Alexis Tsipras ha indossato la cravatta dopo
aver incassato l’ultimo pacchetto di aiuti all’Eurogruppo. Ma nella capitale
ellenica, nonostante i dati macroeconomici positivi, la rinascita stenta ancora
a decollare e gli effetti dell’austerity sono palpabili. Sotto la forma di
cannibalismo sociale, fenomeni di criminalità prima sconosciuti e forze
dell’ordine in sorveglianza permanente.
di Felice Meoli | 8 luglio 2018
Il sole è alto sull’Acropoli di Atene, e il
cielo limpido lascia contemplare l’estensione della città e la stratificazione
della sua storia. Ai piedi del Partenone, nei quartieri Plaka e Monastiraki, i
turisti affollano le strade, così come preannunciato poche settimane fa dal primo
ministro Alexis Tsipras. Numeri record per un’industria che fa registrare
afflussi in crescita del 13% rispetto allo scorso anno, e fanno attendere un
totale di 32 milioni di visitatori per il 2018, in un Paese che supera di poco
i 10 milioni di abitanti. Il Washington Post parla di “inaspettato sentore di
rinascita” per la capitale greca, il New York Times pubblica un lungo reportage
dal titolo Athens, Rising esaltando la ritrovata vitalità della culla della
democrazia. Dopo aver trascorso la maggior parte dell’ultimo decennio in
recessione, lo scorso anno la Grecia è tornata a crescere, registrando un
incremento del Pil dell’1,4%, e dovrebbe chiudere l’anno in corso con una
crescita del 2,3% secondo le stime della Commissione europea.
E dopo aver incassato l’ultimo pacchetto di
aiuti all’Eurogruppo del 21 giugno, Tsipras ha potuto finalmente tener fede
alla promessa di indossare la cravatta a fronte di un inizio di soluzione per
l’enorme problema del debito pubblico ellenico, avendo trainato il Paese fuori
dalle sabbie mobili dei bail-out. Sorrisi anche da Klaus Regling, managing
director dello European Stability Mechanism, il quale poche settimane fa ha
dichiarato: “La Grecia è a un passo dal diventare il prossimo esempio di
successo di questo approccio nell’area euro, purché si attenga al cammino di
riforme”. Un cammino non certo facile: dal 2008 il Pil pro capite della Grecia
ha raggiunto i 33 punti percentuali di distanza dalla media europea, e gli
ultimi 11 miliardi di euro sono costati, tra le altre cose, un inasprimento
delle tasse sugli immobili, un’accelerazione delle privatizzazioni energetiche
e una nuova riduzione della spesa per pensioni e welfare. Forse non è ancora il
momento di festeggiare.
Secondo un’indagine dell’Eurobarometro,
condotta tra il 17 e 26 marzo, i greci sono il popolo meno soddisfatto
d’Europa. Solo il 52% esprime soddisfazione per la propria vita, rispetto a una
media per l’Europa a 28 dell’83 per cento. Poco più di un terzo, il 35%,
dichiara di essere soddisfatto della situazione finanziaria della propria
famiglia: meno della metà della media Eu, al 71 per cento. Il 98% ritiene che
la situazione economica del Paese sia negativa (in Europa è il 47%) e il 50%
crede che la crisi non solo non si sia conclusa ma debba ancora peggiorare.
D’altronde nuove strette alle pensioni e innalzamenti delle tasse, già in
calendario anche per il 2019 e 2020, non fanno presagire nulla di buono. Una
fetta consistente della popolazione negli ultimi dieci anni ha già abbandonato
il Paese, e altri seguiranno. Al momento sono oltre 420mila cittadini, ed è il
terzo esodo di massa dal Paese ellenico per ragioni economiche, come ha
evidenziato la Banca di Grecia con un report a firma di Sophia Lazaretou
dall’eloquente titolo “Fleeing of human capital: contemporary migration
tendencies of the Greeks in the years of crisis”.
Il primo esodo di massa viene compreso tra il
1903 e il 1917, aveva quali destinazioni Stati Uniti, Australia, Canada e
Brasile e riguardava lavoratori non specializzati e non scolarizzati. Il
secondo esodo, compreso tra il 1960 e il 1972, fatto di lavoratori
specializzati, condusse verso Germania e Belgio. Oggi invece giovani ad alta
scolarizzazione si dirigono principalmente verso Regno Unito ed Emirati Arabi.
Nell’Unione europea Atene si posiziona al quarto posto per emigrazione in
proporzione alla forza lavoro, superata solo da Cipro, Irlanda e Lituania. Nel
2013 oltre il 2% del totale della forza lavoro greca ha lasciato il Paese. In
più della metà dei casi si tratta di giovani tra i 25 e 39 anni. “Non è una
coincidenza che tutte le tre fasi siano nate dopo un disordine recessivo che ha
ampliato il divario tra il nostro Paese e le nazioni sviluppate – ha dichiarato
Lazaretou al quotidiano Kathimerini -, e alimentato l’esodo soprattutto di
giovani, alla ricerca di nuove opportunità e potenziale di crescita”. Per chi
resta, invece, sharing economy e mercato del lavoro sommerso rappresentano una
via di mezzo tra un colpo di fortuna e la necessità di adattamento. La
disoccupazione giovanile tocca quota 43%, e la distanza tra le accademie e il
mondo del lavoro non potrebbe essere maggiore, in assenza di un mercato in
grado di assorbire gli investimenti in formazione.
Enoikiazetai. Vendesi. Un adesivo giallo, con
piccoli caratteri, si distingue ripetutamente nel panorama urbano fatto di
locali abbandonati ed esercizi commerciali con un difficile futuro. I dati
dello scorso anno forniti dalla Hellenic Confederation of Commerce and
Entrepreneurship evidenziano il 28% di negozi chiusi nel centro di Atene, in
crescita di mezzo punto rispetto alla precedente rilevazione. Nei primi anni
della crisi a prosperare erano soprattutto banchi dei pegni e compro-oro, anche
loro adesso fanno fatica avendo esaurito gran parte del mercato. I consumi
restano al palo, e lo confermano i numero rilasciati a metà giugno da Eurostat,
che ha posizionato la Grecia per il 2017 al 19esimo posto in Europa e a 23
punti di distanza dalla media Eu, preceduta direttamente da Malta, Repubblica
Ceca e Portogallo. Anche perché i prezzi di prodotti e servizi sono rimasti
pressoché stabili negli ultimi anni, sganciati dal crollo che ha investito i
salari, a causa di un mercato che vede come protagonisti monopoli e oligopoli.
Che coinvolgono anche le stesse multinazionali che producono nel Paese, e che
pure hanno beneficiato dei vantaggi offerti da un costo del lavoro ancora
inferiore rispetto al passato.
Il rischio di povertà è oggi al 35%,
raddoppiato dal 2010 e in Europa inferiore solo a Romania e Bulgaria. Non c’è
dunque molta voglia e possibilità di spendere, con un tasso di disoccupazione
che continua a superare il 20%, lontano dalla soglia del 30% a vista nel 2013,
ma considerando impiegato anche chi dichiara di aver lavorato una sola ora
nella settimana. Nel frattempo i dati relativi alla sottoccupazione nel 2016 si
dimostrano triplicati rispetto a quanto osservato nei tempi pre-crisi. E
Konstantinos Poulis, autore e giornalista, ha scritto al riguardo: “Significa
che, invece di avere persone senza lavoro, abbiamo persone povere con un lavoro
– semplicemente non le contiamo”. Ma poco importa per una società che è stata
sempre fondata spiccatamente sulla figura del capofamiglia lavoratore,
favorendo la redistribuzione di risorse all’interno del nucleo familiare,
considerata vero e proprio ammortizzatore sociale.
Per questo i pensionati hanno avuto sempre un
occhio di riguardo nelle finanze pubbliche di Atene, e hanno subìto gli effetti
della crisi in misura relativamente minore rispetto a tutte le altre categorie
sociali. I tagli sono stati inferiori alla riduzione dei redditi, e le stesse
pensioni d’oro sono state solo sforbiciate. Alimentando ulteriormente una
disuguaglianza sociale già tra i livelli più alti tra i Paesi della Eu. “I
limiti di questo sistema sono diventati evidenti quando è scoppiata la crisi.
Molti capofamiglia hanno perso i loro lavori e una considerevole parte della
popolazione è stata lasciata senza alcuna, o quasi, risorsa finanziaria”,
scrivono Eirini Andriopoulou, Alexandros Karakitsios, Panos Tsakloglou, in un
report dell’Hellenic Observatory e della London School of Economics dal titolo:
“Inequality and poverty in Greece: changes in times of crisis”.
E così, senza alcuna prospettiva come gli
11mila senzatetto di Atene, alcuni di loro hanno pensato di organizzarsi con
delle apecar di fortuna per andare al recupero di ogni oggetto potenzialmente
rivendibile dagli stracolmi cassonetti della capitale ellenica. Senza speranza,
ed è forse la rappresentazione di quell’inconscio collettivo a cui il Paese
sembra essersi consegnato dopo il caos politico del 2015, quando il governo,
esattamente tre anni fa, aveva chiamato gli elettori a raccolta per esprimersi
con un referendum sulle nuove misure di austerità volute dai creditori del
Paese, ricevendo una bocciatura dal 61 per cento. Il secondo governo Tsipras e
l’accordo di ristrutturazione del debito sono stati vissuti come un tradimento politico
e hanno seminato amarezza e disillusione, sgretolando la popolarità del primo
ministro e gran parte della fiducia nel futuro. In vista delle prossime
elezioni in calendario a ottobre 2019, i sondaggi segnalano il partito di
opposizione Nuova Democrazia intorno al 30%, dieci punti in più rispetto a
Syriza che non va oltre il 20%, mentre il Movimento per il cambiamento, che
include il Pasok, e Alba Dorata raccolgono rispettivamente il 10 e il 7 per
cento.
Da piazza Omonia a Panepistimio, lungo via Stadiou
che porta a piazza Syntagma, l’aria si fa rarefatta. Senzatetto, ambulanti,
pattuglie, un presidio sindacale, gli stand di una festa della birra convivono
con circospezione nell’arco di pochi metri. Nella zona universitaria teatro di
violenti scontri in questi anni, un uomo in camicia e abito non scende dallo
scooter e sul marciapiede offre un pasto a un clochard sotto le insegne di
Alpha Bank. Tre ragazzi abbozzano un disegno con gli spray sulle saracinesche
chiuse della domenica pomeriggio, incuranti delle volanti alle loro spalle.
“Sono stato arrestato una volta con un gruppo di amici ma la polizia è stata
molto gentile, ci ha portato in stazione e poi ci ha lasciato andare
facilmente. I graffiti sono ovunque e a nessuno importa più se dipingi un altro
po’”. Lo racconta ad Aesthetics of crisis, progetto di ricerca etnografica
sulla street art politica ateniese, l’artista ideatore di One Yuro/1€, serie di
tag presente compulsivamente in ogni angolo della città, e in particolare su
arredo urbano obsoleto e vecchie cabine telefoniche, centraline elettriche,
negozi abbandonati. “Lo scrivo soprattutto perché siamo la generazione che deve
sopravvivere con niente. La nostra generazione è la generazione del One Yuro in
questo senso: solo briciole, niente pane”.
Gli effetti dell’austerity sono palpabili:
solo nel cuore del centro storico di Atene ci sono più di 1.500 edifici
abbandonati, e andranno demoliti come già accaduto dal 1950 a oggi per un buon
80% degli edifici costruiti nell’ottocento e nel primo novecento, secondo le
stime dell’associazione Monumenta, che raccoglie archeologi e architetti.
Cancellando di fatto l’eredità dell’architettura neoclassica e del modernismo
greco. “Le persone non hanno i soldi per ristrutturarli – ha detto al Guardian
la co-fondatrice di Monumenta, Irini Gratsia. C’è il grande pericolo che molti
verranno abbattuti, e non perché i proprietari vogliono nuovi edifici, ma
perché non vogliono pagare le tasse di proprietà promulgate dall’inizio della
crisi”. In tutta la città si contano oltre 300mila case e appartamenti vuoti.
Una geografia urbanistica e sociale che tuttavia, insieme a una legislazione
permissiva, ha attirato negli ultimissimi anni creativi da tutto il mondo, che
hanno trovato espressione artistica sui muri della città. In particolare su
quelli del vicino quartiere di Exarchia dove, a dieci anni dalla morte di
Alexandros Andreas Grigoropoulos, uno studente quindicenne ucciso da una
pallottola sparata da un agente di polizia, fioriscono con più rumore gallerie
d’arte e start-up, nuove caffetterie ed esercizi commerciali.
Trasformazioni del tessuto che fanno
discutere su un potenziale fenomeno di gentrificazione che possa aver coinvolto
lo storico fortino degli anarchici e della sinistra antagonista. Il progetto
Athens social atlas, promosso dalla Fondazione Onassis e sviluppato da
Harokopio University The French School of Athens, National Centre for Social
Research e Hellenic Statistical Authority, riconosce la vivace storia del
quartiere che, favorito dalla vicinanza delle accademie, è da sempre un punto
di riferimento della contestazione politica, artistica e culturale. Ma
sottolinea sia il trasloco di parte degli storici residenti in altre zone della
città, sia un allentamento dei legami deboli tra gli abitanti del quartiere
negli ultimi anni, circostanze che hanno fatto emergere forme di cannibalismo
sociale, fenomeni di criminalità prima sconosciuti e apparire forze dell’ordine
in sorveglianza permanente. La
rinascita stenta ancora a decollare.
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