Minacce di
morte, petizioni, proteste. Lo scorso luglio, a Cipro, un glossario per il
giornalismo pubblicato dall'OSCE ha scatenato furiose polemiche
Valentina Vivona, 14/09/2018
Maria ha “tradito” per la prima volta il suo paese a diciotto anni quando ha partecipato ad un Festival delle Nazioni Unite all’Hotel Ledra Pallas, uno dei pochi luoghi nella buffer zone di Cipro dove greco- e turco-ciprioti potevano incontrarsi all’epoca.
Maria ha “tradito” per la prima volta il suo paese a diciotto anni quando ha partecipato ad un Festival delle Nazioni Unite all’Hotel Ledra Pallas, uno dei pochi luoghi nella buffer zone di Cipro dove greco- e turco-ciprioti potevano incontrarsi all’epoca.
Poco dopo si
è iscritta alla Facoltà di Turcologia dell’Università. “A dispetto degli scarsi
sbocchi lavorativi - racconta - visto che il dipartimento era considerato un
covo di spie”. A quei tempi non era possibile attraversare la Linea Verde che
separava di fatto la parte settentrionale dell’isola, a maggioranza
turco-cipriota, da quella meridionale. Date le scarse occasioni di mettere in
pratica le nozioni di lingua turca apprese in aula, Maria si è trasferita ad
Istanbul per completare gli studi. Quattro anni dopo, quando è tornata, ha
trovato una situazione cambiata: la Linea Verde era stata aperta nel 2003,
Cipro era entrata nell’Unione Europea l’anno successivo e la presenza di
persone bilingue era diventata necessaria. “Da oltre dieci anni lavoro come
traduttrice, interprete e redattrice. Poi, un anno fa, l'OSCE mi ha coinvolto
nel progetto Cyprus Dialogue”, spiega.
Maria
Siakalli è infatti una dei quattro autori della pubblicazione “Words that
matter: a glossary for journalism in Cyprus”
che, lo scorso luglio, ha riscaldato un’estate cipriota già afosa. I
quattro giornalisti - due greco-ciprioti e due turco-ciprioti, due donne e due
uomini, due bilingue da ciascuna delle parti - hanno monitorato per un periodo
di sei mesi il linguaggio usato dai media locali ed individuato la terminologia
più controversa, cercando delle alternative meno conflittuali: il risultato è
una lista di 56 parole che i giornalisti, da una parte e dall’altra, dovrebbero
evitare.
“So che si
tratta di raccomandazioni e non ordini. Rimane il fatto che questa
pubblicazione ha delle grandi falle: la prima è l’assenza di una ricerca
empirica, chi ha deciso quali termini offendano una comunità? E la seconda è il
tentativo di cancellare la storia. Nel 1974 la Turchia ha invaso Cipro e
nessuno può impedire a noi greco-ciprioti di mantenere il ricordo di quel fatto
storico”, tuona Natalie Alkiviadou dell’Università Central Lancashire di Cipro,
specializzata in diritti umani e, in particolare, nell’analisi del discorso
d’odio. Due settimane prima della sua presentazione ufficiale, duecentodieci
giornalisti hanno firmato una petizione che condannava l’intento del glossario.
In un comunicato il maggiore quotidiano cipriota, Philelefteros, ha avvisato
che continuerà a chiamare “l’operazione di pace turca un’invasione”.
Occupazione
o liberazione?
Il 15 luglio
1974 l’organizzazione paramilitare greco-cipriota EOKA B ha preso il potere con
un colpo di stato che ambiva all’unione di Cipro con la Grecia (enosis); il
successivo intervento delle truppe turche - che ha determinato la divisione
attuale dell’isola - è ricordato da un lato come una ‘felice’ operazione di
‘liberazione’ e dall’altro come una ‘barbarica invasione’ od ‘occupazione’.
“Il
linguaggio esprime due esperienze vissute diversamente. Il problema è trovare
un terreno comune per il dialogo”, spiega l’antropologo Yannis Papadakis
dell’Università di Cipro, il quale ha speso anni di ricerca nello studio del
linguaggio utilizzato dalle due comunità principali di Cipro nei libri di
storia scolastici. “Questo glossario andava nella giusta direzione, ma entrambe
le parti si oppongono a qualsiasi tentativo di scalfire le rispettive,
monolitiche auto-narrazioni - continua Papadakis - difficile stabilire cosa sia
giusto dire o non dire anche dal punto di vista giuridico, visto che non è mai
stato raggiunto un accordo”.
Invasione,
occupazione, pseudo-stato, elezioni illegali, amministrazione greco-cipriota:
sono quattordici i termini per cui gli autori del glossario non hanno trovato
un’alternativa neutra e condivisa. "Questo lavoro ci ha permesso di
scoprire quanto alcune parole, appartenenti alla retorica nazionalista, siano
sedimentate nella nostra testa”, racconta Maria.
Violenza
on-line
Che cosa è
il discorso di odio? E come contrastarlo, a livello nazionale ed europeo? Sul
Resource Centre on Media Freedom uno
special dossier (disponibile anche in
italiano) approfondisce la problematica.
Maria su
Facebook ha difeso il glossario, venendo di contro attaccata da almeno 27
account diversi che l’hanno minacciata di morte o stupro, sia sulla sua bacheca
che per messaggio privato. E, ancora una volta, l’hanno definita una
traditrice, venduta agli interessi della Turchia. Proprio lei, greco-cipriota, figlia di due genitori
fuggiti dalla parte settentrionale di Cipro. Nelle foto profilo degli utenti
che l’hanno attaccata spiccano bandiere greche e post condivisi da siti di
estrema destra.
“Non escludo
che esista un circolo nazionalista che si attiva in casi come questo. Ho
avvisato l’OSCE dell’accaduto, ma non sono andata dalla polizia perché temevo
che non mi avrebbe protetto e la situazione sarebbe peggiorata ancora di più”,
confida.
Secondo la
professoressa Alkiviadou nel caso di Maria Siakalli non si può parlare di
discorso d’odio perché i giornalisti non rappresentano una minoranza o un
gruppo protetto. In effetti l’articolo 35 del codice penale di Cipro, riformato
nel 2017, riconosce solo i crimini d’odio perpetrati per ragioni etniche, religiose
o per discriminazione di genere. Uno studio
dell’Università di Cipro del 2017, tuttavia, identifica nel nazionalismo
l’elemento costitutivo del discorso d’odio nell’isola e denuncia la scarsa
volontà della polizia, organo deputato al monitoraggio del fenomeno, di
implementare la normativa.
Anche il
governo ufficiale di Cipro si è scagliato contro la pubblicazione affermando
che, se fosse stato messo a conoscenza del progetto, si sarebbe opposto. Le
reazioni delle autorità e della popolazione turco-cipriota, invece, sono state
più tiepide. “Noi turco-ciprioti abbiamo già infranto i tabù nei primi anni
2000 ed ora siamo più immuni alla retorica nazionalista”, sottolinea la
co-autrice della pubblicazione Esra Aygın.
Tra il 2004
ed il 2009 il governo turco-cipriota di Mehmed Ali Talat ha approvato una serie
di provvedimenti che hanno riformato il linguaggio usato nei libri di storia
delle scuole medie e nei mezzi di comunicazione, ma tale apertura non ha
facilitato i negoziati. “Nel 2004 la parte turco-cipriota era più disposta al
compromesso perché all’orizzonte c’era l’Unione Europea e molto da guadagnare”,
spiega il Prof. Papadakis, “A nord le condizioni di vita erano - e restano -
peggiori di quelle dei greci ciprioti”.
Gli ultimi
negoziati, nel 2017, sono nuovamente falliti e nessuno degli intervistati vede
vicina una soluzione politica allo stallo cipriota, ma tutti nutrono speranze a
livello sociale. “Se anche soltanto un giornalista modificherà il suo modo di
scrivere, sarà già un grande risultato - conclude Esra Aygın - il cambiamento
nella società si può ottenere solo assumendosi dei rischi”.
Questa
pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for
Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità
sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non
riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.
Vai alla pagina del
progetto:
Δεν υπάρχουν σχόλια:
Δημοσίευση σχολίου