Il duo
comico di Ficarra e Picone, forte del successo della scorsa stagione teatrale a
Siracusa, porta sul piccolo schermo “Le Rane” di Aristofane: dopo tanti anni,
un’opera teatrale greca torna in prima serata sulla RAI.
Dopo la
panchina di Zelig, cinque film e le sporadiche conduzioni di Striscia la
Notizia, il duo comico di Ficarra e Picone si presenta al pubblico nelle
inedite vesti di commedianti greci. Ieri sera alle 21:40 su Rai 1, i due comici
palermitani sono stati infatti i protagonisti delle Rane di Aristofane, la
commedia ateniese che andò in scena per la prima volta nel 405 a.C.
L’opera
narra la discesa di Dioniso, dio del vino e degli agoni tragici (qui
magistralmente interpretato da Salvatore Ficarra) e del suo servo Xantia (la
spalla comica Valentino Picone), nei meandri dell’Ade, l’Oltretomba greco. La
loro missione è tentare di riportare in vita il tragediografo Euripide, l’unico
che può riportare il teatro greco ai fasti di un tempo. Le Rane si configura
come una dura critica alla società ateniese e alla decadenza della città,
devastata dalla guerra contro Sparta e sempre più nelle mani dei demagoghi
corrotti. In più tratti della commedia inoltre, Aristofane lancia pesanti
invettive e velate frecciatine alla battaglia dell’Arginuse, la naumachia in
cui gli strateghi ateniesi abbandonarono i naufraghi in balia delle onde. Ma il
viaggio nel regno delle anime è tutt’altro che facile per Dioniso-Ficarra e per
Xantia-Picone, che dovranno vedersela con il ghiottone e beffardo Eracle, con
un coro di Rane che cantano a cappella, un tiaso di iniziati ai riti misterici
e il furibondo Eaco, solo per citarne alcuni. Canti, balli, equivoci e doppi
sensi rendono la vicenda sempre più interessante fino al bizzarro epilogo
finale. L’adattamento scenico firmato da Giorgio Barberio Corsetti (regia
teatrale) e da Duccio Forzano (regia televisiva) risulta nel complesso più che
buono, specie in un periodo storico come il nostro dove, per rendere più
digeribili le grandi opere della classicità spesso si è sentita la necessità di
ricorrere a rivisitazioni forzate e a riletture in salsa moderna. Certo, c’è da
dire che non mancano anche qui piccole “licenze sceniche”, a partire dai
microfoni in bella vista nelle mani dei coreuti e dal vestiario “dandy” e
“retro” che sfoggiano i due tragediografi Eschilo ed Euripide. Ma l’integrità
delle Rane rimane inscalfita, e la vivacità che Aristofane aveva conferito alla
commedia risulta intatta, senza particolari forzature che rischiano di far
arricciare il naso ai più puristi. Anzi, le bellissime musiche composte dai
SeiOttavi, l’esilarante comicità di Ficarra e Picone risaltata dal marcato
accento siculo, le bellissime coreografie realizzate dall’INDA (Istituto
Nazionale del Dramma Antico) e la suggestiva cornice del Teatro Greco di
Siracusa regalano un’indimenticabile serata agli spettatori a casa che, proprio
come gli ateniesi della fine del V secolo a.C. sugli spalti del Grande Teatro
di Dioniso, ridono di fronte ai maliziosi versi di Aristofane.
Le Rane di
Aristofane è una commedia che si presenta come una denuncia contro la
decadenza, una sagace parodia della corruzione della società in cui anche l’uomo
contemporaneo può immedesimarsi. E quando la realtà sembra non offrire alcuna
soluzione, lì interviene la satira: grande merito da riconoscere alla regia e
all’INDA è quella di aver mantenuto i nomi dei politici e dei demagoghi contro
cui Aristofane si scaglia “facendo nome e cognome” e apostrofandoli con epiteti
poco gentili. La fedeltà al testo aristofaneo è quasi totale, con l’aggiunta di
qualche battutina per dare maggior rilievo al personaggio di Xantia, che
nell’opera originale ha un ruolo sempre più marginale negli ultimi episodi.
L’unica, grave, dimenticanza di questa trasposizione è stata l’omissione di un
episodio, probabilmente tagliato sia per motivi di tempo sia perché in pochi
avrebbero potuto comprenderlo a pieno. Lo riporteremo di seguito: siamo nelle
profondità dell’Ade, e Dioniso deve decidere chi riportare in vita tra Eschilo
ed Euripide. Entrambi i tragediografi fanno a gara per dimostrare al dio di
essere il migliore, ma soprattutto per recriminare la mediocrità
dell’avversario. In questa battaglia a colpi di stile e retorica, i due poeti
cominciano col mettere a confronto i loro prologhi tragici (ovvero la parte
della tragedia che costituiva il preludio o l’antefatto del dramma stesso).
Euripide comincia con l’accusare il “collega” di numerose incongruenze ed
errori grossolani presenti nei suoi prologhi:
ESCHILO:
(recitando l’Orestea)
“…a me che
qui t’invoco sii salvatore e alleato: a questa terra ecco in cui io rientro e
ritorno.”
EURIPIDE:
Il bravo
Eschilo ci dice due volte la stessa cosa.
DIONISO:
Come, due
volte?
EURIPIDE:
Sta’ attento
alle parole e te lo spiego. “A questa terra ecco in cui io rientro” — dice — “e
ritorno”. Ebbene: “rientro” è la stessa cosa di “ritorno”.
DIONISO:
Già, per
Zeus, è come se uno dicesse al vicino: “Prestami la casseruola o, se
preferisci, il tegame”.
Eschilo, dal
canto suo, prova invece con un artificio spassoso che i prologhi euripidei sono
monotoni e ripetitivi:
ESCHILO:
E io, per
Zeus, non starò a grattare ogni tua parola, verso per verso: ma, con l’aiuto
degli dèi, questi prologhi li distruggerò con una boccetta.
EURIPIDE
Con una
boccetta?
ESCHILO:
Con una
sola. Perché tu li componi in modo che dentro ci sta tutto, nei versi: una
pelliccetta, una boccetta, una borsetta. E te lo mostro subito.
EURIPIDE:
Davvero, me
lo mostri?
ESCHILO:
Certo.
EURIPIDE:
“Si dice che
Egitto, venuto sulla nave Argo con i suoi cinquanta figli…”
ESCHILO:
….perse la
boccetta!
DIONISO:
Ma che è
questa boccetta? Saranno guai per lui! Ma recitagli un altro prologo: voglio
vedere ancora.
EURIPIDE:
“Dioniso,
coi tirsi e le pelli di cervo, balzando in danza sul Parnaso…”
ESCHILO:
…perse la
boccetta.
DIONISO:
Ahimè,
questa boccetta ci ha colpito un’altra volta!
L’Euripide
interpretato da Gabriele Benedetti assomiglia più a un Oscar Wilde piuttosto
che a un tragediografo ateniese del V secolo a.C.
(Aristofane,
Le Rane, vv. 1151-1157; 1195-1216. Traduzione personale dal testo greco di
Michele Porcaro)
Un taglio
forse superfluo, dato che sicuramente il buon Salvatore Ficarra (e anche
Gabriele Benedetti e Roberto Bustioni, rispettivamente Euripide ed Eschilo)
avrebbero saputo rendere bene, ma che la regia ha ritenuto doveroso per una
resa più scorrevole della commedia. Lodevole, e allo stesso tempo quasi
inverosimile, è stata anche la scelta della RAI di portare un’opera di tale
caratura nel palinsesto di prima serata del sabato. Indubbiamente, la presenza
di due nomi noti nel mondo nello spettacolo italiano come quelli di Ficarra e
Picone attira l’interesse del grande pubblico, che di suo ha notizie vaghe e
confuse della commedia attica e al quale Aristofane non è nulla di più che un
nome da libro di scuola (mentre invece è importante ricordare che Aristofane è
riconosciuto come il padre della commedia!). Già in passato, in uno sceneggiato
della RAI sull’Edipo Re, il ruolo del tragico re tebano fu affidato al
leggendario Vittorio Gassman (senza contare la presenza di un allora ignoto
Gigi Proietti nel ruolo di un messo beotico). In questo caso invece i ruoli di
Xantia e Dioniso sono stati affidati a due comici che, nel corso di tutta la
loro produzione televisiva e cinematografica, non hanno mai cessato di mettere
a nudo le fatiscenze e le contraddizioni di un’Italia che, proprio come l’Atene
del 405 a.C., non sta attraversando uno dei suoi periodi migliori e vive di
ricordi passati.
Ma il
fascino di Aristofane sembra non tramontare mai, e anche dopo 2500 anni… le
Rane continuano a gracidare.
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