzione del contrario, ritengo con fermezza, tuttavia, che la poesia di Engonopulos [e non solo quella del dopoguerra, ma anche le prime due opere rispettivamente del 1938 e 1939 – a parte non molti esempi di orgiasrica espressivirà verbale(v. la poesia che qui sotto viene proposta), nella quale non si può davvero dire che possa compendiarsi tutt’intera la “qualità” surrealista del poeta (anche se, addirittura, c’è chi – J. Dallas, Embirikos/Engonopulos. La dimensione di una poetica “aperta” ed una “chiusa” in Riv. I Lexi (La Parola), n. 179, gen.-mar. 2004 – definisce Engonopulos “surrealista estremo” e “sovvertitore”), comunque sempre lontana dalla realtà surrealista evidenziata almeno nelle prime due raccolte (ma sopra tutto la prima) di Embirikos], si mantenga piuttosto, sia pure nella eccellenza di un linguaggio originale e di mimmediato impatto, ancorata ad una pur sempre significativa formulazione di elementi neorealistici e modernistici strettamente adattati ad un personalissimo percorso poetico e concettuale.

E anche per Engonopulos, come peraltro per Elitis, è facile e spontanea la giustificativa “scappatoia” di un accomodamento dell’essenza surrealista ad una qualche personale ispirazione a sua volta tributaria e testimone della particolare natura, storia e tradizione dell’uomo greco.4 Ovviamente simili criteri di giudizio non sono mai stati “applicati” alla poesia di Embirikos, appunto perchè non ve n’era alcuna necessità data la sua implicita, manifesta e vera aderenza agli originali postulati surrealisti. Basta leggere la sua poesia in prosa di Altoforno (Υψικάμινος) e i versi di Entroterra (Ενδοχώρα) per rendersene pienamente conto. Nel contempo un confronto testuale con le composizioni di Non parlare al conducente(Μην ομιλείτε εις τον οδηγόν) e I clavicembali del silenzio(Τα κλειδοκύμβαλα της σιωπής) di Engonopulos è altamente illuminante.

Così, alla frammentazione, in quest’ultimo, delle componenti programmatiche dell’idea surrealista (secondo la procedura di realizzazione esposta da Breton nel 1o Manifesto: “Decisi di ottenere da me quel che si cerca di ottenere da quelli [dai metodi di analisi freudiani sui malati, n.d.r.], cioè un monologo enunciato con la maggiore rapidità possibile, sul quale lo spirito critico del soggetto non fosse in condizione di pronunciare giudizio alcuno e che quindi non fosse frenato da nessuna reticenza; che fosse, quanto più esattamente possibile, il pensiero parlato”) e sopra tutto della particolare espressività verbale e tecnica sintattica che ne realizzano il dettato, non può farsi fronte se non riscontrando che “le sue immagini sono…avvolte nell’alone di una sensazione ellenica, assolutamente distinta in relazione alla “grecità” di altri modernisti (v. nota 4, D. Kosmòpulos): e pertanto, diluendo nella peculiarità dell’essere greco i contenuti costitutivi di una “filosofia” poetica di provenienza estera, quindi del tutto “aliena” per spirito e natura.

E quando si dice che “il surrealismo (di Engonopulos) si converte in personale linguaggio poetico”, in sostanza non si dice granchè, salvo che si voglia dire che in Engonopulos esiste una specie di “surrealismo etnicamente greco” e di ”surrealismo personale”, proprio solo a lui e di cui egli è l’”inventore”, con una speciale tecnica subcosciente ed esiti lessicali tipicamente ed esclusivamente legati al paesaggio umano, linguistico e culturale greco, ciò che è del tutto fuori senso. La “grecità” del “surrealismo” di Engonopulos è chiaro che non può accostarsi alla “grecità” di un “surrealismo” di Elitis, nè tantomeno, ma solo in quanto idea, alla “grecità” di Seferis o di Ritsos, ai quali invece si avvicina piuttosto per una certa comunanza spirituale ovviamente fuori da ogni tipologia di addentellati surrealisti dalla quale sono più o meno lontani tutte e tre.

Con la “personalizzazione” del concetto surrealista è altrettanto chiaro che si possono evitare giudizi qualunque di non appartenenza (diretta o indiretta) al “temperamento” tipico surrealista o quantomeno ad una appartenenza transitoria o superficiale o, insomma, instabile che dirsi voglia.

È stato altresì sostenuto che i contenuti della poesia (e poetica) di Engonopulos trovano la loro ascendenza più che in Breton e Soupault (e s’intuisce che si voglia alludere ai loro Champs magnétiques, prototipo della grafia automatica) e ai loro corollari programmatici, piuttosto in alcuni autori minori del panorama francese del XIX secolo, quali Aloysius Bertrand(1807-1841), Xavier Forneret(1809-1884), Pétrus Borel(1809-1859) ed ai successivi di circa mezzo secolo Charles Cros(1842-1888) e Akphonse Allais(1855-1905), tipici esponenti tutti (tranne il primo) della humeur noire e per certi versi, sopra tutto Bertrand e Forneret, considerati nelle loro non numerose e non proprio famose opere precursori degli asserti surrealisti, quasi dei surrealisti ante literam, ricordati altresì dallo stesso Breton, anche se praticamente epigoni del romanticismo, quasi “romantici surrealisti” o meglio “romantici estremisti”, e “petits maîtres” del romanticismo, come venivano allora definiti.

In verità, una certa affinità di Engonopulos con i predetti autori francesi potrebbe anche essere possibile riscontrare, sempre che si voglia considerare Engonopulos a tutti gli effetti un autentico figlio del surrealismo. Sinceramente, però, non saprei dove ricercare in lui, almeno nella poesia, la pratica realizzazione di quella scrittura automatica che invece a piene mani s’incontra in particolare nelle due citate raccolte di Embirikos, anche dato e non concesso che nello stesso Engonopulos siano sufficientemente attivi alcuni altri elementi ritenuti caratteristici della prassi o pratica surrealista: l’umor nero, il gioco di parole, la parodia, il collage, l’autoreferenza.

È quello che accade, oltre che in molti altri esempi, nei fondamentali Champs magnétiques(1919) con la collaborazione Breton-Soupault e nella non meno importante L’Immaculée Conception(1930) dello stesso Breton insieme a Èluard.

Le medesime considerazioni possono essere avanzate ove ci si rivolga allo stesso contesto letterario greco riferito al surrealismo, dove le iniziali relative manifestazioni poetiche sin dal 1930 osservano con accurata precisione i dettati della grafia automatica: la sottoindicata nota 2 chiarisce a sufficienza l’apparire delle prime esperienze greche in materia che, per motivi ancora da appurare, si sono concluse inb se stesse, immerse in un perlomeno strano oblio.

A questo punto la lettura di Una canzone per la luna potrà fornire validi elementi di giudizio relativamente a quanto esposto sin qui, ponendo il lettore in grado di formare la personale “immagine” della poesia engonopuliana al di là di una possibile controversia sulla sua ascendenza o meno surrealista.

Comunque sia, è molto probabile che la paletta pittorica di Engonopulos,10nella quale egli eccelse, decisamente ed enfaticamente surrealista, abbia influenzato la critica letteraria greca nel suo orientamento. E il fatto che lo stesso Engonopulos considerasse se stesso più pittore (surrealista) che poeta (surrealista) in ciò corroborato dal sicuro riferimento della sua opera a Giorgio De Chirico, è già indice di un preciso indirizzo filosofico-poetico nel quale egli si sente giustificato.

 UNA CANZONE PER LA LUNA

“Le vecchie lune, rispondi, si frantumano e diventano lampi.

Non vedi, ogni volta che tuona come brillano simili a spade?”

NASR ED DIN E I SUOI INEDITI


Le più belle canzoni

sono le canzoni della luna

ci sono naturalmente

molte altre

belle

canzoni

– che dico? meravigliose –

le più belle però

dobbiamo ammetterlo

sono le canzoni

della luna



quando

tes seins ruissellent d’argent1

lune

ma non t’hanno spaventato i contatti

e le carezze e le domande delle nereidi

che gridano

nella notte

il gallo

non capisce proprio nulla

nè le previsioni del tempo che gli attribuiscono

nè le

foche

che ballano nelle tenebre di Delo

come elfi

e da lontano e da vicino

sono come fredde fiamme

e sorridenti

lune



le fanciulle con le pupille dei loro occhi

sciorinano

le loro bellezze paradisiache

lune

e così sui muri sciorinano poeti

e c’è chi penzola e parla sempre di versi

e spreme il suo cuore

come spugna

e il sangue cola con argentei

riflessi lune



la nonna fila il trifoglio

il folle misura la tempesta

fumi del firmamento

come corona

una volta cinsero la vita e adesso

rimorchi di morte

come tacciono

fiori pallidi degli Epitaffi

voi

lune

verrò nei musicali requiem della tua ira

muto ed esposto

con le mani a calcolar gli anni

a sferzarti entro gli occhi

tuoi

le nevi

che scintillano sparse di naftalina e stelle

lunghi filari alberati di danzatori

nei lamenti della tua sposa venduta

saziarmi

di more bianche

che

pendono

dai tuoi capelli

le lune



indietro non tornerà – lo so –

il poco ch’è rimasto

della vita

delle lune accanto a te rose dei venti

narcisista della nebbia

le fontane

come iridano

musiche di perdizione e di spregio

in alto si alzino le mani

nelle palme

raccogliamo le forze vitali

di una singolare saggezza

che concedono

a chi le invoca appassionatamente

le lune



di certo provoca tristezza questa canzone

a colui che la legge

e colui che l’ascolta

ma sin dall’inizio non lo abbiamo nascosto:

se sono le più belle canzoni

sono naturalmente anche le più

colme di amarezza

le canzoni scritte

per le lune

eccezione – da notare – a questa regola

sono le canzoni scitte vicino

alle cascate

ed altre sopra una nave

naufragante

– mentre la sirena accompagna scompigliata –

ed altre che ha cantato

la fanciulla

con l’arpa

sotto la statua pelata dell’antica dèa

che

aspergono

le lune



chiudi le persiane e ascolta chi passa

fuori

i passi che risuonano

sono la luna

che sorge

pensa al mare e addormèntati

pensa all’amore e svègliati

disciòglile i capelli

e versaci sopra

lune



le lune dietro agli alberi

come trilli di pianoforte ci ricordano la Grecia

con i suoi flauti i suoi porti le favole

Genoveffa si compiace adesso

dell’amante Erotòcrito

l’orcio di Platone

– lo portava fino alla fonte –

gli sfuggì di mano e a pezzi sta per terra

(in mezzo ai faggi della forra

agnelli sacrificali i partigiani)

acqua di rose e sperma sono

tutt’uno

quando irrorano

la Grecia

le lune



dormi e le palpebre

e i tuoi seni stimolano

gli abili arcieri alle feritoie

qui di nuovo ci siamo trovati

nella pianura

a Examìli

la mia mano è la tua vasca da bucato

ed ora da molto appresso sento

lo strazio che dentro il tuo petto

sussulta

il tuo grido

tortora amorosa

mentre

sopra le spugne

brillano

le

lune



sopra i tetti comignolati

“sore” mattutine

piene di indolenza e fascino sfarzoso

aspettano il passo degli uccelli

autunnali

– molti uccelli stormi

che in alto nel cielo delineano come una

lettera:

la lettera che ognuno aspetta –

sopra i comignoli sono

due colombe

sotto i comignoli

sono due colombe-mani

che spargono fiori bianchi

– sono forse camelie

gardenie –

sopra le vostre impronte

magiche

lune



cavalca il destriero cavaliere e San Giorgio

nell’armadio troverai i gioielli

che porterai

per salvare i gigli delle vergini

ma

quando traversi i laghi

grida

parole d’amore

alle acque dove si specchiano

lune



criniere dèi suonano le campane

nei giardini che illuminano

lune

minaccia di mille bocche i calici del peccato

palazzi immondi dei rimorsi i carciofi

busso alla tua porta

vieni ad aprire

a mostrare

la tua impareggiabile bellezza

alle lune



alle tue sopracciglia si sono appese le lune

tramontano le lune e spada

infuocata

dietro alla collina esploratore

il nuovo Giove

via, spremi il tuo cuore:

sudore sprizzerà

il sacro sudore del lavorante morto

ingiustamente

e la lama del coltello

è luna



la schiavitù – giusto – è amarezze

tutti venite fate

il segno della croce

(una croce non è

mai invano)

guardate

ma guardate in fretta

tramonta la luna.

Da Poesie II, Ìkaros, 1985


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