Ue e Usa
sostengono il sì, ma non mancano le voci dissonanti
(di Stefano
Giantin) (ANSA) - BELGRADO - Una nazione nel cuore dei Balcani, guidata da una
nuova leadership riformista che considera l'entrata in Ue e Nato obiettivi
strategici irrinunciabili, si prepara ad andare alle urne per un voto
fondamentale. E inedito.
È la piccola
ex repubblica jugoslava di Macedonia, dove il 30 settembre si terrà un
referendum consultivo per confermare o meno il cambio di nome in
"Repubblica della Macedonia del Nord", la soluzione alla decennale
disputa con la Grecia raggiunta con gli storici accordi di Prespa, nel giugno
scorso.
La Grecia ha
sempre ritenuto la denominazione "Macedonia" come parte del suo
patrimonio storico e culturale e la disputa ha portato al veto ellenico ai
progressi di Skopje verso Ue e Nato. Ma il nuovo nome dovrebbe sbloccare
l'impasse, rilanciando Skopje verso la futura adesione all'Unione e
all'Alleanza atlantica.
Recenti
sondaggi hanno indicato che la maggior parte dei macedoni è a favore
dell'ingresso in Ue e Nato e voteranno sì al referendum, ma molti sono anche
gli elettori che rimangono indecisi su cosa scegliere nel segreto dell'urna o
se andare addirittura a votare. L'opposizione di indirizzo nazionalista,
guidata dal partito VMRO-DPMNE, è contraria al cambio del nome, mentre le
grandi potenze Ue - Germania e Austria in testa - oltre agli Usa hanno più
volte ricordato agli elettori i benefici di votare sì. Mosca, al contrario, ha
più volte fatto capire di non vedere di buon occhio l'ingresso della Macedonia
nella Nato. Il processo del cambio del nome rimane complesso. Per essere
valido, al referendum dovrà votare almeno il 50% degli elettori.
Se vincerà
il sì, si apriranno le porte alle necessarie "modifiche costituzionali,
che devono essere adottate, in toto, come prescrive l'accordo, entro la fine
del 2018", spiega all'ANSA la costituzionalista Gordana
Siljanovska-Davkova. "La nostra costituzione - aggiunge - prescrive una
maggioranza dei due terzi del totale dei deputati per apportare modifiche,
maggioranza che i partiti al governo ora non hanno", suggerisce.
In più, le
diatribe parlamentari potrebbero essere "il catalizzatore di nuove massicce
proteste anti-governative", con scenari speculari anche in Grecia, per
l'opposizione all'accordo di Prespa da parte di frange politiche
nazionalistiche, ha ammonito un recente rapporto di Stratfor, che ha ricordato
simili manifestazioni registrate nel giugno scorso. Tenendo conto dei rischi e
dei potenziali problemi, oltre al sacrificio del cambio del nome, Skopje sarà
ripagata per i suoi sforzi? "Non c'è via d'uscita dal nostro isolamento se
non attraverso un compromesso con i nostri vicini", risponde Denko
Maleski, stimato politologo e primo ministro degli Esteri della Macedonia
indipendente. "Ciò è stato chiaro dal 1991, specialmente alla luce del
fatto che alleanze come Ue e Nato sono create per difendere gli interessi dei
suoi membri. Per entrarvi - e non ci sono altre opzioni per la Macedonia -
dobbiamo scendere a patti. Alla fine penso che fare la pace con i vicini e
diventare membri di Ue e Nato porterà benefici maggiori del rifiuto di fare
questo difficile compromesso, ora messo di fronte agli elettori", aggiunge
Maleski.
"Questo
accordo è un'imposizione senza precedenti a uno Stato sovrano", replica
invece la politologa Biljana Vankovska, prima firmataria di una lettera aperta
di oltre 70 influenti studiosi e intellettuali macedoni e stranieri, tra cui lo
scrittore Milan Kundera, critica verso gli accordi di Prespa. "La
Macedonia - aggiunge Vankovska - non solo dovrebbe cambiare il suo nome a fini
internazionali, ma anche per uso interno, una deroga alla sovranità
costituzionale. È il Parlamento greco che decide se le correzioni sono
soddisfacenti. E anche i costi economici sono enormi per un Paese
impoverito". Quali le possibili previsioni sul risultato del referendum?
"Tutte le opzioni sono aperte", spiega Maleski, ma "spero che la
gente capisca l'importanza del momento, anche se c'è molto cinismo nella
politica macedone. Le persone non sono soddisfatte delle condizioni di vita e
il paradosso" è che il referendum "è la via per migliorarle, entrando
in Ue e Nato attraverso un compromesso". "I sentimenti della gente
sono stati manipolati per 30 anni dalla propaganda nazionalista", racconta
l'ex ministro. "Vedremo che effetto avrà ciò sul referendum. Si spera che
ci sia una nuova generazione che comprende l'importanza di questo passo e la
necessità di cambiare la rotta della politica macedone. L'alternativa è una
crisi politica".
"Il
referendum è in violazione dello stato di diritto e degli standard della
Commissione di Venezia ed è difficile che l'affluenza minima venga raggiunta,
così che il governo sarà delegittimato", replica invece Vankovska. Che
prevede poi che "le tensioni rimarranno, a prescindere dal risultato. La
Macedonia post-referendum avrà bisogno di molto tempo per riprendersi. E le
promesse di Ue e Nato difficilmente saranno una cura".
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