La ricerca
della soluzione all’intreccio, per il protagonista di Kierion, è anche
l’occasione per svelare le atroci macchinazioni della Χούντα, la “Giunta”. Il
cinema moderno si riappropria degli archetipi mitici, e Dimos Theos firma il
suo capolavoro. Presentato a I Mille Occhi all’interno della retrospettiva
dedicata al cineasta greco.
La ricerca
Un
giornalista è accusato dell’omicidio di un collega americano, giunto in Grecia
per indagare su alcune questioni riguardanti la politica e le compagnie
petrolifere. La polizia arresta anche un altro collega, di origini ebraiche,
che successivamente verrà ucciso. Il giornalista capisce che le autorità stanno
cercando di coprire la verità e di guidare l’opinione pubblica e così decide di
investigare per conto suo… [sinossi]
Kierion, che
I Mille Occhi riscopre a un cinquantennio dalla sua realizzazione in occasione
dell’omaggio retrospettivo dedicato a Dimos Theos, è un film che si incunea nel
dibattito sul cinema moderno rivendicando in ogni singolo passaggio il legame
con un archetipo tragico e mitico che la Grecia non può spezzare, neanche la
Grecia dei Colonnelli, quella della Χούντα, la “Giunta”, la serie di governi
militari e anticomunisti che spazzarono via la già traballante democrazia della
nazione. Parte da un evento reale Kierion, l’omicidio del giornalista della CBS
George Polk, veterano della Seconda Guerra Mondiale trovato morto nel 1948 con
un foro di proiettile nella nuca e le mani e le gambe legate; da principio la
colpa dell’assassinio venne fatta ricadere su membri del Partito Comunista, ma
poco per volta si iniziò a comprendere come Polk fosse rimasto vittima di un
gruppuscolo di estrema destra collegato al potere militare e agli affari che
legavano la Grecia agli Stati Uniti d’America. Nel riprendere questa controversa
vicenda, uno dei tanti e tristi misteri della Grecia del dopoguerra, afflitta
da un guerra civile che vedrà sconfitta la DSE, Dimokratikos Stratos Elladas,
Theos non si “accontenta” di mettere in scena i fatti, ma compie un primo e
determinante atto politico: sposta l’azione dal 1948 al tempo delle riprese.
Una scelta che assume da subito un forte connotato politico: non solo la Grecia
non è cambiata, ma la prospettiva a ridosso del 1968, mentre l’Europa ribolle
di manifestazioni in cui la borghesia e il proletariato cercano – senza
trovarlo, a lungo andare – un punto di incontro e di dibattito, è quella di una
dittatura ancor più rigida, ancor più ferale, ancor meno democratica.
Non è certo
un caso che Kierion rimanga all’epoca pressoché invisibile, eccezion fatta per
la partecipazione alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e per qualche
sparuto passaggio televisivo: in Grecia non sarà possibile proiettarlo fino al
1974, anno della nascita della Terza Repubblica Ellenica e del disfacimento definitivo
della Giunta. Nel 1974, in ogni caso, potrà uscire nelle sale di Atene solo con
un montaggio leggermente diverso da quello originale. Come l’amico e
collaboratore Stavros Tornes – a cui dedicherà l’appassionato Stavros Tornes, o
photographos tis diasporas kai tou ephimerou, a un anno dalla morte –, come
Theo Angelopoulos, come Costa-Gavras, anche Theos rappresenta con il suo cinema
la diaspora, la messa in discussione eterna di una nazione che spazza via la
sua filosofia, i dettami basici della sua tragedia, per aderire a un moderno di
cui sposa solo le attitudini più mostruose e sanguinarie.
Kierion,
ammantato da un’affascinante ombreggiatura thriller, è un film alla costante
ricerca: ricerca della verità, per scoprire cosa è davvero successo; ricerca di
sé per il protagonista, il giornalista Vagenas; ricerca infine della stessa
Grecia, nazione resa barbara eppure così “normale” nella sua postura
capitalista, come dimostrano con eccellente precisione le riprese per strada
dell’incipit e del finale. Tutta quella massa borghese che si muove senza
preoccupazione, senza istinto alla ribellione di fronte alle imposizioni di un
potere dittatoriale, tutta quella massa borghese è l’esemplificazione di una
disfatta per la quale non esiste, invero, alcuna redenzione.
Chi si
oppone, chi si permette il lusso del dubbio, nella Grecia di Kierion, viene
messo a tacere. Senza eccezione alcuna. Dimos Theos non segue traiettorie
abituali al cinema greco, non sembra neanche appartenere alla sua stessa
generazione: ne anticiperà molti dei motivi dominanti, anche se oggi in molti
sembrano averlo dimenticato. Come un oggetto che non può avere inizio né fine,
Kierion (il film viene chiamato così per abitudine, ma in realtà non esiste un
titolo di testa o di coda che giustifichi l’utilizzo del termine, il nome del
luogo natio del regista che però non è neanche presente tra le location…) non
appartiene di fatto a nessun tempo: se il suo protagonista riecheggia la
disperata ricerca dell’io di molto cinema moderno a lui coevo, questo aspetto –
del tutto volontario – si mescola a una riflessione mai banale sull’archetipo,
sul mito, sulle radici. Si parte da un testo di Strabone che irrompe sullo
schermo dopo i nomi del cast e della troupe, e come il geografo che fu diviso
tra la scuola Stoica e quella Peripatetica, anche Theos sembra muoversi in un
limbo atemporale e in grado di ridefinire lo spazio. L’errabonda ricerca di
verità di Vagenas è il fulcro di un noir imbastardito, così spudoratamente
politico da trasformare ogni singola immagine in icona, in interpretazione
della realtà e sua codificazione in uno schema filosofico che non accetta
compromessi con il potere.
È un film da
anno zero, Kierion, un film che rifiuta la prassi e che cerca di dimostrare
come la mancanza della stessa possa germinare il dubbio, e quindi
l’interrogativo, unico elemento essenziale per la dialettica, per la
prospettiva politica, per la lettura del quotidiano e non l’accettazione prona
di quanto arriva dall’istituzione. Ciò che conta, di fatto, non è la risposta a
un quesito, utile solo per il solletico borghese alla lettura di un giallo. Ciò
che conta è il fatto che venga sollevato il dubbio, che si ponga in essere una
questione, che si articoli una domanda. Ciò che conta è la ricerca, la
imperterrita richiesta di una libertà che lo Stato vuol negare. Il montaggio
del film fu finito, a quanto si legge, in Gran Bretagna, dove Theos si era
rifugiato per scampare al dominio della dittatura. Esule, come Costa-Gavras
destinato a raggiungere la Francia e Tornes accolto invece dall’Italia (la
stessa Italia che, nelle oscure manovre fasciste di Almirante, permise a molti
esponenti dell’estrema destra greca di bighellonare nella penisola). Esule e
senza patria, come molti (anti)eroi della tragedia. C’è sempre una tensione
verso la radice, nel cinema di Dimos Theos, e lo dimostreranno ancor più
Diadikasia (1976) e Kapetan Meitanos (1987), veri e propri tuffi nel passato.
Ma l’afflato rivoluzionario, nelle forme e nel contenuto, di Kierion, illumina
anche l’oggi, in quella Grecia afflitta da un’eterna crisi, schiava di
un’Europa che a parole la considera sua “madre”. Una madre eternamente
stuprata, come tragedia vuole.
Info
Kierion sul sito de I Mille Occhi.
Genere: drammatico,
thriller
Titolo
originale: Kierion
Paese/Anno:
Grecia | 1968
Regia: Dimos
Theos
Sceneggiatura:
Costas Sfikas, Dimos Theos
Fotografia:
George Panoussopoulos
Montaggio:
Vangelis Serdaris
Interpreti:
Anestis Vlachos, Costas Sfikas, Dimos Starenios, Eleni Theofilou, Elly
Xanthaki, Grigoris Massaias, Kyriakos Katsourakis, Pantelis Voulgaris, Stavros
Konstandarakos, Stavros Tornes, Theo Angelopoulos, Titika Vlachopoulou, Tonia
Marketaki
Produzione:
Dimos Theos, Giorgos Papalios
Durata: 86'
Raffaele
Meale
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