Benedetto
Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) è stato un
filosofo, storico, politico, critico letterarioe scrittore italiano, principale
ideologo del liberalismo novecentesco italiano ed esponente del
neoidealismo[1].
Presentò il suo idealismo come storicismo assoluto, giacché «la filosofia non può essere altro che "filosofia dello spirito" [...] e la filosofia dello spirito non può essere altro che "pensiero storico"», ossia «pensiero che ha come contenuto la storia», che rifugge ogni metafisica, la quale è «filosofia di una realtà immutabile trascendente lo spirito»[2]. In funzione anti-positivistica, nella filosofia crociana, la scienza diventa la misuratrice della realtà, sottomessa alla filosofia, che invece comprende e spiega il reale. Fu tra i fondatori del ricostituito Partito Liberale Italiano, assieme a Luigi Einaudi.[3]
Con Giovanni
Gentile – dal quale lo separarono la concezione filosofica e la posizione
politica nei confronti del fascismo dopo ildelitto Matteotti – è considerato
tra i maggiori protagonisti della cultura italiana ed europea della prima metà
del XX secolo, in particolare dell'idealismo.
La filosofia
crociana, ispirata al liberalismo sociale e improntata alla storiografia, ebbe
grande influenza sulla cultura italiana, specificatamente per il suo pensiero
politico; in particolare è ricordato come guida morale dell'antifascismo con la
sua "religione della libertà"[4], tanto che fu anche proposto come
Presidente della Repubblica italiana[5]. Alcune riserve alla sua estetica, tra
cui alla critica letteraria (in particolare alla sua definizione di «poesia») e
alla superiorità attribuita da Croce alla filosofia sulle scienze nell'ambito
della logica, sono state, tuttavia, espresse in tempi successivi.[4]
D'altra
parte, il pensiero, specialmente quello politico, di Croce ha goduto di
apprezzamenti più recenti e di una "riscoperta" anche al di fuori
dell'Italia, in Europa e nel mondo anglosassone (specialmente gli Stati Uniti),
dove è riconosciuto come uno dei più eminenti teorici del liberalismo europeo e
un autorevole oppositore a ogni totalitarismo, in maniera analoga a pensatori
come Karl Popper.[6]
Indice
1Biografia
1.1Il
terremoto di Casamicciola
1.2Primi
contatti con gli intellettuali
1.3Il
ritorno a Napoli
1.4La
fondazione de La critica e la vita politica
1.5Posizione
nella prima guerra mondiale
1.6La
rottura col fascismo e il Manifesto degli intellettuali antifascisti
1.7Il
rapporto con la cultura cattolica
1.8Il
fascismo come "malattia morale"
1.8.1Polemica
sulla Giornata della fede
1.8.2Contro
le leggi razziali
1.9Il
rientro nella vita politica
1.10Vita
privata
2.L'opera e
il pensiero
2.1Hegel e
la dialettica
2.2Estetica
2.2.1Critica
letteraria
2.3Logica
2.3.1Il
rapporto conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali
2.4Filosofia
della pratica
2.5Teoria e
storia della storiografia
2.5.1La
storia e lo spirito: lo storicismo assoluto
3.Onorificenze
4.Opere
4.1Filosofia
dello spirito
4.2Saggi
filosofici
4.3Scritti
vari
4.4Scritti
di Storia letteraria e politica
4.5Edizione nazionale
5.Note
6.Bibliografia
7.Voci
correlate
8.Altri
progetti
9.Collegamenti
esterni
Biografia
« ... e su
questo terreno, traballante a ogni passo, dobbiamo fare il meglio che possiamo
per vivere degnamente, da uomini, pensando, operando, coltivando gli affetti
gentili; e tenerci sempre pronti alle rinunzie senza per esse disanimarci »
(Benedetto
Croce dai Taccuini (marzo 1944) in Scritti e discorsi politici, Vol. I, pp.
276-277)
Nacque a
Pescasseroli, in Abruzzo, il 25 febbraio 1866. I genitori appartenevano a due
agiate famiglie abruzzesi: la famiglia Sipari, quella materna, nativa di
Pescasseroli e radicatasi anche in Capitanata e Terra di Lavoro, più legata
agli ideali liberali, l'altra, quella paterna, di stampo borbonico, originaria
di Montenerodomo (in provincia di Chieti),[7] ma trapiantatasi a Napoli. Croce
crebbe in un ambiente profondamente cattolico dal quale però, ancora
adolescente, si distaccò, non riaccostandosi più per tutta la vita alla
religiosità tradizionale.
Il terremoto
di Casamicciola
A
diciassette anni perse i genitori, Pasquale e Luisa Sipari, e la sorella Maria,
periti il 28 luglio 1883 nel terremoto di Casamicciola, nell'isola di Ischia,
dove Croce si trovava in vacanza con la famiglia. Un terremoto disastroso
durato 90 secondi - e rimasto come esempio terribile di distruzione nel modo di
dire delle popolazioni coinvolte - dove lo stesso Benedetto rimase «sepolto per
parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo»[8].
Il
"problema del male", in sottofondo alla sua filosofia ottimistica sul
progresso, rimarrà insoluto, quasi negato, e dietro le quinte del suo pensiero,
influenzato da questi eventi giovanili come evidenziato dalle meditazioni
private dei Taccuini personali.[9]
« Quegli
anni furono i miei più dolorosi e cupi: i soli nei quali assai volte la sera,
posando la testa sul guanciale, abbia fortemente bramato di non svegliarmi al
mattino, e mi siano sorti persino pensieri di suicidio.[10] »
Fra i primi
ad accorrere in suo aiuto fu il cugino Paolo Petroni, la famiglia del quale lo
assisté affettuosamente nei mesi seguenti nella loro residenza di campagna a
San Cipriano Picentino[11], poco distante da Salerno. In seguito a questo
tragico episodio fu affidato, assieme al fratello superstite Alfonso
(1867-1948), alla tutela del cugino Silvio Spaventa, figlio della prozia Maria
Anna Croce e fratello del filosofo Bertrando Spaventa, che mise da parte i
dissapori che aveva con la famiglia Croce e lo accolse nella casa romana dove
Benedetto visse fino all'età di vent'anni.[12]
Primi
contatti con gli intellettuali
Nel circolo
culturale nella casa dello zio Silvio, Croce ebbe modo di frequentare
importanti uomini politici ed intellettuali tra cui Labriola che lo inizierà al
marxismo. Pur essendo iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'Università
di Napoli Croce frequentò le lezioni di filosofia morale a Roma tenute dal
Labriola. Non terminò mai i suoi studi universitari, ma si appassionò a studi
eruditi e filosofici, trascurando il pensiero hegeliano, di cui criticava la
forma incomprensibile.
Il ritorno a
Napoli
Lasciata la
Roma troppo accesa di passioni politiche, Croce nel 1886 tornò a Napoli, dove
acquistò, per abitarvi, la casa dove aveva trascorso la sua vita Giambattista
Vico, il filosofo napoletano amato da Croce per la concezione filosofica
anticipatrice, per certi aspetti, della sua. Nel 1890 fu tra i fondatori della
Società dei Nove Musi un cenacolo di intellettuali.
Foto di
gruppo con il giovane Benedetto Croce (terzo da sinistra, in piedi)
Compì
numerosi viaggi in Spagna, Germania, Francia ed Inghilterra mentre nella sua
formazione culturale cresceva l'interesse per gli studi storici e letterari, in
particolare per la poesia di Giosuè Carducci, e per le opere di Francesco De
Sanctis. Nel 1895, attraverso Antonio Labriola con cui era rimasto in contatto,
si interessò al marxismo, di cui però criticava come astorica la visione che
dava delcapitalismo. Da Marx risalì alla filosofia hegeliana che cominciò ad
apprezzare e ad approfondire.
La
fondazione de La critica e la vita politica
Nel gennaio
del 1903 uscì il primo numero della rivista La critica, con la collaborazione
di Giovanni Gentile, e stampata a sue spese fino al1906, allorché subentrò
l'editore Laterza. Venne nominato per censo senatore nel 1910 e dal 1920 al
1921 fu Ministro della Pubblica Istruzione[13] nel quinto e ultimo governo
Giolitti[14]. Con regio decreto del 21 maggio 1920 gli fu concesso il titolo di
"Nobile". Elaborò una riforma della pubblica istruzione che fu poi
ripresa e attuata da Giovanni Gentile.
Posizione
nella prima guerra mondiale
« Ardenti e
vivacissime furono in quei dieci mesi le polemiche tra «interventisti» e
«neutralisti», come erano chiamati. [...] non si può dire che [gli
interventisti] avessero torto, come non si può dire che l'avessero i loro
oppositori, perché dissidî di questa sorta non sono materia, nonché di
tribunali, neppure di critica scientifica, e hanno questo carattere entrambe le
tesi, appassionatamente difese, sono necessarie per l'effetto politico e, come
suona il motto, che, se una delle due opposizioni non ci fosse, converrebbe
inventarla. Più di un cosiddetto «neutralista» si sentiva talvolta scosso dalla
tesi avversaria e inclinava ad accoglierla, e il medesimo accadeva a più di un
«interventista». »
(Benedetto
Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari, Laterza, 1943.)
Il filosofo,
nella scelta tra le due posizioni, neutralismo o interventismo alla prima
guerra mondiale, si rivolse alla prima; ma il suo era un neutralismo che
contemperava le posizioni liberali con la possibilità dell'intervento (rimase
comunque poco favorevole alla guerra, e, non obbligato ad arruolarsi, per
limiti di età - 49 anni -, non andò mai al fronte a differenza di altri
intellettuali come D'Annunzio, volontario a 52 anni).[15]. Infatti, come
scriveva a Henry Bigot nel 1914, era «pronto ad
accettare quella guerra che saremo costretti a fare, quale che sia, anche
contro la Germania, ad accettarla come una dolorosa necessità, risoluto a non
provocarla per ragioni antinazionali e settarie» »
(B. Croce,
Epistolario, vol. I, Napoli 1967, p. 3.)
La rottura
col fascismo e il Manifesto degli intellettuali antifascisti
«
Contaminare politica e letteratura, politica e scienza è un errore, che, quando
poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e
prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi nemmeno un
errore generoso. E non è nemmeno, quello degli intellettuali fascisti, un atto
che risplende di molto delicato sentire verso la patria, i cui travagli non è
lecito sottoporre al giudizio degli stranieri, incuranti (come, del resto, è
naturale) di guardarli fuori dei diversi e particolari interessi politici delle
proprie nazioni. »
(Benedetto
Croce, Manifesto degli intellettuali antifascisti)
Benedetto
Croce nella sua biblioteca
Inizialmente
vicino al fascismo (ascoltò e applaudì il discorso di Mussolini al teatro San
Carlo di Napoli del 24 ottobre 1922[16], durante l'adunata preparatoria per la
marcia su Roma), Croce scrisse su Il Giornale d'Italia del 9 luglio 1924 che il
regime mussoliniano «non poteva e non doveva essere altro che un ponte di
passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale», ma se ne
allontanò definitivamente dopo il delitto Matteotti[17] e allorché scrisse, su
sollecitazione di Giovanni Amendola, il Manifesto degli intellettuali
antifascisti in replica al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni
Gentile.[18] La pubblicazione di questo scritto sul quotidiano Il Mondodel 1º
maggio 1925, sancì per Croce, non solo lo smarcamento dalle posizioni fasciste
che gli fece guadagnare – secondo Bobbio – le qualità di «coscienza morale
dell'antifascismo italiano» e di «filosofo della libertà»,[19] ma altresì la
rottura dell'amicizia con Gentile, causata, appunto, dalle divergenze
filosofiche e politiche sopravvenute. Egli rimase l'unica voce fuori dal coro
tollerata dal regime.[20]
Cionondimeno,
nelle votazioni al Senato del 24 giugno 1924 fu come Gentile e Morello, tra i
225 votanti la fiducia al governo Mussolini.[21]In seguito Benedetto Croce
spiegò in un'intervista che il suo non era stato un voto fascista, aveva votato
a favore del regime perché pensava che Mussolini, se sostenuto, poteva esser
sottratto all'estremismo fascista a cui Croce faceva risalire la responsabilità
del delitto Matteotti.
« Abbiamo
deciso di dare il voto di fiducia. Ma, intendiamoci, fiducia condizionata.
Nell'ordine del giorno che abbiamo redatto è detto esplicitamente che il Senato
si aspetta che il Governo restauri la legalità e la giustizia, come del resto
Mussolini ha promesso nel suo discorso. A questo modo noi lo teniamo
prigioniero, pronti a negargli la fiducia se non tiene fede alla parola data.
Vedete: il fascismo è stato un bene; adesso è divenuto un male, e bisogna che
se ne vada. Ma deve andarsene senza scosse, nel momento opportuno, e questo
momento potremo sceglierlo noi, giacché la permanenza di Mussolini al potere è
condizionata al nostro beneplacito.[22] »
Successiva a
questa data, sarà quindi anche la rottura con la persona stessa di
Mussolini.[23]
« In che mai
consisterebbe il nuovo evangelo, la nuova religione, la nuova fede, non si
riesce a intendere dalle parole del verboso manifesto; e, d'altra parte, il
fatto pratico, nella sua muta eloquenza, mostra allo spregiudicato osservatore
un incoerente e bizzarro miscuglio di appelli all'autorità e di demagogismo, di
proclamata riverenza alle leggi e di violazione delle leggi, di concetti
ultramoderni e di vecchiumi muffiti, di atteggiamenti assolutistici e di
tendenze bolsceviche, di miscredenza e di corteggiamenti alla Chiesa cattolica,
di aborrimenti della cultura e di conati sterili verso una cultura priva delle
sue premesse, di sdilinquimenti mistici e di cinismo. (...) Per questa caotica
e inafferrabile "religione" noi non ci sentiamo, dunque, di abbandonare
la nostra vecchia fede: la fede che da due secoli e mezzo è stata l'anima
dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna; quella fede che si compose di
amore alla verità, di aspirazione alla giustizia, di generoso senso umano e
civile, di zelo per l'educazione intellettuale e morale, di sollecitudine per
la libertà, forza e garanzia di ogni avanzamento. »
(Manifesto
degli intellettuali antifascisti)
Il rapporto
con la cultura cattolica
« Pure
filosofo quale sono [...] io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale
compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo, e il cristianesimo ho
ricevuto e serbo, lievito perpetuo, nella mia anima[24] »
Il rapporto
di Croce con la cultura cattolica variò nel corso del tempo. Agli inizi del
Novecento i filosofi idealisti, come Croce e Gentile, avevano esercitato
assieme alla cultura cattolica una comune critica al positivismo ottocentesco.
Alla fine degli anni venti vi era stato un progressivo allontanamento della
cultura laica e idealistica dalla cultura cattolica. Croce, pur non essendo un
anticlericale militante, riteneva importante la separazione liberale tra Chiesa
e Stato, propugnata da Cavour.[25]
L'11
febbraio 1929 la Chiesa con i Patti Lateranensi aveva ormai raggiunto un
rapporto equilibrato con le istituzioni statali italiane distaccandosi quindi
dalle posizioni politiche antifasciste dell'idealismo crociano. Croce fu
contrario al Concordato e dichiarò apertamente in Senato che «accanto o di
fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i
quali l'ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi,
perché è affare di coscienza.»[26]
Mussolini
gli rispose dichiarandolo «un imboscato della storia», e accusando il filosofo
di passatismo e di viltà di fronte al progresso storico.[27] Quando Croce
scrisse la Storia d'Europa nel secolo decimonono, il Vaticano criticò
aspramente l'autore che difendeva le filosofie esaltanti una religione della
libertà senza Dio. Il Sant'Uffizio pose all'Indice nel1932 questo libro ma, non
ottenendo negli anni successivi da Croce un qualsiasi ripensamento, nel 1934
inserì nell'elenco dei libri proibiti tutti i suoi scritti.[28]
La polemica
anti-concordataria crociana vide l'adesione del giovane filosofo nonviolento e
liberalsocialista Aldo Capitini che nell'autunno del 1936 a Firenze, a casa di
Luigi Russo, aveva avuto modo di conoscere Croce, a cui aveva consegnato un
pacco di dattiloscritti che il filosofo napoletano aveva apprezzato e fatto
pubblicare nel gennaio dell'anno seguente presso l'editore Laterza di Bari con
il titolo Elementi di un'esperienza religiosa. In poco tempo gli Elementi
diventarono uno tra i principali riferimenti letterari della gioventù
antifascista.[29]
La posizione
personale di Croce nei confronti della religione cattolica è ben espressa nel
suo saggio Perché non possiamo non dirci "cristiani", scritto nel
1942. Il termine "cristiani" inserito nel titolo tra virgolette non
voleva indicare l'adesione a un credo confessionale, bensì la consapevolezza di
un'inevitabile appartenenza culturale rappresentata nella sua particolare
prospettiva dal fenomeno del cristianesimo: non si trattava di una professione
di fede cristiana dovuta a un rinnegamento dell'agnosticismo[30] come volle
fare intendere la propaganda fascista[31], ma di riconoscere il valore storico
e di «rivolgimento spirituale»:
« Il
cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai
compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di
conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non
maraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione
dall'alto, un intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto
legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori
scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo
confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. Tutte, non escluse
quelle che la Grecia fece della poesia, dell'arte, della filosofia, della
libertà politica, e Roma del diritto: per la capacità dei princìpi cristiani di
contrastare il neopaganesimo e l'ateismo propagandati dal nazismo e dal
comunismo sovietico [32]: »
« ...sono
profondamente convinto e persuaso che il pensiero e la civiltà moderna sono
cristiani, prosecuzione dell'impulso dato da Gesù e da Paolo. Su di ciò ho
scritto una breve nota, di carattere storico, che pubblicherò appena ne avrò lo
spazio disponibile. Del resto non sente Ella che in questa terribile guerra
mondiale ciò che è in contrasto è una concezione ancora cristiana della vita
con un'altra che potrebbe risalire all'età precristiana, e anzi pre-ellenica e
pre-orientale, e riattaccare quella anteriore alla civiltà, la barbarica
violenza dell'orda? [33] »
Croce, in
sintesi, vede nel cristianesimo il fondamento storico della civiltà occidentale
ma non ripudia l'immanentismo radicale del suo pensiero che vede nella religione
un momento della realizzazione storica dello spirito che si avvia, superandolo,
ad una più alta sintesi.[34]
All'Assemblea
Costituente lotterà contro l'inserimento, voluto dalla DC, e dal comunista
Togliatti [35], dei Patti Lateranensi nel secondo comma dell'articolo 7 della
Costituzione della Repubblica Italiana, giudicandolo come "sfacciata
prepotenza pretesca".[25] In vista delle elezioni politiche del 1948,
tuttavia, si accordò con il segretario della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi,
per dare vita a un manifesto comune, Europa, cultura e libertà, contro i
totalitarismi passati e presenti. A seguito della vittoria della DC, replicò
severamente ai laici benpensanti schierati col Fronte Popolare che
sbeffeggiavano il ceto umile e contadino di cui era composto in prevalenza
l'elettorato cattolico:
« Beneditele
quelle beghine di cui ridete, perché senza il loro voto e il loro impegno oggi
non saremmo liberi.[36] »
Nel 1949,
lasciando disposizioni per la sua morte (che avverrà tre anni dopo) scriverà
invece che la sensibilità religiosa della moglie cattolica le consentirà di
evitare che un sacerdote tenti di "redimerlo" all'ultimo minuto,
perché è "cosa orrenda profittare delle infermità per strappare a un uomo
una parola che sano egli non avrebbe mai detta".[25]
Il fascismo
come "malattia morale"
Benedetto
Croce
« Il mio
liberalismo è cosa che porto nel sangue, come figlio morale degli uomini che
fecero il Risorgimento italiano, figlio di Francesco De Sanctis e degli altri
che ho salutato sempre miei maestri di vita. La storia mi metterà tra i
vincitori o mi getterà tra i vinti. Ciò non mi riguarda. Io sento che ho quel
posto da difendere, che pel bene dell'Italia quel posto dev'essere difeso da
qualcuno, e che tra i qualcuni sono chiamato anch'io a quell'ufficio. Ecco
tutto. »
(Lettera a
Vittorio Enzo Alfieri del 10 ottobre 1925)
Dopo un
breve appoggio al movimento antifascista Alleanza Nazionale per la Libertà
(1930), fondato dal poeta Lauro De Bosis, si allontanò dalla vita politica[37],
continuando peraltro ad esprimere liberamente le sue idee politiche, senza che
il regime fascista lo censurasse, almeno esplicitamente[38].
L'unico atto
di ostilità violenta ed esplicita compiuto dal fascismo verso Croce fu la
devastazione della sua casa napoletana avvenuta nel novembre del 1926[39].
Negli anni successivi, quelli della sua affermazione e del cosiddetto
“consenso”, il fascismo ritenne Croce un avversario poco temibile, sostenitore
com'era della tesi di un fascismo inteso come "malattia morale" inevitabilmente
superata dal progresso della storia. Inoltre la fama di Croce presso l'opinione
pubblica europea lo proteggeva da interventi oppressivi da parte del regime.
Ebbe altresì blandi rapporti culturali con intellettuali in qualche modo vicini
al regime, anche se marginali, come un carteggio epistolare con il
tradizionalista Julius Evola, a cui espresse l'apprezzamento formale per due
opere, da pubblicare presso Laterza con il benestare dello stesso Croce, Saggi
sull'idealismo magico, Teoria dell'individuo assoluto e, successivamente, La
tradizione ermetica.[40][41][42]
Nel 1931 il
governo fascista richiese ai docenti delle università italiane un atto di
formale adesione al regime in base all'articolo 18 del regio decreto n. 1227
del 28 agosto 1931[43] (il cosiddetto giuramento di fedeltà al fascismo). A
seguito di tale provvedimento, i docenti avrebbero dovuto giurare di essere
fedeli non solo "alla patria", secondo quanto già imposto dal
regolamento generale universitario del 1924, ma anche al regime fascista.[44].
In quell'occasione, Croce incoraggiò professori come Guido Calogero eLuigi
Einaudi a rimanere all'università, «per continuare il filo dell'insegnamento
secondo l'idea di libertà»[45].
Se la sua
figura fu importante per l'area politica del liberalismo, la sua scuola ebbe
durante tutto il ventennio fascista una platea assai più ampia di allievi[46]:
del resto, già prima dalle sue idee avevano tratto esempio anche Antonio
Gramsci[47] e il gruppo comunista de L'Ordine Nuovo.
Polemica
sulla Giornata della fede
La non
adesione di Croce al fascismo parve messa in discussione dal gesto compiuto nel
1935 durante la Guerra d'Etiopia, quando il filosofo, in occasione della
"Giornata della fede" donò la propria medaglietta da senatore
accompagnandola con questa secca lettera al presidente del Senato:
«
Eccellenza, quantunque io non approvi la politica del Governo, ho accolto in
omaggio al nome della Patria, l'invito dell'E.V., e ho rimesso alla questura
del Senato la mia medaglia, che ha la data del 1910[48] »
Il gesto
“suscitò negli ambienti dell'antifascismo italiano, in patria e all'estero,
sorpresa, dolore e polemiche” che colpirono dolorosamente Croce. Al termine di
un drammatico colloquio con Bianca Ceva, inviata a sostenere il punto di vista
degli antifascisti, dopo un iniziale tentativo di giustificazione, Croce
affermò: “dica che io sono sempre lo stesso, che sono sempre con loro...”[49].
Contro le
leggi razziali
Nel 1938 il
regime varò la legislazione antisemita (Croce non era presente nell'aula del
Senato, quale forma di protesta; egli fu uno dei pochi a esprimersi contro di
esse a livello pubblico). Il governo inviò a tutti i professori universitari e
i membri delle accademie un questionario da compilare ai fini della
classificazione "razziale". Tutti gli interpellati risposero. L'unico
intellettuale non ebreo che rifiutò di compilare il questionario fu Croce.
« L'unico
effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo
me, che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme di protestare
che non sono ebreo, proprio quando questa gente è perseguitata.[50] »
Il filosofo,
invece di restituire compilata la scheda, inviò una lettera al presidente
dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, in cui scrisse sarcasticamente:
«
Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto
rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito, preferendo di
farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso domandare a un uomo che ha circa
sessant'anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita politica del suo
paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose? »
(Benedetto
Croce a Luigi Messedaglia, Presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere
e Arti di Venezia, 21 settembre 1938, in A. CAPRISTO, L’espulsione degli ebrei
dalle accademie italiane, Torino, Zamorani, 2003, p. 38.)
Croce fu
quindi espulso da quasi tutte le accademie di cui era membro, comprese
l'Accademia Nazionale dei Lincei e la Società Napoletana di Storia Patria.
All'Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, unica accademia che lo mantenne socio, alla
fine della guerra Croce riconoscerà il merito di non averlo espulso durante il
regime fascista.[51].
Dopo aver
denunciato la persecuzione degli ebrei, Croce però critica anche gli
atteggiamenti degli ebrei stessi, sia quelli che avevano aderito al fascismo,
sia quelli che vivevano "separati", ritenendo la specificità ebraica
come pericolosa per gli ebrei stessi:
« Quando
s'iniziò l'infame persecuzione contro gli ebrei, io ebbi, con un brivido di
orrore, la piena rivelazione della sostanziale delinquenza che era nel
fascismo, come chi fosse costretto ad assistere allo sgozzamento a freddo di un
innocente e mi misi di lancio dalla loro parte con tutto l'esser mio per fare
quello (...) che per loro si poteva a lenire o diminuire il loro strazio (...)
Molti danni e molte iniquità compiute dal fascismo non si possono ora riparare
per essi come per altri italiani che le soffersero, né essi vorranno chiedere
privilegi o preferenze, e anzi il loro studio dovrebbe essere di fondersi
sempre meglio con gli altri italiani; procurando di cancellare quella distinzione
e divisione nella quale hanno persistito nei secoli e che, come ha dato
occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere ne dia ancora in
avvenire... [l'idea di] popolo eletto, che è tanto poco saggia che la fece
suaHitler, il quale, purtroppo, aveva a suo uso i mezzi che lo resero ardito a
tentarne la folle attuazione... [essi] disconoscono le premesse storiche
(Grecia, Roma, Cristianità) della civiltà di cui dovrebbero venire a fare
parte. »
(Lettera a
Cesare Merzagora[52][53])
Espresse
quindi una posizione di perplessità per il sionismo.[54]
Il rientro
nella vita politica
Dopo la
caduta del regime Croce rientrò in politica, accettando la nomina a presidente
del Partito Liberale Italiano. Durante la Resistenza cercò di mediare tra i
vari partiti antifascisti e nel 1944 fu Ministro senza portafoglio nel secondo
governo Badoglio, benché non stimasse né il Maresciallo né il re Vittorio
Emanuele III, a causa della loro compromissione col fascismo.[55] Subito dopo
la liberazione di Roma (giugno 1944) entrò a far parte del secondo governo
Bonomi, sempre come ministro senza portafoglio, ma diede le dimissioni qualche
mese dopo, il 27 luglio. Egli avrebbe preferito l'abdicazione diretta del
sovrano in favore del piccolo Vittorio Emanuele (con rinuncia di Umberto al
trono), la reggenza a Badoglio e l'incarico di capo del governo a Carlo Sforza,
ma gli inglesi si opposero.[56]
Al
referendum sulla forma dello Stato (2 giugno 1946) votò per la monarchia[57],
inducendo tuttavia il Partito Liberale (di cui rimane presidente fino al 30
novembre 1947) a non schierarsi, per far sì che prevalesse sulla questione
piena ed effettiva libertà di scelta, e dichiarando in seguito: «il buon senso
fece considerare a quei milioni di votanti favorevoli alla monarchia, che, se
anche essi avessero riportato la maggioranza legale, una monarchia con debole
maggioranza non avrebbe avuto il prestigio e l'autorità necessaria, e perciò
meglio valeva accettare la forma nuova della Repubblica e procurar di farla
vivere nel miglior modo, apportandovi lealmente il contributo delle proprie
forze.»[58]
Benedetto
Croce con Enrico Altavilla e il Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola
Concetti che
Croce aveva, nella loro sostanza, già espresso; ben prima che Umberto II, nel
messaggio del 13 giugno 1946, ribadisse tale indicazione.[59]. Eletto
all'Assemblea Costituente, non accettò la proposta di essere candidato a Capo
provvisorio dello Stato, così come in seguito rifiutò la proposta, avanzata da
Luigi Einaudi, di nomina a senatore a vita[60]. Si oppose strenuamente alla
firma del Trattato di pace, con un accorato e famoso intervento all'Assemblea
costituente, ritenendolo indecoroso per la nuova Repubblica.
Nel 1946
fondò a Napoli l'Istituto italiano per gli studi storici destinando per la sede
un appartamento di sua proprietà, accanto alla propria abitazione e biblioteca
nel Palazzo Filomarino dove oggi ha sede la Fondazione Biblioteca Benedetto
Croce. Tra il 1949 e il 1952 fu Presidente dell'associazione PEN International.
Per un ictus
cerebrale, sopravvenuto nel 1949, rimase semiparalizzato e si ritirò in casa
continuando a studiare: morì seduto in poltrona nella sua biblioteca il 20
novembre 1952, all'età di 86 anni. I funerali solenni si tennero nella sua
Napoli e le sue spoglie tumulate nella tomba di famiglia al Cimitero di
Poggioreale[61].
Vita privata
Dal 1893 al
1913 Croce fu legato sentimentalmente e a tratti convisse con Angelina
Zampanelli, fino alla morte di lei[62][63][64]. Nel 1911 la coppia prese
alloggio a Palazzo Filomarino, a Napoli; il 25 settembre 1913 Angelina morì di
malattia.[64]
Nel 1914
Croce sposò a Torino, con rito religioso e poi civile, Adele Rossi, da cui ebbe
cinque figli: Giulio (l'unico maschio, morto piccolo nel 1917) e le quattro
figlie Elena, Alda,Lidia (moglie dello scrittore e dissidente anticomunista
polacco Gustaw Herling-Grudziński) e Silvia.[64][65][66][67]
L'opera e il
pensiero
« Il
filosofo, oggi, deve non già fare il puro filosofo, ma esercitare un qualche
mestiere, e in primo luogo, il mestiere dell'uomo. »
(Benedetto
Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), Sicilia Nuova Editrice,
Milazzo 1976, pp. X-XI.)
L'opera di
Croce può essere suddivisa in tre periodi: quello degli studi storici,
letterari e il dialogo con il marxismo, quello della maturità e delle opere
filosofiche sistematiche e quello dell'approfondimento teorico e revisione
della filosofia dello spirito in chiave storicista.[68] Come idealista, ritiene
che la realtà sia quella che viene concepita dal soggetto, in quanto riflesso
della sua idea e interiorità, ed è convinto che la razionalità e la libertà
emergano nella storia, pur tra immani difficoltà. La filosofia idealista
riconduce totalmente l'essere al pensiero, negando esistenza autonoma alla
realtà fenomenica, ritenuta il riflesso di un'attività interna al soggetto;
l'idealismo, come in Hegel, implica una concezione etica fortemente rigorosa,
come ad esempio nel pensiero di Fichte che è incentrato sul dovere morale
dell'uomo di ricondurre il mondo al principio ideale da cui esso ha origine; in
Croce questo ideale è la libertà umana.[69][70]
Definito da
Gramsci "papa laico della cultura italiana"[71], la sua filosofia ha
goduto di enorme credito nella cultura italiana del XX secolo, perlomeno fino
agli anni settanta eottanta, in cui si sono levate molte critiche verso il suo
approccio, ritenuto superato.[6] Croce fu un intellettuale rispettato anche al
di fuori dell'Italia: la rivista Time gli dedicò la copertina negli anni
'30[6], e negli anni 2000, contestualmente alla rivalutazione del pensiero
crociano, si è registrato l'interesse della collana editoriale dell'Università
di Stanford, mentre la rivista statunitense di politica internazionale Foreign
Affairs lo inserì nel 2012 tra i pensatori più attuali tra quelli del '900,
accanto a intellettuali come Isaiah Berlin,Francis Fukuyama e Lev Trotsky.[6]
Hegel e la
dialettica
Parallelamente
allo studio del marxismo, Croce approfondisce anche il pensiero di Hegel;
secondo entrambi la realtà si dà come spirito che continuamente si determina e,
in un certo senso, si produce. Lo spirito è quindi la forza animatrice della
realtà, che si auto-organizza dinamicamente divenendo storia secondo un
processo razionale. Da Hegel egli recupera soprattutto il carattere razionalistico
e dialettico in sede gnoseologica: la conoscenza si produrrebbe allora
attraverso processi di mediazione dal particolare all'universale, dal concreto
all'astratto, per cui Croce afferma che la conoscenza è data dal giudizio
storico, nel quale universale e particolare si fondono recuperando la sintesi a
priori di Kant e lo storicismo di Giambattista Vico, suo altro filosofo di
riferimento.[68]
Da destra,
Giovanni Laterza, Stefano Jacini, Croce e un personaggio non identificato
Il divenire
e la logica della dialettica, in Hegel e in Marx, è esso stesso verità in
movimento; anche per Croce la verità è dialettica, ma occorre esprimere un
giudizio storico ed esistono delle regole che arginano la pretesa
giustificativa di ogni fenomeno: in Croce lo Spirito - in quanto intelletto
umano - si realizza nella storia ma nel rispetto della libertà. Per questo ogni
fatto è quindi calato nella realtà storica, ma questo non può giustificare, con
la scusa del divenire e del progresso, aspetti deplorevoli come, ad esempio, il
totalitarismo fascista ocomunista, il primo come necessario (concezione di
Giovanni Gentile e della sua idea di realtà come atto puro di pensare e agire)
e il secondo come fase storica obbligata (seguendo il concetto marxiano della
dittatura del proletariato, di cui il filosofo tedesco parla nella sua teoria
"razionalista" del materialismo storico). Quindi il materialismo
dialettico di Engels e quello storico di Marx sono da ritenersi errati. In
questo, il suo storicismo si differenzia dal pensiero di un altro filosofo
liberale, Karl Popper, secondo cui dialettica e storicismo finiscono invece per
generare quasi sempre totalitarismo (concezione assai diffusa nel pensiero del
liberalismo novecentesco).[72] Al contrario di Popper e Hannah Arendt, per Croce
la radice totalitaria è proprio nell'antistoricismo, cioè nel rifiuto dello
storicismo stesso.[73]
Verso gli
anni '40, il neoidealismo entrò in crisi, sostituito da nuove filosofie come
l'esistenzialismo e la fenomenologia; sempre in nome del libertà e
dell'umanesimo, Croce critica l'esistenzialista Martin Heidegger, divenuto poi
anti-umanistico e colpevole di accondiscendenza verso il nazismo, definendolo
anche "un Gentile più dotto e più acuto, ma sostanzialmente della stessa
pasta morale"[74]; esprime così nel 1939 un tagliente giudizio sul
filosofo di Essere e tempo:
« Scrittore
di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico, egli che, nei
suoi libri non ha dato mai segno di prendere alcun interesse o di avere alcuna
conoscenza della storia, dell'etica, della politica, della poesia, dell'arte,
della concreta vita spirituale nelle sue varie forme - quale decadenza a fronte
dei filosofi, veri filosofi tedeschi di un tempo, dei Kant, degli Schelling,
degli Hegel! -, oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo,
in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene
rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di
razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli,
assente l'unico e vero attore, l'umanità. (...) E così si appresta o si offre a
rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la
filosofia. »
(Conversazioni
Critiche, Serie Quinta, Bari, Laterza, 1939, p. 362)
L'asserzione
di Hegel che "la storia sia storia di libertà" viene da Croce
inquadrata nella sua concezione dialettica della libertà vista nel suo iniziale
nascere, nel successivo crescere e infine nel raggiungimento di uno stadio
finale e definitivo di maturità.[69]
Croce fa
proprio questo detto hegeliano chiarendo però che non si vuole «assegnare alla
storia il tema del formarsi di una libertà che prima non era e che un giorno
sarà, ma per affermare la libertà come l'eterna formatrice della storia,
soggetto stesso di ogni storia. Come tale essa è per un verso, il principio
esplicativo del corso storico e, per l'altro, l'ideale morale dell'umanità». I
popoli e gli individui anelano sempre alla libertà, e come dice Hegel «ciò che
è razionale è reale» (cioè la ragione concepisce quello che può diventare
reale) e «ciò che è reale è razionale» (cioè esiste un'intrinseca razionalità,
anche minima, in ogni fenomeno storico, anche se non tutto il reale è
ovviamente razionale).[69][75]
Croce negli
ultimi anni di vita (circa 1950)
Alcuni
storici, senza ben rendersi conto di quello che scrivono, sostengono che ormai
la libertà ha abbandonato la scena della storia. Ma affermare che la libertà è
morta vorrebbe dire che è morta la vita. Non esiste nella storia un ideale che
possa sostituire quello della libertà «che è l'unica che faccia battere il
cuore dell'uomo, nella sua qualità di uomo». Ciò significa che la libertà non è
una fase di presa di coscienza che conduce allo Stato etico o al socialismo,
venendo superata, ma è essa stessa la verità nel divenire, non una fase.[69]
Egli critica
Hegel, poiché secondo lui il filosofo ha concepito la dialettica in modo
riduttivo, ovvero semplicemente come dialettica degli opposti, mentre secondo
Croce sussiste anche una logica dei distinti, ovvero il fatto che certi atti ed
eventi vadano sempre considerati appunto distinti rispetto ad altri ordini di
atti ed eventi. Elabora, quindi, un vero e proprio sistema, da lui denominato
la filosofia dello spirito. Inoltre, la prima importante differenza con Hegel è
che nel sistema crociano non vi rientra né la religione, né la natura. La
religione sarebbe infatti un complesso miscuglio di elementi poetici, morali e
filosofici che le impediscono di presentarsi come forma autonoma dello Spirito.
La natura poi non è altro che l'oggetto "mascherato" dell'attività
economica, è il frutto della considerazione economica diretta al mondo.[68]
Qui la
realtà in quanto attività (ovvero produzione dello spirito o della storia) è
articolata in quattro forme fondamentali, suddivise per modo (teoretico o
pratico) e grado (particolare o universale): estetica (teoretica -
particolare), logica (teoretica-universale), economia (pratica - particolare),
etica (pratica - universale). La relazione tra queste quattro forme opera la
suddetta logica dei distinti, mentre all'interno di ognuna di esse si ha la
dialettica degli opposti.[68]
Estetica
Croce
scrisse anche importanti opere di critica letteraria (saggi su Goethe (1917),
Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920), "La letteratura della nuova
Italia" e "La poesia diDante"). Egli si mosse nell'ambito della
sua teoria estetica che mirava alla scoperta delle motivazioni profonde
dell'ispirazione artistica. Quest'ultima era ritenuta tanto più valida quanto
più coerente con le categorie di bello-brutto.[68]
Georg Wilhelm Friedrich Hegel ritratto da Julius Ludwig Sebbers e
Lazarus Sichling
La prima
parte della teoria estetica la ritroviamo in opere come Estetica come scienza
dell'espressione e linguistica generale (1902), Breviario di estetica (1912) e
Aesthetica in nuce (1928)[76] In seguito modificò questa iniziale teoria
stabilendo per la storia un nesso con la filosofia. L'estetica, dal significato
originario del termine aisthesis (sensazione), si configura in primo luogo come
attività teoretica relativa al sensibile, si riferisce alle rappresentazioni e
alle intuizioni che noi abbiamo della realtà.
Come
conoscenza del particolare l'intuizione estetica è la prima forma della vita
dello Spirito. Prima logicamente e non cronologicamente poiché tutte le forme
sono presenti insieme nello spirito. L'arte, come aspetto dell'Estetica, è una
forma della vita spirituale che consiste nella conoscenza, intuizione del
particolare che[68]:
come forma
dello spirito, come creatività non è sensazione, conoscenza sensibile che è un
aspetto passivo dello spirito rispetto ad una materia oscura e ad esso
estranea;
come
conoscenza (prima forma dell'attività teoretica) non ha a che fare con la vita
pratica. Bisogna quindi respingere tutte le estetiche che abbiano fini
edonistici, sentimentali e moralistici; quale espressione di un valore autonomo
dello spirito, l'arte non può né deve essere giudicata secondo criteri di
verità, moralità o godimento;
come
intuizione pura va distinta dal concetto che è conoscenza dell'universale:
compito proprio della filosofia.[77]
L'arte può
essere definita quindi come intuizione-espressione, due termini inscindibili
per cui non è possibile intuire senza esprimere né è possibile espressione
senza intuizione. Ciò che l'artista intuisce è la stessa immagine (pittorica,
letteraria, musicale ecc.) che egli per ispirazione crea da una considerazione
del reale, nel senso che l'opera artistica èl'unità indifferenziata della
percezione del reale e della semplice immagine del possibile.[68]
La
distinzione tra arte e non arte risiede nel grado di intensità
dell'intuizione-espressione. Tutti noi intuiamo ed esprimiamo: ma l'artista è
tale perché ha un'intuizione più forte, ricca e profonda a cui sa far
corrispondere un'espressione adeguata. Coloro che sostengono di essere artisti
potenziali poiché hanno delle intense intuizioni ma che non sono capaci di
tradurre in espressioni, non si rendono conto che in realtà non hanno alcuna
intuizione poiché se la possedessero veramente essa si tradurrebbe in
espressione.[68]
L'arte non è
aggiunta di una forma ad un contenuto ma espressione, che non vuol dire
comunicare, estrinsecare, ma è un fatto spirituale, interiore come l'atto
inscindibile da questa che è l'intuizione. Nell'estetica dobbiamo far rientrare
anche quella forma dell'espressione che è il linguaggio che nella sua natura
spirituale fa tutt'uno con la poesia. L'estetica quindi come una
"linguistica in generale". Dall'estetica deriva la critica letteraria
crociana, espressa in molti saggi.[68]
Critica
letteraria
Croce
interviene al congresso liberale del 1946
Il Croce
critico letterario, specie quello di Poesia e non poesia, esercitò molta
influenza successiva, quasi una "dittatura intellettuale"[78] sulla
cultura italiana, ma ricevette anche critiche: ad esempio furono ritenute
scorrette, "pseudoconcetti" (riprendendo una parola usata da
Croce)[4], poiché non presentate come opinione personale ma come veri canoni
estetici, varie tesi, come la sua opposizione alle novità letterarie europee,
esemplificate dalle stroncature verso gran parte dell'opera di Gabriele
D'Annunzio, Giovanni Pascoli (di cui apprezzò solo alcune parti di Myricae e
dei Canti di Castelvecchio criticando i saggi e le poesie civili), del
crepuscolarismo e di Giacomo Leopardi: di quest'ultimo salvò, nei Canti, gli
idilli e i canti pisano-recanatesi, ma criticò le poesie "dottrinali"
e polemiche (in particolare i Paralipomeni della Batracomiomachia e laPalinodia
al marchese Gino Capponi) e le opere filosofiche (apprezzò solo una minima
parte delle Operette morali), affermando che quella leopardiana non era vera
filosofia, ma solo uno sfogo poetico in prosa, inferiore comunque alle liriche,
dovuto esclusivamente alle condizioni fisiche e psicologiche del poeta
recanatese.[79][80]
Croce non
considera Leopardi un vero filosofo, come Schopenhauer, a cui invece riconosce
dignità filosofica ma che non apprezza come individuo poiché ritenuto cinico e
indifferente, ma solo un pensatore, il cui pensiero è essenzialmente al
servizio della sua poesia. Sulla scorta di Francesco de Sanctis, esprime
simpatia umana al poeta recanatese per lo spirito civile, l'impegno e la lotta
eroica contro le sofferenze fisiche, come espresso nella poesia La
Ginestra.[81]
Egli fu
grande ammiratore soprattutto del Carducci, in quanto classicista, razionale e
sentimentale al tempo stesso, ma senza scadere nel sentimentalismo irrazionale,
e, a proposito del decadentismo e degli autori di questo movimento, scrisse, in
Del carattere della più recente letteratura italiana: «Nel passare da Giosuè
Carducci a questi tre[82], sembra, a volte, come di passare da un uomo sano a
tre malati di nervi».[83] La polemica contro il decadentismo è figlia di quella
contro il positivismo: Croce sostiene che ilmisticismo decadente, che egli
disapprova come sintomo di vuoto spirituale e filosofico (Croce è razionalista
e idealista al tempo stesso), è figlio dello scientismo positivistico e delle
pseudoscienze da esso generate (come lo spiritismo): «Di qua il positivismo, di
fronte il misticismo; perché questo è figlio di quello: un positivista dopo la
gelatina dei gabinetti, non credo abbia altro di più caro che l'inconoscibile,
cioè la gelatina dove si coltiva il microbio del misticismo».[84]
Logica
Della
logica, Croce tratta essenzialmente nella Logica come scienza del concetto puro
[85]); essa corrisponde al momento in cui l'attività teoretica non è più
affidata alla sola intuizione (all'ambito estetico), ma partecipa dell'elemento
razionale, che attinge dalla sfera dell'universale. Il punto di arrivo di
questa attività è l'elaborazione del concetto puro, universale e concreto che
esprime la verità universale di una determinazione. La logica crociana è anche
storica, nella misura in cui essa deve analizzare la genesi e lo sviluppo
(storico) degli oggetti di cui si occupa.[68]
Il termine
logica in Benedetto Croce assume quindi un significato più vicino al termine
dialettica ovvero ricerca storiografica. In genere, la Logica di Croce è
lontana da criteri scientifico-razionali, e si ispira ai metodi
dell'immaginazione artistica e dell'eleganza estetico-letteraria, nei quali il
filosofo raggiunge risultati eccellenti. Di carattere decisamente diverso è
invece la filosofia delle scienze fisiche, matematiche e naturali delle quali
Croce non si occupa affatto nei suoi studi. Del resto, come segnala Ludovico
Geymonat nel suo Corso di filosofia - immagini dell'uomo, «la vera indubbia
grandezza di Croce va cercata assai più nella sua opera di storiografo, di critico
letterario, ecc., che non nella sua opera di filosofo».[68]
Giovanni
Gentile ai tempi del direttorato alla Scuola normale di Pisa (1928-36 e
1937-43).
In ogni caso
la logica e la filosofia della scienza è stata sviluppata in Italia da altre
correnti di pensiero contemporaneo a quello crociano, con studiosi fra quali
Giuseppe Peano (1858-1932) e lo stesso Geymonat (1908-1991). Un orientamento
parzialmente diverso ebbe invece Giovanni Gentile che, pur criticando gli
eccessi del positivismo, intrattenne anche rapporti con matematici e fisici
italiani e cercò di instaurare un rapporto costruttivo con la cultura
scientifica. Invece Croce ebbe con la logica e la scienza un rapporto
difficile. La sua posizione portò in Italia nella prima metà del Novecento ad uno
scontro dialettico fra due culture contrapposte: quella artistico-letteraria e
quella tecnico-scientifica.[68]
Il rapporto
conflittuale con le scienze matematiche e sperimentali
Un caso
emblematico del giudizio di Benedetto Croce nei confronti della matematica e
delle scienze sperimentali è la sua nota diatriba con il matematico e filosofo
della scienza Federigo Enriques, avvenuta il 6 aprile 1911 in seno al congresso
della Società Filosofica Italiana, fondata e presieduta dallo stesso Enriques.
Questi sosteneva che una filosofia degna di una nazione progredita non potesse
ignorare gli apporti delle più recenti scoperte scientifiche. La visione di
Enriques mal si confaceva a quella idealistica di Croce e Gentile, come pure a
gran parte degli esponenti della filosofia italiana di allora, per lo più
formata da idealisti crociani.
Croce, in
particolare, rispose ad Enriques[86], liquidando in modo deciso -
"antifilosofico" secondo Enriques - la proposta di considerare la
scienza come un valido apporto alle problematiche filosofiche e sostenendo,
anzi, che matematica e scienza non sono vere forme di conoscenza, adatte solo
agli «ingegni minuti» degli scienziati e dei tecnici, contrapponendovi le
«menti universali», vale a dire quelle dei filosofi idealisti, come Croce
medesimo. I concetti scientifici non sono veri e propri concetti puri ma degli
pseudoconcetti, falsi concetti, degli strumenti pratici di costituzione
fittizia.
«La realtà è
storia e solo storicamente la si conosce, e le scienze la misurano bensì e la
classificano come è pur necessario, ma non propriamente la conoscono né loro
ufficio è di conoscerla nell'intrinseco».[87] Sul tema Benedetto Croce
sostenne, tra l'altro, che:
« Gli uomini
di scienza [...] sono l'incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla
sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all'organismo
filosofico-storico. »
(Benedetto
Croce da Il risveglio filosofico e la cultura italiana, n. 6, 1908, pp.
161-168)
A proposito
dello sviluppo novecentesco della logica matematica e dell'introduzione dei
formalismi simbolici, ad opera di matematici e filosofi quali Gottlob Frege,
Giuseppe Peano, Bertrand Russell, Benedetto Croce dichiarerà:
« I nuovi
congegni [della logica matematica] sono stati offerti sul mercato: e tutti,
sempre, li hanno stimati troppo costosi e complicati, cosicché non sono finora
entrati né punto né poco nell'uso. Vi entreranno nell'avvenire? La cosa non
sembra probabile e, ad ogni modo, è fuori della competenza della filosofia e
appartiene a quella della pratica riuscita: da raccomandarsi, se mai, ai
commessi viaggiatori che persuadano dell'utilità della nuova merce e le
acquistino clienti e mercati. Se molti o alcuni adotteranno i nuovi congegni
logici, questi avranno provato la loro grande o piccola utilità. Ma la loro
nullità filosofica rimane, sin da ora, pienamente provata. »
(Benedetto
Croce da Logica come scienza del concetto puro,(1909))
Anni dopo,
ancora scriveva che:
« Le scienze
naturali e le discipline matematiche, di buona grazia, hanno ceduto alla
filosofia il privilegio della verità, ed esse rassegnatamente, o addirittura
sorridendo, confessano che i loro concetti sono concetti di comodo e di pratica
utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del vero. »
(Benedetto
Croce da Indagini su Hegel e e schiarimenti filosofici (1952) e ribadiva
come:
« Le
finzioni delle scienze naturali e matematiche postulano di necessità l'idea di
un'idea che non sia finta. La logica, come scienza del conoscere, non può
essere, nel suo oggetto proprio, scienza di finzioni e di nomi, ma scienza
della scienza vera e perciò del concetto filosofico e quindi filosofia della
filosofia. »
(Benedetto
Croce da Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952))
Tuttavia
ebbe altresì un cordiale e rispettoso scambio epistolare con Albert
Einstein.[88]
Secondo
diversi storici e filosofi (es. Giulio Giorello nel 1992[89], Enrico
Bellone[90], Armando Massarenti[91]), l'influenza antiscientifica di Croce e di
Gentile[92] sarebbe stata fortemente deleteria sia sul piano dell'istituzione
scolastica per gli orientamenti pedagogici della scuola italiana, che si
sarebbe indirizzata prevalentemente agli studi umanistici considerando quelli
scientifici di secondo piano, sia per la formazione di una classe politica e
dirigente che attribuisse importanza alla scienza e alla tecnica e portando,
per conseguenza, ad un ritardo dello sviluppo tecnologico e scientifico
nazionale.
« [La
scuola] sarà caratterizzata dal primato dell'umanesimo letterario e in
particolare dell'umanesimo classico. Tutte le istituzioni culturali saranno
improntate al primato delle lettere, della filosofia e della storia.[93] »
Giorello nel
quarantennale della morte di Croce ha scritto che "predicò la religione
della libertà e per questo gli siamo riconoscenti. Ma la sua condanna della
scienza e la sua estetica hanno causato danni gravissimi alla nostra cultura.
Che ora esige riparazione".[94] Lo stesso Giorello però ha in parte
ritrattato l'affermazione nel 2012, negando che sia da attribuire a Croce il
mancato sviluppo scientifico italiano, adducendo che quelle che lui considerava
una "colpa" sarebbero da accreditare maggiormente alla Chiesa, agli
scienziati stessi e alla classe politica, più che all'idealismo, che trascura
le scienze ma nemmeno le ostacola, definendo la filosofia di Croce
«interessante sotto altri profili, ma poco interessante, quando si parla di
scienza».[95]
Filosofia
della pratica
Economia ed
etica vengono trattate in Filosofia della pratica. Economica ed etica del 1909.
Croce dà molto rilievo alla volizione individuale che è poi l'economia, avendo
egli un forte senso della realtà e delle pulsioni che regolano la vita umana.
L'utile, che è razionale, non sempre è identico a quello degli altri: nascono
allora degli utili sociali che organizzano la vita degli individui. Il diritto,
nascendo in questo modo, è in un certo qual senso amorale, poiché i suoi
obiettivi non coincidono con quelli della morale vera e propria. Egualmente
autonoma è la sfera politica, che è intesa come luogo di incontro-scontro tra
interessi differenti, ovvero essenzialmente conflitto, quello stesso conflitto
che caratterizza il vivere in generale.[68]
Croce
critica anche l'idea di Stato etico elaborata da Hegel ed estremizzata da
Gentile: lo stato non ha nessun valore filosofico e morale, è semplicemente
l'aggregazione diindividui in cui si organizzano relazioni giuridiche e
politiche. L'etica è poi concepita come l'espressione della volizione
universale, propria dello spirito; non vi è un'etica naturale o un'etica
formale, e dunque non vi sono contenuti eterni propri dell'etica, ma
semplicemente essa è l'attuazione dello spirito, che manifesta in modo
razionale atti e comportamenti particolari. Questo avviene sempre in
quell'orizzonte di continuo miglioramento umano.[68]
Teoria e
storia della storiografia
« La storia
non è giustiziera, ma giustificatrice »
(Benedetto
Croce, Teoria e storia della storiografia)
La storia e
lo spirito: lo storicismo assoluto
Giambattista Vico
Come si
evince anche da Teoria e storia della storiografia (1917) la filosofia di
Croce, ispirata soprattutto a Giambattista Vico, è fortemente storicista. Per
ciò, se volessimo riassumere con una formula la filosofia di Croce, questa
sarebbe storicismo assoluto, ossia la convinzione che tutto è storia,
affermando che tutta la realtà è spirito e che questo si dispiega nella sua
interezza all'interno della storia. La storia non è dunque una sequela
capricciosa di eventi, ma l'attuazione della Ragione. La conoscenza storica ci
illumina a proposito delle genesi dei fatti, è una comprensione dei fatti che
li giustifica con il suo dispiegarsi.[68]
Si delinea
in quest'ottica il compito dello storico: egli, partendo dalle fonti storiche,
deve superare ogni forma di emotività nei confronti dell'oggetto studiato e
presentarlo in forma di conoscenza. In questo modo la storia perde la sua
passionalità e diviene visione logica della realtà. Quanto appena affermato si
può evincere dalla celebre frase "la storia non è giustiziera, ma
giustificatrice". Con questo afferma che lo storico non giudica e non fa
riferimento al bene o al male. Quest'ultimo delinea, inoltre, come la storia
abbia anche un preciso orizzonte gnoseologico, poiché in primo luogo è
conoscenza, e conoscenza contemporanea, ovvero la storia non è passata, ma viva
in quanto il suo studio è motivato da interessi del presente.[68]
« Il bisogno
pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il
carattere di "storia contemporanea", perché, per remoti e remotissimi
che sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà, storia
sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti
propagano le loro vibrazioni.[96] »
La
storiografia è in seconda istanza utile per comprendere l'intima razionalità
del processo dello spirito, e in terzo luogo essa è conoscenza non astratta, ma
basata su fatti ed esperienze ben precise. Anche se subisce l'influsso dello
storicismo di Voltaire, Croce critica gli illuministi e in generale tutti
coloro che pretendono di individuare degli assoluti che regolino la storia o la
trascendano: invece la realtà è storia nella sua totalità, e la storia è la
vita stessa che si svolge autonomamente, secondo i propri ritmi e le proprie ragioni.
La storia è
un cammino progressivo per cui « Nulla c'è al di fuori dello spirito che
diviene e progredisce incessantemente: nulla c'è al di fuori della storia che è
per l'appunto questo progresso e questo divenire.»[97] Ma il positivo destinato
a superare storicamente la negatività dei periodi bui della storia non è una
certezza su cui adagiarsi: questa consapevolezza del progresso storico deve
essere confermata da un impegno costante degli uomini in azioni i cui risultati
non sono mai scontati né prevedibili.[68]
La storia
diviene, allora, anche storia di libertà, dei modi in cui l'uomo promuove e
realizza al meglio la propria esistenza. La libertà si traduce, sul piano
politico, in liberalismo: una sorta di religione della libertà o di metodo
interpretativo della storia e di orientamento dell'azione, che è
imprescindibile nel processo del progresso storico-politico, come si evince dal
volume del 1938 La storia come pensiero e come azione.[68] Per Croce la libertà
può essere apprezzata solo difendendola costantemente in maniera dialettica,
poiché la storia è necessariamente contrasto:
« Chi
desideri in breve persuadersi che la libertà non può vivere diversamente da
come è vissuta e vivrà sempre nella storia, di vita pericolosa e combattente,
pensi per un istante a un mondo di libertà senza contrasti, senza minacce e
senza oppressioni di nessuna sorta; e subito se ne ritrarrà inorridito come
dall'immagine, peggio che della morte, della noia infinita. »
(La storia
come pensiero e come azione, pp. 50-51)
Ciò però non
vuol dire che Croce giustifichi la violenza come necessaria; nello stesso
saggio ammonisce infatti che «la violenza non è forza ma debolezza, né mai può
essere creatrice di cosa alcuna, ma soltanto distruggerla».
La
concezione storica crociana ebbe grande seguito in Italia per molto tempo, ed
ebbe notevole influenza anche all'estero, ad esempio per quanto riguarda la
formazione del maggior storico americano del nazismo, George Mosse.[98]
Onorificenze
Cavaliere di
Gran Croce decorato di Gran Cordone dell'Ordine della Corona d'Italia
— 24 marzo
1921
Commendatore
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
— 5 giugno
1921
Cavaliere
dell'Ordine Civile di Savoia
— 4 gennaio
1924
Opere
Le opere di
Benedetto Croce spaziano dalla filosofia, alla storiografia, all'aneddotica,
alla critica letteraria e all'erudizione storica. Qui si indicano le più
importanti. (Per un elenco completo si veda qui) Il filosofo napoletano
collaborò inoltre con numerosi articoli su vari argomenti pubblicati su molti
giornali e riviste stranieri e italiani (Cfr. Maria Panetta,Settant'anni di
militanza: Benedetto Croce, tra riviste e quotidiani) Ad esempio la sua
collaborazione con il quotidiano Il Resto del Carlino durò per più di 40 anni,
dal 1910 al 1951.[99]
Filosofia
dello spirito
Estetica
come scienza dell'espressione e linguistica generale
Logica come
scienza del concetto puro
Filosofia
della pratica. Economica ed Etica
Teoria e
storia della storiografia
Saggi
filosofici
Problemi di
estetica e contributi alla storia dell'estetica italiana
La filosofia
di Giambattista Vico
Saggio sullo
Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia
Materialismo
storico ed economia marxistica
Nuovi saggi
di estetica
Etica e
politica
Ultimi saggi
La poesia.
Introduzione alla critica e storia della poesia e della letteratura
La storia
come pensiero e come azione
Il carattere
della filosofia moderna
Discorsi di
varia filosofia (2 voll.)
Filosofia e
storiografia
Indagini su
Hegel e schiarimenti filosofici
Perché non
possiamo non dirci "cristiani"
Scritti vari
Primi saggi
Cultura e
vita morale
L'Italia dal
1914 al 1918. Pagine sulla guerra
Pagine
sparse (3 voll.)
Nuove pagine
sparse (2 voll.)
Terze pagine
sparse (2 voll.)
Scritti e
discorsi politici (2 voll.)
Carteggio
Croce-Vossler (1899-1949)
B. Croce -
G. Papini, Carteggio 1902-1914
Il caso
Gentile e la disonestà nella vita universitaria italiana (1909)
Scritti di
Storia letteraria e politica
Saggi sulla
letteratura italiana del Seicento
La
rivoluzione napoletana del 1799
La
letteratura della nuova Italia (6 voll.)
I teatri di
Napoli dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo
La Spagna
nella vita italiana durante la Rinascenza
Conversazioni
critiche
Storie e
leggende napoletane
Manifesto
degli intellettuali antifascisti
Goethe
Una famiglia
di patrioti ed altri saggi storici e critici
Ariosto,
Shakespeare e Corneille
Storia della
storiografia italiana nel secolo decimonono (2 voll.)
La poesia di
Dante
Poesia e non
poesia
Storia del
Regno di Napoli
Uomini e
cose della vecchia Italia
Storia
d'Italia dal 1871 al 1915
Storia
dell'età barocca in Italia
Nuovi saggi
sulla letteratura italiana del Seicento
Storia
d'Europa nel secolo decimonono
Poesia
popolare e poesia d'arte
Varietà di storia
letteraria e civile
Vite di
avventure, di fede e di passione
Poesia
antica e moderna
Poeti e
scrittori del pieno e del tardo Rinascimento
La
letteratura italiana del Settecento
Letture di
poeti e riflessioni sulla teoria e la critica della poesia
Aneddoti di
varia letteratura
Isabella di
Morra e Diego Sandoval de Castro
Edizione
nazionale
La casa
editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle
opere di Benedetto Croce, promossa con Decreto del Presidente della Repubblica
del 14 agosto1989.
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου