Dieci danzatori, dieci corpi di una bellezza
plastica che rievoca proprio la Grecia Attica e la sua mitologia. Dimitris
Papaioannou ha portato il suo ultimo lavoro al Napoli Teatro Festival,
lasciando un segno indelebile.
Al Napoli Teatro Festival Italia è andato in
scena il capolavoro surreale dell’ateniese Dimitris Papaioannou, una creazione
di natura dicotomica che partorisce sentimenti opposti, ma complementari.
Questi sentimenti, queste emozioni sono suscitati nel pubblico che risulta
essere, per una sorta di selezione naturale, diviso in chi si sente
irrimediabilmente conquistato e chi invece prova una snervante, incontenibile
noia. Una sorta di Dostoevskij del “teatro immagine” o del “teatro danza”, per
intenderci. E allora viene da chiedersi come si possa definire capolavoro un
prodotto che sia anche in grado di suscitare in qualcuno la noia e la risposta
giunge immediata e semplice: non è l’opera d’arte in sé ad averne la
responsabilità, ma l’inclinazione o meno dello spettatore a essere ricettivo
senza riserve, senza troppi perché, senza preconcetti e ad accogliere
l’emozione scaturita da una performance che alterni la pura estetica senza
senso all’abissale profondità del significato.
L’UOMO AL CENTRO
The Great Tamer è uno di quei lavori a tal
punto pregni di senso, di originalità e di unicità da portare in trionfo il suo
creatore ponendo in secondo piano addirittura i performer, perché assistendo
alla sua messa in scena è impossibile non pensare costantemente all’autore.
Dieci danzatori, dieci corpi di una bellezza plastica che rievoca proprio la
Grecia Attica e la sua mitologia: proporzioni, armonia, muscoli e nervi, falli
e vagine in un ciclico fluire del tempo tra morte, fecondità e rigenerazione.
Il palcoscenico, ricoperto interamente da tavole sottili di compensato leggero
e nero assume la forma di un’onda e nasconde e trattiene nelle sue viscere,
proprio come la madre terra, la vita e la morte. In una Grecia che, nel passare
dei secoli e poi dei millenni, ha conosciuto e affrontato l’apice della
magnificenza e combatte oggi contro l’abisso della recessione, una sola figura
resta immutata e domina la sua storia: il tempo, e in mezzo a questo incessante
fluire c’è l’uomo. Centro dell’universo in una concezione assolutamente
ellenistica della storia è l’essere umano con le sue lotte e le sue conquiste,
i suoi traguardi e il suo coraggio.
The Great Tamer indaga la dimensione umana che
attraversa i secoli in maniera trasversale e si serve di riferimenti dotti e
rimandi all’arte pittorica e cinematografica: si va da una precisa riproduzione
delle Lezioni di anatomia del dottor Tulp di Rembrandt alla Nascita di Venere del
Botticelli, dal celebre San Sebastiano di Mantegna, al dipinto che infiammò gli
animi dei francesi nel 1830 e li spinse a ribellarsi contro l’oppressore, La
Libertà che guida il popolo di Delacroix fino all’ingresso di un grande
mappamondo che non può che riportare alla memoria un’altra parentesi di
oppressione ai danni di tutta l’umanità, denunciata nel celebre film Il grande
dittatore di Chaplin.
TRA VIOLENZA E SALVEZZA
Un lavoro violento che, nel rispetto dei canoni
del teatro danza, racchiude in sé il tragico e il comico lasciando che l’animo
si senta in bilico tra l’accettazione superficiale e leggera di una condizione
pietosa quale quella dell’uomo occidentale di oggi e la struggente presa di
coscienza della necessità di ribellarsi alla morte dell’anima. Umanità
violentata e sezionata, sviscerata e maltrattata in nome del progresso e del
profitto, umanità che non si arrende e che trova la forza, nei corsi e ricorsi
storici, di salvarsi da se stessa e dalla sua disumanizzazione. Consapevolezza
e speranza caratterizzano una performance che non finisce con la chiusura del sipario,
ma che getta un seme nella testa dell’osservatore, un seme che poi germoglia e
cresce nella coscienza, mette radici e resta lì per sempre, aprendo nuove vie
all’interpretazione di un’umanità che non è ancora perduta.
Boato, standing ovation, applausi eterni: il
trionfo di Papaioannou conquista Neapolis, la città che deve la sua esistenza
al popolo greco.
Manuela Barbato
Fonte: www.napoliteatrofestival.it
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