La Grecia ha subito come nessun altro Paese europeo le conseguenze della crisi finanziaria ed economica degli ultimi dieci anni © CC0 Public Domain via Pxhere CC0 Public Domain
Dall'ingresso
nell'euro ai piani di salvataggio. Dai governi socialisti alla sinistra
radicale di Alexis Tsipras. Le tappe della profonda crisi della Grecia.
Di Andrea
Barolini, 11.09.2018
Lunedì 20
agosto ha rappresentato una data storica per la Grecia. Si è trattato infatti
del termine del terzo “piano di salvataggio” delle nazione europea, quella che
ha senz’altro patito di più le conseguenze della crisi economica. E quella alla
quale le istituzioni europee, assieme a Banca Mondiale e Fondo monetario
internazionale, hanno imposto in modo più rigido la ricetta economica
dell’austerità. A dieci anni di distanza dal terremoto finanziario
internazionale, la strategia ha funzionato? Per comprendere appieno il decennio
di crisi e la situazione attuale è utile fare alcuni passi indietro.
2002: la
Grecia adotta l’euro
Prima tappa,
il 2002, quando la Grecia abbandonò la dracma a favore dell’euro (dodicesimo
Paese del Vecchio Continente a farlo). All’epoca, il debito pubblico era pari
al 100% del Pil, mentre il deficit era attorno al 4%. Seguiranno anni di
crescita, fino all’esplosione della crisi finanziaria globale, nel 2008.
Un anno
dopo, il 6 ottobre del 2009, all’indomani delle elezioni legislative vinte da
Georges Papandreou, il leader socialista rivelava il reale stato delle finanze
pubbliche di Atene. Mentre il governo precedente, sostenuto dalla destra, aveva
ipotizzato un rapporto tra deficit e Pil al 6%, il dato era schizzato al 12,7%.
Ciò a causa del “panico” generatosi sui mercati, e condito da una buona dose di
speculazioni, per il rischio di un collasso del Paese europeo.
2010: la
Grecia schiacciata dal debito pubblico chiede aiuto alla troika
La
situazione si degraderà quindi ulteriormente. Nella primavera successiva, il
rapporto tra debito e Pil (soprattutto a causa del crollo di quest’ultimo) si
avvicina al 150%. Atene è schiacciata da un’esposizione pari a 350 miliardi di
euro. Così, il 23 aprile 2010, il governo chiede per la prima volta un aiuto
alla cosiddetta “troika”: Commissione europea, Fmi e Banca Mondiale. Pochi
giorni dopo, viene accordato un prestito di 110 miliardi di euro, su tre anni.
In cambio, però, la Grecia deve accettare un piano di tagli draconiani. I
salari dei dipendenti pubblici vengono congelati, le pensioni tagliate. Le
tasse sul reddito crescono, l’Iva è portata al 23%. È l’inizio dell’austerità.
Nonostante
tale sforzo, però, la situazione precipita ancora. Nell’ottobre del 2011, viene
concesso un secondo prestito da 130 miliardi di euro, assieme alla
cancellazione parziale dei debiti contratti dalle banche private. In cambio,
vengono chieste nuove misure rigoriste. Papandreou chiede un referendum per
accettare il nuovo piano, ma l’Europa si oppone. Così, a novembre, il leader
socialista si dimette.
2012:
l’austerità al suo parossismo
Nel febbraio
2012, la Grecia è nel pieno della crisi. Il parlamento decide allora di
accettare una nuova ondata di austerità (nonostante le manifestazioni della
popolazione). Le pensioni vengono tagliate del 12%; il salario minimo scende a
590 euro al mese. Pochi mesi dopo, Antonis Samaras diventa primo ministro di un
governo di larghe intese. Che approva immediatamente un ulteriore piano di
tagli. Nel Paese disoccupazione e povertà dilagano. Cominciano a mancare anche
servizi essenziali come quelli sanitari. Nonostante gli sforzi terribili
chiesti alla popolazione, inoltre, il debito è continuato a salire, fino al
170% del Pil.
Si arriva
così al gennaio del 2015: la sinistra radicale di Syriza, guidata dall’attuale
primo ministro Alexis Tsipras, arriva al governo. Quando quest’ultimo entra in
carica, sette anni di austerità hanno contribuito a far crollare il Pil del
25%. Un quarto della popolazione è senza lavoro. Il nuovo premier decide di
introdurre misure sociali per lottare contro quella che definisce una “crisi
umanitaria”. E pretende di rinegoziare il debito con i creditori.
Tsipras e il
referendum sul rigore: il popolo risponde «oki»
Sei mesi
dopo, dopo lunghi e duri negoziati, non è stato ancora trovato un accordo.
Tsipras annuncia perciò un referendum: la troika ha accettato di concedere 12
miliardi di euro, ma vuole che si stringa ancora la cinghia. Vuole, usando le
parole del leader greco «umiliare un popolo intero». Che dirà «oki» («no») al
referendum.
Il terzo e
ultimo piano di aiuti arriverà in agosto: 86 miliardi di euro.
Complessivamente, la Grecia ha ricevuto 260 miliardi di euro. I risultati delle
politiche imposte ad Atene sono stati riassunti da un’indagine demoscopica
pubblicata nello scorso mese di febbraio:
-Il 43% delle
famiglie dichiara di non avere abbastanza denaro per pagare il riscaldamento,
in inverno.
-Il 52% non
potrebbe fronteggiare una spesa imprevista di 500 euro.
-Il 49% non
può permettersi una vacanza.
-Il 60% è
disoccupato da più di due anni.
-Solo il 10%
di chi non ha un lavoro riceve un sussidio. Di 360 euro al mese.
L’impossibile
avanzo primario imposto dall’Ue
Un’inchiesta
condotta ad Atene e ripresa a maggio da Le Monde Diplomatique spiega poi che il
consumo di sostanze psicotrope si è moltiplicato per 35 dal 2010 al 2014.
Quello di benzodiazepine di 19 volte e quello di antidepressivi di 11.
Nel
frattempo, a livello macroeconomico, alla Grecia si chiede di ottenere ogni
anno un avanzo primario. Nel suo rapporto di conformità, la Commissione europea
ha però immaginato una crescita del Pil che dovrebbe arrivare al 2,6% nel 2020.
Obiettivo ritenuto irraggiungibile da molti economisti. Soprattutto se si
considera che, al contempo, l’avanzo primario dovrebbe arrivare al 3,5% nel
2018 e al 4,3% nel 2022. Lo stesso Fmi, nel 2016, spiegò nella sua Analisi
sulla sostenibilità del debito che «un avanzo primario del 3,5% è difficile da
raggiungere, in particolare in periodi di recessione e con un tasso di
disoccupazione strutturale elevato».
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