Non c’è destra,
sinistra, centro o socialismo in ciò che sta accadendo in Grecia. Non sono le
idee o i partiti a dover bere una volta per tutte una buona dose di cicuta: ma
la mediocrità di uomini che ingannano, fuorviano, illudono, per poi, un attimo
dopo, fare peggio dei propri nemici. Dopo 4 tagli in sei anni a stipendi,
pensioni e indennità ecco un’altra sforbiciata alle pensioni, grazie alla
riforma firmata dal ministro del lavoro Georgios Katrugalos che si scontra con
nessun provvedimento per favorire invece nuova occupazione. Un altro taglio del
25% a partire dal 2019 e del 15% per chi ha fatto domanda nel 2016.
Uno scenario che
cozza con i proclami di Alexis Tsipras che, anche dopo una campagna elettorale
condotta a suon di tuoni contro l’Ue (con slogan come “la Troika è il passato;
il voto contro l’austerità è stato forte e chiaro; il futuro non è l’austerità;
la speranza ha vinto”), inneggiava a una fantomatica griglia di nuove proposte
per far uscire la Grecia dalla recessione. Invece resta immutata, nonostante
sacrifici ai ceti medi e bassi e nonostante una guida incertissima per un Paese
altrettanto incerto.
Sarebbe stato
meglio scegliere delle due l’una: avrebbe dovuto o, in coerenza con quanto
promesso agli elettori, fare una battaglia seria e potabile contro Bruxelles
(con proposte credibili) oppure, stando agli impegni (forse?) presi in separata
sede con Berlino, evitare almeno questo doppio ruolo di “Masaniello” nei giorni
pari e coniglio in quelli dispari. Con nel mezzo la povera gente che affonda
ogni giorno di più.
Nel pamphlet
Greco. Eroe d’Europa che ho scritto nel 2014, ho raccontato molto del malaffare
ellenico e in maniera assolutamente trasversale. Senza sconti, anzi, con più di
qualche reazione non benevola nei miei riguardi che, anche la traduzione in
lingua greca, mi ha causato. Chi oggi si sente toccato da analisi, valutazioni
di merito e semplici fatti messi in fila con oggettività, fa peggio dei
predecessori.
Perché la Spagna,
senza un governo, è riuscita con fatica a tirarsi fuori dalle sabbie mobili? Perché
in quel Paese ci sono un Gran Premio di F1, un Motomondiale, marchi di moda che
stanno macinando utili come Zara, Desigual, Stradivarius? Vogliamo parlare
dell’Information and communication technology (Ict)? Prima Madrid ha recepito
tutte le linee guida europee emesse e oggi, grazie all’Agenda digitale europea,
può dire la sua: negli ultimi due lustri ha fatto segnare una delle più alte
crescite in Europa con i 97 miliardi di euro del 2015, che rappresentano il
4,9% del Pil con 32.000 aziende e 453.000 posti di lavoro.
In Grecia, invece
fiumi di parole sfociati in quel grande lago velenoso che si chiama retorica,
grandi slogan contro la disuguaglianza, contro il neoliberismo (che poi in
realtà non esiste, mentre invece ci sono, in antitesi, il liberismo e lo
statalismo). Tra l’altro, di liberismo in Grecia forse non se n’è mai vista
davvero nemmeno una goccia, dal momento che sindacati e caste sono lì immobili
come totem da decenni, anch’essi causa dello status quo, producendo una classe
dirigente al cui confronto gli amministratori di Alitalia sono degli statisti.
E la Grecia oggi?
Niente tax free zone, niente facilitazioni ai pensionati stranieri come
Valencia e Tenerife, zero liberalizzazioni o stimoli concreti alla ripresa.
Tranne casi isolati, legati a nuovi investimenti stranieri come il mega
stabilimento per le sigarette elettroniche di Philip Morris e le speranze
legate alla scoperta del tartufo sulle Meteore e al probabile (e auspicabile)
indotto dei containers legato a Cosco Cina che ha preso il Pireo, il resto è
nulla.
“Prokorame mazì”
(“procediamo insieme”), scrive il premier Tsipras sui sei per tre targati
Syriza: ma di questo passo si finirà tutti nel burrone.
di Francesco De Palo
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