In Grecia non si
arriva da tempo a pagare le bollette della luce e i conti della compagnia
nazionale (pubblica) collassano. In estate, si teme il blackout, mentre il
governo deve ancora varare la privatizzazione.
In un’economia,
dove un quarto del pil è stato bruciato in meno di un decennio e dove quasi un
lavoratore su quattro non trova un impiego, percentuale che esplode al 40% tra
i giovani, è naturale che i bilanci familiari non riescano a quadrare. E,
infatti, sarebbero oltre 1,2 milioni le famiglie in Grecia ad essere in
arretrato con il pagamento delle bollette della luce, circa un terzo del totale.
Alla compagnia elettrica controllata al 51% dallo stato, la PPC, devono
qualcosa come 2,6 miliardi di euro, una cifra corrispondente all’1,4% del pil e
che da l’idea, quindi, di quanto sia gigantesca. (Leggi anche: Grecia, crisi
infinita: recessione non molla)
La società ha
cercato di andare incontro ai clienti, rateizzando loro i debiti. Allo schema
proposto hanno aderito 625.000 famiglie per un debito complessivo di 1,3
miliardi. Resta il fatto che i bilanci della compagnia navigano in cattive acque,
dovendo accantonare risorse per coprire le perdite derivanti dai mancati
pagamenti delle bollette.
La PPC dovrà
essere privatizzata. Lo prevede il terzo bail-out siglato dalla Grecia
nell’agosto del 2015 e che stanzia al paese aiuti per 86 miliardi di euro. Lo
stato dovrà scendere sotto il 51%, ma già fioccano le proteste dei 18.000
dipendenti, rappresentati dal sindacato GENOP-DEH, che hanno annunciato nei
giorni scorsi di voler presentare appello alla Corte europea dei Diritti
dell’Uomo, lamentando di vantare un credito nei confronti della società,
relativa ai contributi previdenziali accumulati tra il 1966 e il 1999.
La PPC detiene
una quota del mercato retail del 90% e del 60% di quello all’ingrosso. Se si
fermasse, praticamente la Grecia rimane al buio. E a lanciare l’allarme è stato
niente di meno che il presidente della Confindustria ellenica, Theodoros
Fessas, secondo cui ci sarebbe il rischio che quest’estate, quando si attendono
i picchi della domanda, l’offerta non sia in grado di rispondere alle richieste
dei clienti e la rete collassi. Per questo, l’uomo chiede al governo un
approccio più favorevole al business e l’istituzione di un piano serio per la
privatizzazione, oltre che una tassazione più razionale.
I negoziati
sull’adesione a Bruxelles sono ormai da anni arenati e non sembra possano
esservi evoluzioni positive in tal senso. Da una parte, l’Europa non sembra interessata
a far entrare una Turchia così incandescente nella sua già instabile Unione.
Dall’altro lato, la Turchia sembra ormai aver perso ogni interesse a voler
entrare in un’Europa che non rappresenta più, evidentemente, un approdo su cui
costruire il proprio futuro. E il referendum vero, quello del 16 aprile, appare
già il vero banco di prova per i rapporti tra Europa e Turchia. Molto più di un
eventuale referendum su una fantomatica “Turxit”.
E il mercato del lavoro in Grecia a
marzo segnala il dato migliore del mese dal 2001 con la creazione di 38.517
posti, al netto delle uscite, di cui 11.900 nel settore alberghiero, che si
prepara alla stagione estiva. Se è vero che il 53,5% dei nuovi impieghi creati
risultano a tempo determinato, è pur sempre meglio di niente. D’altronde, per
pagare le bollette serve un’entrata mensile più che la rateizzazione
dell’importo. Senza un veloce miglioramento, prima ancora che di default, in
Grecia potremmo sentire parlare di “blackout”.
Giuseppe Timpone
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